Thursday, May 5, 2016

Refoli di economia carbonara


 

Quadragesimale italiano. N.17- Giovedì 1 aprile 1819.
Ancor meglio gratificante un dato giornalistico che vede, finalmente, anche una teoria economica carbonara che, con grande finezza di giudizio, anticipa quello che resta un dato economico oggi imprescindibile, almeno in altri stati europei, ma che in quello detto pontificio, era ancora un riferimento alquanto anomalo; quello della distribuzione della ricchezza e dei consumi, che oggi è assunto come un riferimento ovvio, che però, ripeto, nell’anno di edizione del foglio carbonaro, 1819, forse stentava a ritrovare una ragione razionale; anche perché l’economia pontificia era stagnante, apatica, quindi questi pensieri erano accettabili in economie sviluppate quali quella inglese, la cui rivoluzione industriale, sia la prima elisabettiana, intorno al secondo Cinquecento, che la seconda del secondo Settecento avevano connotato radicalmente la presenza di un modello economico libero e individualistico. Comunque la nostra pagina carbonara analizza la teorica diffusione dei consumi: Quindi fiorendo l’industria, e sostenendosi l’uno e l’altra scambievolmente, porgono alla società mezzi di comodità pregevoli. Che se avvenga che uno stato copioso di gente anneghettisca nell’ozio, sebbene di ricchezze sia fornito, è d’uopo che presto o tardi perda ogni vigore. E colui che vede mancar de’soliti agj, ha forte stimolo a procacciarli altrove. Chi poi diventa neghittoso pel vizio generale, neghittoso pur diventa alla stessa propagazione, e di ogni bruttezza piuttosto si macchia. Ma per dar movimento a questo commercio, per animarlo e rinvigorirlo è bisogno dar opera sollecita alla circolazione pronta e sicura delle derrate. Quando pure in uno Stato abbondassero, ma vi stagnassero, ne avverrebbe come delle acque ferme, niun vantaggio arrecano. Queste spandendosi e diramandosi possono unicamente innaffiare le campagne medesime, e quanto più estese sono le diramazioni loro, tanto maggiore è l’utile che se ne cava. Perlocché in mezzo alla dovizia potrebbe avvenire che un popolo fosse più miserabile, di quello che se minori ricchezze possedesse. Le Spagne in diverse epoche ben considerabili han dato luminosissimo esempio di questi fatti. Ed è poi certo per le teorie degli Economisti che maggior vantaggio si trae dal commercio quanto più veloce è la circolazione, in modo che l’utilità sua sta in ragione composta della abbondanza dei generi e della celerità della circolazione. La onde per conseguire questa celerità si devon porre in opera mezzi efficaci, torre cioè gli ostacoli e fisici e morali che servir possono d’inciampo alla medesima e procurarne la maggior facilità possibile. Ed è ben manifesto che in uno Stato quanto più grande, maggiore può essere rispettivamente e più estesa una facilità siffatta. Imperciocché regolandosi sopra leggi medesime da un capo all’altro, mentre queste possono per tutta l’estensione dello Stato far certo il mercante di non incontrar danni e pericoli, gli inciampi delle Finanze diverse sono pur diminuiti; e strade e canali e mezzi ed istrumenti di trasporto si possono avere sempre più atti e tendenti a procurare questa facilità, causa della velocità. È da notarsi ancora che negli Stati grandi coloro che si mettono a questa occupazione, a maggiori intraprendimenti possono dar mano. Così accresciuta l’industria, aumentata l’opulenza nell’interno, facendo che le merci girino rapidamente per tutto lo Stato, si mette comunicazione tra ciascuna famiglia che il compone, un movimento generale avviene, per cui l’esterno commercio deve pigliar vigore e forza. Né questo a floridezza mai arrivare potrebbe, se l’interno stagnasse, poiché è manifesto esser questa la molla che dà origine al movimento delle altre della macchina. Dunque prima si vuole industria nazionale che somministri i modi del commercio, poi commercio interno che ponga in giro le derrate dell’industria, indi commercio esterno che sia attivo per la ricchezza che già lo Stato possiede. Un secondo foglio d’ispirazione carbonara si affaccia sul panorama giornalistico ausonica; Il Raccoglitore Romagnolo, che sembra assai più emancipato rispetto la precedente Quadragesimale italiano, assai più diretto e informativo nei fatti piuttosto che meramente ideale. Il Raccoglitore Romagnolo. N.1-Romagna, 31 gennaro. Annunzio de’Compilatori. Il favorevole accoglimento che ebbe nello scorso anno il foglio intitolato Quadragesimale italiano pubblicato con la data di Forlì per cura dei signori A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, animò alcune persone imparziali ed amanti della verità, appartenenti tutte alle diverse città della Romagna, ad unirsi per compilare un Giornale che tenendo le voci di quello, se non la Italia tutta riguardasse, almeno di codesta bella porzione trattando, vedesse la luce col nome di Raccoglitore Romagnolo. A tale effetto si proposero di pubblicare 24 numeri nel corso del corrente anno, cioè due fogli al mese; e siccome in Gennaio non si ebbe campo di darne che uno così ne saranno dati tre in Marzo p. v. Ciascun foglio poi sarà costantemente eguale per carta e carattere a questo primo numero. Restano intanto invitati tutti quelli che avessero notizie politiche, osservazioni sulle leggi dello Stato, proposizioni utili, poesie inedite, aneddoti ed altri articoli da comunicare di dirigerli ai Direttori delle Polizie Provinciali di Ravenna e Forlì, i quali gentilmente si incaricheranno di passarli ai compilatori. Per parte loro intanto i suddetti compilatori non ometteranno studio e fatica per rendere utile e dilettevole al tempo stesso un Giornale, il di cui scopo è quello di giudicare imparzialmente e far conoscere la verità sulle cose che imprenderanno a trattare e di mantenere la unione dei popoli di Romagna in particolare, ed in generale lo spirito nazionale degli Italiani. Bertinoro, 30 gennaro. La stagione de’ piacevoli trattenimenti è giunta, e noi siamo nel Carnevale del 1820. Ma se taluno ignorasse essere questo l’incominciare del periodo carnevalesco in ogni anno, e dovesse giudicarne dalla giovialità, e dal buon’umore che invano cercasi ne’ volti di ognuno, potrebbe credere sovvertito in Romagna l’ordinario costume anche in questo, tanta è la freddezza con cui ovunque si accolgono i giorni ed i riti baccanali. E come no? Se la universale miseria, figlia sempre del dispotismo e della tirannide a passo di gigante si avanza: e la divisione perennemente nelle divisioni fomentata dai sospetti di un male stabilito governo, e nella classe de’ cittadini dal redivivo e troppo protetto orgoglio de’ nobili, continua tuttavia a lacerare gli animi nostri. Come no? Se la unione e l’oblio, in cui una delle più ed altre volte la più sconvolta delle nazioni à trovata ricca sorgente d’invidiabile prosperità, sono fra noi puri nomi proclamati quasi per forza, una sola volta, così a mezza voce, e con termini equivoci, senza che mai se ne sia potuto gustare l’effetto benefico: e se anzi in alcun luogo la imperita caparbietà di chi deve presiedere al buon’ordinamento de’ spettacoli publici, e l’abuso ognor ributtante della forza contro gli inermi à prodotto scene le più desolanti. Notizie politiche. Essendosi tardato a pubblicare il presente foglio a motivo d’impreviste circostanze, abbiamo potuto aggiungere con data posteriore la seguente notizia: “Per isventura la rivoluzione di Spagna progredisce. Il giorno 11 Gennaio a Cadice 24 mila soldati con immenso popolo proclamarono solennemente la Costituzione delle Cortes, giurando la detronizzazione di Ferdinando. Questo cambiamento è succeduto senza opposizione e senza disordine. “Il dì 13 a Madrid il popolo tumultuò, e le guardie Vallone inviate per contenerlo passarono dalla parte degli insorti. Alcune guardie del re furono trucidate. La regina si affacciò ai rivoluzionati, i quali dissero non aver odio di alcuna sorte contro di lei. Il re si ritira a Pamplona”. Così il Journal des Debats di Parigi del dì 27 Gennaio. Questo foglio è pubblicato dagli Ultrarealisti; onde possono da ciò dedurre i lettori, quanto male a proposito il giornalista milanese ci dia con la data di Genova, tranquilla la capitale di Spagna il dì 17, a meno che questa non fosse ivi posta per doppia interpretazione. Riguardo al primo articolo sul Carnevale, usualmente euforico, vede una verità certa nella ferma astinenza dagli sfoggi precedenti di effervescenza; ma pensare che la desistenza dall’allegria sia stata determinata dalla tirannide papale comporta qualche disappunto storicamente logico; il documento é meramente letterario, il Carnevale di Roma, un paragrafo limitato ma certamente descrittivo, del celebre Conte di Montecristo di Dumas padre. Se in Romagna, ove imperversava la tirannide pontificia, il Carnevale era assai limitato e depauperato nei suoi effetti entusiastici, lo sarebbe stato ancor più a Roma, capitale universale della suddetta tirannide, ma da documentazioni letterarie quanto da quelle meramente archivistiche, risulta che le festività carnevalizie, derivate dai lupercali romani, erano ben vive e sentite; certamente altri fattori intervennero per limitare l’effervescenza, ma non certamente il governo il quale aveva ogni legittimo interesse politico, per distendere le tensioni sociali che gradualmente crescevano, a sancire la presenza giuliva del Carnevale stesso. Il Raccoglitore Romagnolo. N. 2-Romagna, 20 febbraio. I nostri lettori comprenderanno che qui si allude alla tragedia non à guari accaduta in Cesena, e dalla quale la polizia del luogo, e la forza pubblica sono funeste cagioni: la prima per non aver curato che fosse illuminato lo spazio in cui era la moltitudine che non poteva capire nell’angusto teatro ove si estraeva la tombola, e per avere stolidamente vietata l’entrata nell’annessa scala: la seconda per avere fatta una lacrimevole pompa del suo poter soperchiante sopra persone disarmate le quali nient’altro chiedevano se non se di aver comodo di tener dietro a quelle cartelle, onde poteva dipendere o il sollievo, o la sorte di molte infelici famiglie, rese forse tali per effetto delle pubbliche calamità onde il governo papale generalmente ci aggrava. Così le baionette e le sciabole della forza che noi paghiamo, perché prevenga ad allontanarci il disordine, sono rivolte spesso contro i pacifici cittadini; e coloro che protegger dovrebbero i diritti privati non solo portano la morte e la desolazione nelle famiglie, ma sono anzi mantenuti negli abusati uffici, commendati, e forse anche gratificati per cosiffatte prodezze! Ma di questo sien grazie al dolce e paterno regime di quel santissimo, le di cui incessanti sollecitudini sono mai sempre dirette alla felicità dei suoi popoli. Né i nobili fanno di meno per quanto il possano. Sappia chi non lo sa essersi in Forlì, per le cure de’più accaniti fra essi, intavolato un cosiddetto casino, il quale meglio direbbesi un festino venale per abbonamento, ed ottenuto per questo il favore del Legato, largo sempre delle sue grazie ai barbassori striscianti. Alcuno crederà forse l’oggetto di questa operazione essere stato il ricomporre le dissensioni civiche dell’ultimo carnevale. L’accaduto però in una delle prime sere fece chiaro il perché i semidei degnassero di accumularsi a quella ch’essi chiamano plebe, e scuoprì i carboni suppositos cineri doloso, imperciocché una delle semidee, la quale era fra le inviperite dello scorso anno, dopo di avere più fiate volto il deretano al plebeo danzatore cui essa onorava, lo piantò più che plebeamente in sul mezzo del ballo correndo a mescersi nelle stanze al piccol drappello delle altre dive, per rider con esse di tanto gloriosa impresa, ed insieme cacciar i nauseosi effluvii, onde il contatto con un plebeo poteva averla contaminata. Fu quindi perciò manifesto non avere i nobili voluto in quest’anno il casino promiscuo, se non per aver modo di esercitare l’iniquo genio soperchiatore, che li agita. Che farà dunque la gente sensata in quella situazione di cose? Farà quello che fa: cioè guarderà disdegnosa i vili depressori e compassionerà que’più vili che si fanno deprimere: e fa la indignazione e la compassione attenderà silenziosa il ritorno di un forse lontano, ma non impossibile, miglior carnovale. Imola 15 febbraro. Il nostro Cardinal Vescovo è nominato alla Legazione di Ravenna. Tuttoché questo ignorantissimo principe sia un ultra tra i novantaseisti e possa presagire poca felicità ai popoli che va a governare, nulladimeno noi consideriamo questa nomina come un avvenimento che deve far cessare le inquietudini de’Ravennati, e de’Forlivesi insieme, sulla supposta concentrazione delle due Legazioni, e come il termine per i malevoli che cercavano di suscitare la discordia fra gli abitanti delle due città. Su questo aspetto l’avvenimento è fortunato, perché a niun patto conviene che sia scissura o divisione alcuna fra i popoli di Romagna, che una sola famiglia debbono aspettare la loro risurrezione, alla quale essi non possono meglio cooperare che collo star sempre uniti nella più fratellevole relazione. Forlì, 11 febbraro. Ieri sera una parte del popolo ammutinato ha forzata la porta della casa di Stefano Francia posta in questa casa maggiore, nella qual casa a lato degli appartamenti del casino si dà nel corrente carnevale un così detto festinaccio venale. Il popolo aveva ragione, poiché tutto il giorno vi fu affisso l’invito per la sera. Intanto la Gran Guardia è rimasta immobile, e la polizia accorsa, vidde aprire la porta forzatamente, e cominciare la festa senza osare di far moto alcuno, addimostrando con ciò ch’essa conosce bene quanto si azzardoso l’opporsi in Romagna alla moltitudine che crede di aver ragione per fare una cosa qualunque. Altra delli 15. Giorni sono un locandiere nominato Ghiselli correva forte in un sediolo. Li Carabinieri non avendolo potuto raggiungere hanno trovato un garzone di lui, dal quale volevano sapere ove fosse il padrone. Egli assicurando di non saperlo, ha riportata una ferita nel collo da questi valorosi sempre pieni di coraggio contro le persone isolate ed inermi. Si sa poi che un ufficiale di loro insinuò al ferito di dire che era caduto; ed ecco come la soperchieria e la viltà insieme si sono impadronite di un’arma altra volta onorata, e che ora va a gran passi verso la carriera dell’antica sbirraglia. Oltre il palese vittimismo che travisa i fatti accaduti, come meglio sia utile a sostenere patetiche e puerili menzogne atte a sollecitare le giuste e drastiche reazioni, una contraddizione in effetti emerge nettamente ben leggendo l’episodio del garzone sopra riportato; per quale motivo il carabiniere avrebbe esortato il garzone a mentire riguardo alla ferita inferta, forse l’agente avrebbe dovuto giustificare il suo gesto corroborando, con prove certe, quanto avrebbe dovuto narrare, ossia di una presunta reazione repentina e lesiva del garzone; un particolare interessante inerente ad un latro episodio: nella perquisizione dell’appartamento di Don Luigi Spada, come sopra riportato, i carabinieri citano spesso, nel rapporto, durante la medesima indagine fra gli oggetti dello Spada, due testimoni che dovevano convalidare che la perquisizione si era svolta giustamente, quindi non ledendo i diritti dell’inquisito; da cui si evince che i diritti erano attentamente rispettati, che fosse un principe ovvero un garzone; se poi quest’ultimo non ha sporto denuncia contro l’aggressione ricevuta dall’agente, non credo che questa mancanza sia imputabile allo stesso agente. Altra notazione: il Si sa, riguardo all’aggressione, resta alquanto incerto sia a livello grammaticale che meramente giuridico e giornalistico, soprattutto, Si sa…, da chi? Chi è la fonte? Quale la testimonianza? Mistero da decifrare e con cautela.
 Alessandro Lusana










 

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