Tuesday, June 28, 2016




Alessandro Lusana

ECLETTICO FIGURANTE

 L’opera di


Domenico Antonio

fiorentini

1747-1821

 



 
 

 
 

L’opera di Domenico Antonio fiorentini 1747-1821




Sommario


 Genealogia fiorentiniana

Incipit opus: prime tracce lepine

Incola est

Refoli lagunari

Convergenze emiliane

Altera majora. Opere successive

In Urbe ille fecit

Denique lapis: un disegno

Residenza del Fiorentini in Roma

Res eant:opere perdute

Oltre i pennelli

 

 

 

 

Genealogia fiorentiniana

Una voce assai poco scorta nel panorama pittorico settecentesco è quella di Domenico Antonio Fiorentini, pittore di preclara notorietà locale ma ignoto alle valutazioni complessive della critica, se non occasionalmente assunto nel contesto del Settecento romano, ma con sinottici e celeri riferimenti come repentini congedi; in effetti forse il Nostro potrebbe anche essere semplicemente relegato al divenire solo lepino, senza roboanti respiri geografici, ma anche il solo considerare un autore che, come molti altri, verrebbe appellato quale minore, ma che crediamo, dovrebbe essere parimenti considerato, almeno per l’attività, davvero prolifica, svolta durante i suoi anni pittorici, ossia dell’attività, nei quali potè anche attraccare sulle sponde tiberine volgendo il mirum verso il Quirinale. Comunque oltre le ricercate attestazione di accredidante impegno pittorico, quale quello citato ora, volgiamo l’attenzione anche verso quella che, secondo la documentazione superstite, fu la genealogia fiorentinaina che, a differenza della natalità locale di Domenico, in effetti era romana quantunque oramai allignata in Sermoneta da secoli; un Johannes Baptista Florentinus, sartus romanus morì nel 1585 in Sermoneta[1]; un incoraggiante ritrovamento che sollecitò lo scrivente a considerare la stirpe genealogica del pittore, per la ricostruzione della quale, altre informazioni emergono da un catasto ancora inedito di Sermoneta, ancora in fase di trascrizione, databile intorno al 1567, che riporta un certo Charlo fiorentino residente, in quell’anno, nella Decarcia[2] del Trivio, insieme ad altri della medesima famiglia, residenti nel medesimi luogo. Et più una Casa in detta Decarcia appresso la Casa di Charlo Fiorentino. Carlo, forse il medesimo sovra riportato, è menzionato, nel 1644,  fra i defunti: Anno Domini die 16 Ottobris. Carolus filuis Marci Fiorentini[3]; inoltre nel medesimo anno: Anno Domini die 23 Decembris. Angela filia Marci Fiorentini  Nel 1635, il 27 dicembre, muore un certo Josef magistri Dominici Florentini, nel 1637 un secondo Giuseppe, figlio di Marco Fiorentini lascia il mondo terreno[4]; quindi in Anno Domini 1638 die 23 Februari. Johannes Baptista Florentinus[5]; inoltre nel 1653: Anno Domini 1653 die 16 7mbris. Maria Stephani Fiorentini; una tragedia che credo alquanto frequente per l’epoca, 1656, muoiono insieme sia una madre che un figlio: Anno Domini 1656 die 13 Julii. Nicola, et uxor Marci Antonii Fiorentini alias Mascanilli; ma dopo tanti morti un matrimonio rassicura[6]: Anno 1631 die 8 Junii: Denunciationibus praemissis tribus diebus festivis continus quorum primus fuit 23 Martij et 26 Aprilis internis solemnio abito est nullus impedimento de tuto ego Vincentius Antiochis Archipresbiter Collegiatae Santae Mariae Sermonetae. Dominus Franciscus Quatrassus et Domina Vittoria Vera ex mea Parochia interrogavit eorusque mutuo consensu abito solemniter per verba de presenti Matrimonio coniunxi. Un operaio caetaneo di nome Giuseppe Fiorentino opera nel 1691[7]: Nota delle spese sostenute da Pietro Pantanelli in servizio della Rocca di Sermoneta: alle donne che stanno in fortezza pel loro salario, a Giuseppe Fiorentino per 35 some di osto condotto in fortezza, per far mangiare due spazzacamini che pulirono i cannoni della fortezza. Nel 1673 è riportato un battesimo fiorentiniano: Anno 1673 die 30 Aprilis. Maria Magdalena filia Laurentii fiorentini et Catherina Doni coniux confirmitatis fuit ad supra. Matrina Maria Felix; il 16 settembre muore Maria figlia di Stefano Fiorentini, mentre il 12 settembre 1693 trapassa Lorenza Paola, figlia del predetto Giuseppe, come attesta la dicitura: filia Josephi Fiorentini de Sermoneta[8], sorte migliore non è quella del fratello della predetta, infatti, Giacomo fratello di Lorenza Paola, poiché figlio di Giuseppe, ossia Joseph, predetto, muore nel luglio del 1695[9] all’età di quarant’anni; ma nell’anno di morte di un Fiorentini ne nasce un altro: Die  5 martii 1693 Filippus Gallus baptizavit in fonte natus die 3 huius ex Josepho Fiorentino et Beatrice Conte coniugibus huius Parochia cui impositus est nome Paulus Francischus Antonius; nel 1665 muore un Felice figlio di un Fiorentini[10]: Anno Domini 1665 die 24 Decembris. Flexius filios Dominaci de Mattiae de Portio Fiorentini famulus Santi Spiriti etati sue annorum 29 circa in comunione Santa Matris Ecclesiae anima Deo…corpus sepultus in supra dicta Ecclesiae. nel 1669, precisamente il 17 gennaio, viene registrata la morte di un Marco Fiorentino di anni 57, il cui corpo è sepolto nell’Oratorio di Santa Maria, ossia quello dei Battenti[11], mentre due figli del predetto non godono di maggior fortuna poiché muoiono nel 1644, Carlo ed Angela[12], facilmente rapportabili nella consanguinea discendenza dal formulario filius Marci, filia Marci florentini; nel 1658 è battezzato Filippo Giacomo figlio di Lorenzo Fiorentini, il testo recita[13]: Anno Domini 1658 die 16 Julii: Filippus Jacobus filios Laurentii de Fiorentino Incola et Cinthiae Tardone Coniugis huius Parochiae natus 14 eiusdem fuit a me Franciscus Varo Archipresbitero in Ecclesia Santae Mariae Sermonetae Baptizzatus…; un dato importante  emerge dall’avverbio Incola, ossia residente, quindi non propriamente sermonetano, forse un parente di un ramo collaterale della stessa famiglia; un altro battesimo recita[14]: Anno 1673 die 30 Aprilis. Marte filios Dominici Fiorentini et Angela Malatesta coniugis confermatus fuit  ut supra: nel 1706 l’ingeneroso formulario dei registri mortuari, riporta: Anno Domini die 16 Februari. Josephi Florentinus de Parochia Santi Angeli…sepultus in tumulo Santissimi Societatis Sacramenti, forse un membro della Confraternita, che ottenne la degna sepoltura nella cappella della stessa. Un'altra attestazione ci soccorre per la genealogia del Nostro[15]: Anno Domini 1711 die 17 Augusti. Constantia filia Josephi Fiorentini uxor Johannes Baptista Capponis…; e nel 1716: Anno Domini 1716, die 3 7bris. Josephi Florentinus de Sermoneta Maritus Beatrisis de Raneco. Un seconda Costanza muore nel 1720[16]: Anno Domini die 14 Februari. Constantia fiorentina. La moglie  del precitato Giuseppe decede[17]: Anno Domini 1728 die 19 8bris. Beatrix Conte relicta à quondam Josephi Fiorentino; inoltre: Anno Domini die 25 Aprilis. Paulus Antonius filios Dominici Antonij florentini[18] ; come il figlio precitato anche il padre: Anno Domini 1733 die 5 Junii. Dominicus Antonius Fiorentini[19]. Poi, qualche anno dopo[20]: Anno Domini 1737 die 11 Aprilis. Maria Cesira Fiorentini. Nel medesimo anno[21]: Anno Domini Constantia Lioterno uxor Francisci Fiorentini: Quindi nel 1742[22]: Anno Domini 1742 die 20 Januari. Crescentius Fiorentini. Un anno dopo[23]: Anno Domini die 23 Februari. Franciscus Fiorentini. Un secondo Francesco della famiglia muore nel  1748[24]: Anno Domini 1748 die 9 7bris. Franciscus Fiorentini maritus Magdalena Cupole[25]. Nel 1757: Anno Domini die 21 9bris. Philippus Fiorentini[26], e due giorni dopo: Anno Domini die 23 9bris. Catharina Fiorentini Virgo[27]. Nell’anno di nascita di Domenico: Anno Domini  1747 die primo 26 Julii. Elisabeth filia Joseph Fiorentini[28]. Nel 1755[29]: Anno Domini 1755 die 9 Januari. Anna Maria filia Alexandri Fiorentini. Dopo quattro anni il padre[30]: Anno Domini 1759 die 20 8bris. Alexander Fiorentini, il nonno di Domenico; la sua nascita è già stata identificata[31], e recita: Anno Domini 1747 die 4 9mbris Dominicus Annorum Thomas Franciscus filios Alexandri Fiorentini et Anne Camillae Valle de Sermoneta huius Parochiae Coniugium natus hodie, est rite baptizatus pater reverendus domino canonico Buccia Matrina fuit Domina Laurentia Pitij. Questa sparuta documentazione riporta una genealogia, certamente non completa, che attesta però la familiarità persistente dei Fiorentini con Sermoneta, purtroppo la documentazione notarile è assai retriva alla narrazione di eventi fiorentiniani; assai poco se non nulla, comunque gli archivi sono sempre fonte di piacevoli sorprese[32].    

 

Incipit opus: uste lepine

La prima attestazione figurativa inerente all’attività fiorentiniana è timidamente suggerita da un modesto San Michele Arcangelo[33], che contempera un Santo nell’ex collegio di San Pietro e Paolo di Sezze, non distante da Sermoneta, dove il Nostro conferma la sua natura pittorica denunciando anche l’origine dell’alunnato, ossia nella bottega di Carlo Antonio Incoronati, pittore attivo durante gli anni Sessanta in Cori, nella chiesa di Santa Maria della Pietà[34], da cui però non sembra emergere affatto la collaborazione fiorentiniana, che assai probabilmente entrò nella bottega del precitato dopo quest’anno, anche perché l’età di Domenico depone a favore del probabile accesso[35] alla medesima attività scolastico-pittorica. Dalle ipotesi attribuzionistiche quindi possiamo agevolmente evincere che il Fiorentini, meramente legato alla cultura locale, sebbene quest’ultima deponesse già le mire a quella del Seicento romano, almeno per quanto si possa dedurre dalle forti impronte tessili dell’Incoronati, che vede sia al Manierismo romano del Nebbia che alle plastiche sartorie reniane, assai dense nella materia come soavemente cadenti nella loro gravità; connotati che certamente il maestro del Fiorentini riprese e tradusse sia in Cori, nel San Giovanni Napusceno, nella sagrestia della parrocchia corese citata che, soprattutto, nella faconda tunica del Santo di Sezze, dove sembra parossisticamente pregno del dettato coprente cromatico della pennellata del Seicento romano; un dato che il Fiorentini assume con verace partitanza stilistica traducendola in molteplici opere. L’intervento fiorentiniano nel Santo setino denuncia una giovinezza ancora incerta nel segno, quasi uno schematismo anatomico che stenta a superare il rigore geometrico per suffragare il dettato del suo maestro, ma esprimendo già, almeno a livello fisionomico, alcune peculiari tipologie che lo connoteranno anche in seguito; il risultato complessivo comunque tende a denotare una retta distinzione fra maestro ed allievo, segno della netta personalità del sermonetano che cerca una strada autonoma, assimilando certamente la fase formale del maestro ma simultaneamente distinguendosene risolutamente. Comunque l’impronta coniata permane nello Spirito Umano, come in quello pittorico, quindi in Fiorentini non eccepisce alla regola; la prima commissione autonoma, la decorazione della cappella del Santissimo Rosario, ultima lungo la navata destra della Cattedrale di Santa Maria di Sermoneta, sembra asseverare il netto ricordo stilistico dell’Incoronati; la fattura tessile degli angeli berniniani, certamente speculati nella Città eterna, ma suggeriti dall’influenza culturale del maestro, che riemerge, quasi con prepotenza, nelle fatture tessili degli Angeli laterali della stessa cappella; il panneggio scomposto e la resa approssimativa, enfaticamente fluttuante, risente del trattamento dell’Incoronati, che adotta lo stesso schematismo materico nel San Giovanni Napusceno già citato; quindi una trascrizione in chiave berniniana di un esempio di pittura meramente locale, come avverrà in futuro; quindi la prossimità alla connotazione formale meramente seicentesca e teatrale resta una novità in Sermoneta, quantunque oramai obsoleta per il tempo di ideazione, probabilmente intorno agli anni Settanta del XVIII secolo; ma l’enfasi esornativa dei soggetti non teme un confronto con la tarda Maniera di Giovanni da San Giovanni, attivo alla chiesa dei Santi Quattro Coronati, Roma, da cui il Fiorentini assunse quasi pedissequamente qualche spunto compositivo, come la scalinata e l’ascesa della medesima figura femminile; segno della già assidua frequentazione romana del Fiorentini, che coniuga, per questo ciclo decorativo, l’enfasi esornativa del Barocco, oramai confluito verso altri orizzonti decorativi, e la Maniera attardata che risulta ancora utile. Nel complesso la resa non eccita entusiasmi; la fattura sembra a volte scadere nel precario delle anatomie sia angeliche sia umane, la definizione delle fisionomie resta troppo schematica, ma in compenso attesta una netta crescita formale del Fiorentini rispetto all’iniziale San Michele Arcangelo; e inoltre  denuncia la medesima resa, che comporta una netta approssimazione all’Oratorio dei Battenti; qualche cercata disinvolta postura, come quella sulla destra in lato, riesce assai precaria nel contesto anatomico, me rimarca ancora meglio la prossimità temporale all’Oratorio precitato, il vaso frontale poi e la postura della figura vede al Caravaggio della Deposizione vaticana; sull’intradosso della cupola, la versione biblica raccoglie ancora la fattura tessile del suo maestro, intensificandone la fattura materica dei panneggi e cogliendo i molteplici referenti cromatici della Maniera sistina. La datazione ipotetica mi sovviene dal dato formale, che ricalca quasi specularmente la forma anatomica e fisionomica del San Michele Arcangelo citato, medesima statica definizione stilistica con resa approssimativa, che denuncia la giovane età dell’autore. L’autografia certa della seconda commissione è data dal dato anagrafico di una firma, che sancisce la paternità del ciclo dell’Oratorio dei Battenti, nella medesima Cattedrale di Santa Maria, dove la forma sembra nettamente addensarsi in un fragore massiccio di panneggi, ma che non rinuncia alla ripresa quasi speculare di dati stilistici che, in effetti, si polarizzano in esempi pittorici divergenti, fra posture seicentesche e della mera Maniera. Le due storie maggiori, sui lati lunghi dell’Oratorio, ossia l’Ultima cena e la Lavanda dei piedi, restano meramente speculari nella fattura complessiva; la resa dei panneggi, densi e corposi, rispecchia la stretta vicinanza temporale dei due affreschi, che certamente sono stati eseguiti per primi, data l’affinità rilevata. La fattura complessiva poi attesta una netta crescita della fattura; la composizione formale si evolve verso una calibratura certamente cresciuta; le fisionomie migliorano, rispetto allo schematismo iniziale della cappella del Santissimo Rosario, almeno quella degli angeli laterali, mentre sembra riproporre la definizione plastica della volta della stessa cappella, che ora, in grande formato, assume i connotati stilistici magniloquenti, adottando infatti dati fisionomici che esodano da canoni troppo facilmente esperiti per ricercare carature fisionomiche assai meglio ricercate e quasi caratterizzate da gerica fattura, che attestano un’euristica formale meglio concepita e, soprattutto, una volontà di ricerca che limiti l’influenza degli anni di alunnato per valutare ambiti cronologici distinti e distanti dal tempo di esecuzione del ciclo; uno sguardo al Cristo Pantocrator del quattrocentesco Pietro Colaberti, sulla volta del corridoio della cripta della chiesa sermonetana di San Michele Arcangelo, adottato per il Cristo dell’Ultima cena citata, che certamente il Fiorentini potè vedere e riprendere per la fisionomia contenuta nella capigliatura, per il taglio degli occhi e la positura; mentre per il Giuda, in primo piano, Domenico non evade dalla conformazione caricaturale di Leonardo ovvero di Pier Leone Ghezzi, invocando il sussidio di anomalie parossistiche per esacerbare la esecrabilità del prodito. Per la nicchia dietro il Cristo, un espediente compositivo che rimarchi la figura del Cristo, vede certamente ad un altro autore del Quattrocento laziale, ossia Desiderio da Subiaco, attivo durante gli anni Novanta alle Camerae pinctae, nel castello Caetani di Sermoneta, come la Vergine con Bambino e Santi del Siciolante, all’epoca ancora sull’altare maggiore dell’Abbazia di Valvisciolo, prossima a Sermoneta. La speculare Lavanda dei piedi non suggerisce grandi riferimenti ovvero citazioni, ma segue la dirittura formale già impiegata nella precedente storia, ampi panneggi, parimenti densi, e certamente i medesimi disegni, quelli dell’affresco precedente, impiegati per le fatture complessive degli Apostoli; le fatture e le tipologie dei volti sembrano equivalersi, nella suggerita vetustà, poco riuscita. Per il Battesimo di Cristo ancora il Seicento romano sembra emergere con netta prevalenza; modelli diversi da cui attingere potrebbero essere i battesimi, distribuiti fra diverse chiese romane, come quello di Orazio Gentileschi in Santa Maria della Pace, di Ludovico Cigoli, in San Giacomo al Corso, ovvero il medesimo soggetto di Carlo Maratta, ora nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, ma già in Vaticano, che certamente hanno offerto qualche spunto valido per ideare il Battesimo sermonetano, anche per la naturale fattura litica del pietrame, che non eguaglia, ma almeno avverte, l’influenza del nascente naturalismo fisico di Orazio. Il San Sebastiano poi assurge alle mete prettamente reniane contemperando la santità del soggetto con la natura scultorea del modello ripreso, ossia il medesimo soggetto di Guido Reni, che il sermonetano cerca di assecondare almeno negli aspetti palesi, certamente rinvigorendone la fase anatomica, veduta dall’immancabile Michelangelo sistino; la definizione complessiva, quantunque ancora da definire rettamente, manifesta un’audace ripresa che il Fiorentini conobbe in giovane età, e che, in seguito non mancherà di mutuare ancora, come gli altri motivi della plastica seicentesca, oltre quella michelangiolesca, che potrebbero averne suggerito la mole fisica, basti pensare alla classicità mitologica berniniana del Ratto di Proserpina, ovvero all’Enea ed Anchise della Galleria Borghese, che il Fiorentini potrebbe aver assunto e rapportato al suo Santo.Ma la polivalenza del catalogo romano affiora anche nella postura del San Rocco, che sembra omologarsi al San Giacomo di Jacopo Sansovino in Santa Maria in Monserrato, Roma, che Fiorentini potrebbe aver ripreso e adeguato al suo affresco. Quindi la monumentale, nell’accezione latina del lemma, ed universale Cappella Sistina, che potrebbe aver suggerito agevolmente la postura del San Biagio in contrapposto, derivante dalle energiche positure dei profeti michelangioleschi. Il giordanesco, ossia rapportabile a Luca Giordano, San Francesco in preghiera, già nella scomparsa chiesa sermonetana di  Santa Maria della Vittoria, ora al castello Caetani, a cui il Fiorentini assai probabilmente guardò per il suo omonimo soggetto, eseguito nello stesso Oratorio; quindi un canone riformato che Domenico non potè, e non volle, certamente preterire dall’esame dei suoi archetipi pittorici; per la Crocefissione, sulla parete di fondo dell’Oratorio, il Siciolante fu afferente dello spirito riformato tardo cinquecentesco che, con la Crocefissione Massimi, in San Giovanni in Laterano, fu involontario artefice del suggerimento pietistico per il nostro giovanissimo passatista. La volta in ultimo rispecchia la postura della Vergine assunta di Annibale Carracci, nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo, che a Domenico potè fungere opportuna, mentre per la fisionomia della Vergine, ripristina oggettivamente il valore dei volti degli Angeli della cappella del Santissimo Rosario. L’ideazione dell’intero ciclo decorativo, in verità, non spetta al Fiorentini, un altro autore pittorico già aveva lavorato alla decorazione fra il 1625 ed il 1630[36], almeno da quanto attesta una serie alquanto nutrita di saldi, certificanti l’attività di Alessandro Melelli, nato a Cori nel 1580 ed ivi morto nel 1650, pictor non mediocris, da quanto afferma una fonte concittadina del pittore, il quale aveva già eseguito un primo ciclo decorativo di cui oggi conserviamo sia un frammento, al di sotto dell’attuale Crocefissione, sia una descrizione, non acribica ma parimenti rilevante, di un notaio sermonetano, datata 1694, che attesta la sussistenza di alcuni soggetti oggi presenti, ma nella versione fiorentiniana, che già in origine erano stati tradotti pittoricamente dal Melelli: (documento dello Scatafassi). Ma la fama fiorentiniana non sembra aver desistito dal suo retto percorso locale; nella decorazione architettonica dell’Oratorio dei Battenti, certamente la fattura non emerge nella nettezza grafica e geometrica, quindi il seguito non lascia certamente migliore impressione; infatti la pastosa pennellata fittile emerge anche da una seconda decorazione, sull’arco di accesso dell’ex cappella Americi, a sinistra dell’altare maggiore, la cui fresatura esterna rivela strette attinenze stilistiche con quella della prossima cappella del Rosario e dell’Oratorio precitato:la ricercata precisione nella conchiglia centrale, sembra in rapporto di consanguinea natura con quella della volta, perimenti faconda, e la decorazione dei clipei laterali della medesima cappella; le foglie geometriche cadenti sui lati della stessa conchiglia ripetono lo stilema di quelle delle panoplie che incorniciano le Storie del Vecchio Testamento, la consueta solidità della stesura  che trattiene la natura specifica del secentista di origine controllata, che sembra non voler distinguere fra la tela e l’affresco.

Incola est

Con le due commissioni giovanili il Fiorentini evidentemente gratificò tanto la committenza da sollecitare l’attenzione verso la sua pittura; quindi le commissioni che caddero sulle setole del Nostro non mancarono; infatti altra opera giovanile, almeno per lo stilema è una affresco, forse commissionato dalla Confraternita dei Battenti di San Michele Arcangelo[37], riporta ad un Fiorentini ancora molto incerto nella fattura riservando però un’indicazione di matrice conosciuta, percepibile dopo un’attenta analisi della fattura formale, che date le condizioni dell’affresco, e non secondaria la stessa qualità, non sembra aver goduto dell’interesse critico[38]. Quindi qualche episodio ancora indecifrato emerge con certezza, se rapportato al contesto locale; la commissione dell’oratorio confratello di San Michel Arcangelo, ossia quello di Santa Maria di Sermoneta[39], probabilmente, supportò questa seconda commissione flagellante, operando però autonomamente rispetto ad un modello da seguire pedissequamente quale quello dato da Alessandro Melelli, già visto prima; ora il Fiorentini denuncia la sua impronta con fragore pietistico cogliendo certamente, ma con minor trasporto emotivo e pittorico, l’emorragica spiritualità di Frà Vincenzo da Bassiano, traducendone però gli avvincenti spunti di tragica rassegnazione patetica, nell’accezione greca del lemma, che sembrano quasi mutuati integralmente dal Crocefisso della chiesa romana dell’Ara Coeli; la plastica, poi, derivatagli dall’alunnato nella bottega dell’Incoronati, risolve la densa tessitura per il manto del Battista, traducendo così le mere impronte del secentismo di riserva che ancora invaghiva, soprattutto nella fase giovanile, come visto prima, alcuni esponenti pittorici come Domenico, che anche qui non fu da meno nell’assecondare il suo maestro corese. La resa complessiva si accredita in alcuni connotati stilistici prettamente fiorentiniani; basti concentrare l’attenzione su alcune precarie fatture, denuncianti l’iniziatico abbrivio alla resa formale del giovanissimo autore: le tipologie fisionomiche incerte, per la schematica risultanza, attestano un volenteroso maestro che segue, per quanto possa, autonomamente, la prima maniera ovvero Maniera fiorentiniana, quantunque non riuscendo ad emulare la resa complessiva che, in quell’occasione, stentava ancora fra indecisioni formali sia proprie che suggerite fortemente dal Melelli. Comunque la fattura generale dell’affresco rivela attinenze strettamente rapportabili al maestro sermonetano, fra cui la tipologia fisionomica del San Giovanni Battista, che ricalca, relativamente ai sessi, quello della prima di tre fanciulle, in uno dei riquadri sulla volta della citata cappella del Santissimo Rosario: la capigliatura, rada e fluente, raccoglie quella della terza fanciulla del medesimo riquadro, il taglio labiale riserva specifiche attinenze con quello del San Leonardo, nell’oratorio dei Battenti di Santa Maria; il panneggio del medesimo Battista nel Battesimo riporta alla matrice tessile fiorentiniana, già adottata per il copricapo della Santa Elisabetta, nella Sacra Famiglia dello stesso oratorio, ossia una fertile quanto rigida pennellata che definisce sommariamente la materia serica; appesantendone la resa complessiva con fanatica partitanza; la fisionomia anticipa poi quella di un medesimo Beato corese; mentre la fattura del crocefisso non sembra voler assecondare la gravità tessile del Battista nell’Oratorio sermonetano, e quindi si limita al velame correlato ad una precisa resa anatomica; ma resta difficile comprendere la resa complessiva dei due Battenti, in basso, che lambiscono un lungo serpentinaggio figurativo, ma ne restano parimenti distinti e distanti.  La cronologia dell’affresco resta, e resterà, ancora incerta, data l’afasia archivistica, ma un’ipotesi suffragata da certezze stilistiche agevola una considerazione; per la collocazione di questo affresco, almeno fra due opere certe, ossia fra il primo intervento,  della pala setina, già vista , e dopo l’oratorio dei Flagellanti di Santa Maria, citato prima; la fattura pittorica certamente cambia, se non peggiora, rispetto al primo intervento setino accertato, ma la natura stilistica deve indurre a ritenere che in effetti, qui, il Fiorentini tralasci le astringenti influenze dell’Incoronati per cercare una propria retta via pittorica, da cui un’autonomia oramai attestata nella sua biografia stilistica; quindi una incipitale crescita formale che lo indusse alla ripresa di dati già esperiti nella monumentale decorazione dell’oratorio del Flagellanti; la Crocefissione stessa ne resti esempio, verso cui riversare impressioni e rese stilistiche meramente personali, ancorché soggette ad archetipi altrui.

 

Refoli lagunari

La poliedrica natura stilistica del Fiorentini emerge per la faconda serialità di indirizzi culturali assecondati fra le diverse opere fin oggi riemerse; in affetti diversi canoni sembrano aver compreso Domenico durante la sua sussistenza figurativa, dalla Maniera al secentismo romano, ed alla sedula rarefazione formale settecentesca; un vivace empirismo e adeguamento sia alle novità scorte dallo stesso pittore sia alle richieste della committenza, che crediamo limitate ai soggetti ed ai materiali, come era uso all’epoca, ma esortanti alla ricerca frenetica di canoni da cui poter prescindere in occasione di nuove formulazioni pittoriche; dinamicità non certo nuova alla natura agnitiva dell’homo pictor; altri esempi già connotati da tale mutevole fervore possono identificarsi in Giacinto Brandi, Giovanni Lanfranco e, talvolta, anche nel più geograficamente prossimo Siciolante; quindi l’adesione, assolutamente personale, del Fiorentini ai suddetti referenti culturali resta un principio di selezione non determinata da scelte estranee alla volontà dello stesso pittore. Due opere in particolare asseverano la aggettante influenza su Domenico del criticamente noto Neovenetismo; ossia una corrente culturale direttamente veneziana, trasposta in Roma intorno agli anni Novanta del XVI secolo, riferibile prevalentemente alle opere di Sebastiano del Piombo e Girolamo Muziano, che godettero di una fiera considerazione, soprattutto cromatica, durante gli anni citati; forse non mancò all’appello l’influenza delle tele tizianesche di Palazzo Farnese, che, insieme all’educazione culturale meramente veneta, assimilata dai predetti autori, contribuì nettamente alla densità cromatica di alcune opere romane tardo cinquecentesche come la pala d’altare di Scipione Pulzone, in San Silvestro al Quirinale, sino agli anni Trenta del Seicento romano, come, ad esempio, le opere del Cavalier d’Arpino in Santa Maria del Rosario, Roma, che attestano una fase oramai tarda e terminante del fenomeno. Ma il Fiorentini, per la sua speculativa natura pittorica, captò anche quanto poteva offrire un panorama indirettamente venezianeggiante quale quello del Neovenetismo trascorso; due tele in particolare sono da considerare per questa fase stilistica, una Vergine con Bambino e santa martire, nella Cattedrale di Santa Maria di Sermoneta, già citata altrove, ed una seconda tela con una Santa, nell’ex Collegio Gesuita di Sezze; le rispettive vicende biografiche delle due tele è ancora da decifrare, dopo attente ricerche condotte dallo scrivente, in anni posteriori nei duali archivi inerenti alle chiese citate, alcun riferimento è emerso, quindi non resta che l’analisi dello stilema impiegato dal Fiorentini. In verità la fattura complessiva delle due opere diverge nettamente, ma la partitanza cromatica diviene un medium certo per connotare l’adesione culturale precitata; la cromia densamente ocracea, che copre, con surclassante monotonia, la resa del soggetto, gli spiccati incarnati della Vergine, nella tela sermonetana, denunciano la netta vicinanza al dettato del citato Neovenetismo; per comprendere interamente il concetto e la rilevante, quanto momentanea metamorfosi fiorentiniana, basti il confronto con le decorazioni dell’Oratorio dei Battenti e della cappella del Santissimo Rosario, nella medesima Cattedrale sermonetana; la resa cromatica della Maniera michelangiolesca, quanto degli Alberti, esorta considerazioni che divergono nettamente dalla intensa natura coloristica adottata dal Fiorentini, in questa tela, dove congiunture fisionomiche rivelano la netta inerenza fra questa Vergine e quella della volta dell’Oratorio dei Battenti. La seconda tela considerata è quella citata nell’ex collegio setino; dove emerge la medesima connotazione cromatica, assai prossima alla tela sermonetana, con una resa complessivamente meno intensificata nella stesura, quantunque egualmente rapportabile; dove emerge però qualche digressione, come una più attenta analisi formale, ed una calibrata puntualità del supporto cromatico, quindi dimidiando la pesantezza del colore emerge con maggior nettezza la fattura grafica, che ora sembra contemperare la resa complessiva, mentre nella tela sermonetana era quasi un sommesso ausilio tecnico assai trascurabile, quindi una nuova considerazione che il Fiorentini apporta alla sua fase neoveneta, che Domenico assume, come dato stilistico, ma personalizza fruendone per quanto sia necessario all’esito dell’esecuzione, a cui non manca qualche referente antico, la postura della santa in effetti resta rapportabile alle positure dei frammenti romani, approccio primario per ogni autore pittorico ovvero plastico, quanto architettonico, che valse, parimenti alle humanae litterae, come exemplum di rilevante e quasi meccanico studio; quindi il paesaggio scarno, e brullo, suggerisce timidamente la sua presenza con sparute linee, ma denuncia anche che la fase paesaggistica romana nata, dopo l’antifisicità michelangiolesca, con il contributo, di matrice veneziana, di Annibale Carracci, si consideri la lunetta Aldobrandini, per il Fiorentini non è ancor morta, sebbene qui non emerga per l’ubertosa floridezza, ma solo per l’aprica apertura naturalistica; infine la fattura zoologica, quasi accennata, supporta il divenire complessivo. Con la quasi speculare resa cromatica emerge anche un San Giacomo minore, già nella chiesa di San Michele Arcangelo e ora nella medesima Cattedrale, prima cappella sulla destra; la resa complessiva sembra nella fase di trapasso formale fra la Madonna con Bambino e martire, e la Santa del Collegio Gesuitico setino, la tenuta pittorica generale denuncia nettamente la pennellata densa e la corposa stesura, che sembra travalicare le linee definite della oggettiva figurazione, per costipare in limiti angusti la compresa natura coloristica; il colore della veste rivela ancora timide attinenze con la stagione della Maniera fiorentiniana, ma intensificata dalla pesante stesura; la definizione complessiva non sollecita grandi apprezzamenti, ma in compenso il dato emergente è la documentazione della fase neoveneta, che ora sembra irrispettosa della grafica, a differenza della Madonna e Bambino e santa martire, citata dove ancora la definizione grafica era costituente, mentre ora il supporto ideativo del disegno è perduto fra le sovraccariche pennellate.

Convergenze emiliane

La presenza del Fiorentini, nella Cattedrale di Santa Maria persevera; la versatile natura dell’artefice lepino tende, nella sua camaleontica natura pittorica, a riaffiorare per fiochi suggerimenti pittorici da cui trarre, con organica resa, il sistema sillabico attinente al nome dell’autore. Nella omonima cappella della Cattedrale di Santa Maria[40], una Maddalena  traduce l’indefesso secentismo del Nostro; in effetti nulla di sorprendente che un autore concentrato in un modico apparato urbano, quale Sermoneta, resti ignorato, come nel caso di questa opera; la mutabile natura fiorentiniana è un dato accertato nel suo complesso catalogo, soggetto, come l’eminenza pittorica che lo precedette nella natalità sermonetana, ossia Girolamo Siciolante, a connotare uno stilema con supporti, e rese, alternatesi fra i diversi stilemi, che l’Urbe presentava agli occhi attenti di qualche giovane autore in cerca sia di commissioni sia, soprattutto, di canoni figurativi da riproporre con fervido entusiasmo, in regioni marginali senza selettive pretese. La Maddalena attesta lo stilema fiorentiniano: la fluente capigliatura ripete quella di alcuni ritratti, spero non ritratti su modelli viventi, viste le fisionomie non apollinee, eseguite dalla bottega del Fiorentini su di un fregio del primo piano nel Palazzo de Marchis di Sermoneta[41], le cui melliflua fattura di capelli ripetono, con profluvio pletorico, quella della stessa santa considerata, senza mancare di morbidezza tattile, quasi spumosa, fra i crini cadenti, il piede che lambisce la terra poi vede a quello delle fanciulle di un riquadro del ciclo decorativo sulla volta della cappella del Santissimo Rosario, già restituito dallo scrivente al Fiorentini[42], il taglio degli occhi poi riporta a quello del San Domenico nella pala d’altare con la Madonna del Santissimo Rosario, già nella chiesa di San Michele Arcangelo di Sermoneta, ma ora nel Museo Diocesano della medesima città, quindi il collo della Maddalena che riporta, oggettivamente, a quello snello della Vergine assunta, sulla volta dell’oratorio dei Flagellanti, le dita lunghe della Maddalena quindi traducono agevolmente quelle del San Domenico, nella pala d’altare del Museo Diocesano, già citato; ed infine la resa tessile addensa corpose pennellate risolvendo un panneggio mellifluo che segue, inopinatamente, quello già adottato nell’arco di accesso dell’Oratorio dei Battenti di San Michele Arcangelo, come sembra asseverare la consanguinea provenienza di sartoria, con il panneggio della veste del Giuda, nell’Ultima cena, dell’Oratorio dei Battenti di Santa Maria; ma senza cercare facili assimilazioni, vista la differenza temporale, e quindi qualitativa, intercorrente fra le due tessiture. Nel complesso la fattura assai modesta accerta però referenti cromatici tipici della marcata profusione emiliana, giunta da Venezia, che certamente il Fiorentini assunse direttamente dall’impronta guerciniana, presente in Roma soprattutto in opere risalenti al pontificato di Gregorio XV, la Santa Margherita della chiesa romana di San Pietro in Vincoli, ovvero dal Carracci nella chiesa romana di Santa Rosa, come i seguaci ed allievi dello stesso Guercino, come Girolamo Troppa, ovvero il Mola; tutti riferimenti che il Fiorentini potè facilmente raccogliere e ed impiegare, traducendoli in larghe stesure, e dense carnalità epidermiche, con sfondi oscurati mutuati dal caravaggesco Gherardo delle Notti, si vedano quelli della pala di Santa Maria della Scala e della Derisione di Cristo, in Santa Maria della Concezione, che suggerirono la tipica congiunzione fiorentiniana fra tempi e modi diversi.

Res minora: interventi marginali

Altra versione fiorentiniana resta quella di due Angeli reggicortina nella chiesa di San Michele Arcangelo di Sermoneta, che rivelano un tempo precedente ad una Santa Cecilia, di cui in seguito, e attestano una giovinezza dello stilema che partita ancora nettamente per l’assunto carnale già accennato, dopo la fase meramente neoveneta già vista, ma qui correlata alla pennellata carnale del realismo pittorico; le marcate sopracciglia ed il taglio labiale vedono, anticipandoli, quelle della Vergine del citato Sacro Cuore di Maria, senza dimenticare quelle della Vergine della pala d’altare con Madonna, Bambino e Santa Martire, nella Cattedrale di Santa Maria di Sermoneta[43], e neanche quelle della Vergine assunta, sulla volta dell’Oratorio dei Battenti[44]; la capigliatura riprende quella del Cristo bambino nella medesima pala, mentre il naso pronunciato vede a quello del putto sulla sinistra del San Carlo Borromeo, nell’oratorio dei Battenti, citato, da cui mutua anche il taglio oculare, per la positura invece il Fiorentini rimembra quella di un putto nel primo documento pittorico del suo catalogo, una pala spettante all’Incoronati, già citato quale suo maestro, ed attivo alla pala setina citata; in effetti qui il Fiorentini trattiene gelosamente, nella conformazione stilistica, la partitanza prettamente seicentesca, vista la densa stesura cromatica, che correla alla definita linea formante. Per la cronologia sembra, in base ai dati stilistici, che il Fiorentini assuma da un passato grafico, ossia dell’impiego marcato della linea, già adottato nella citata Vergine con Bambino e Santa Martire, citata, in effetti la grafia anatomica assai marcata rivela una retrospettiva idonea per la resa fisica di questi putti, per i quali non è risparmiata la definizione descrittiva della linea; il chiaroscuro poi soffuso, ma ben presente, suggerisce passaggi carnali che compensano la resa fisica, maturando la carica pennellata adottata per la citata pala di Santa Maria, quantunque ne adotti ancora la densa cromia, che raccoglie da un passato ocraceo quale quello della Vergine, Bambino con Santa Martire, già citata per fruire di una variegata matrice rubensiana, senza gli esiti veronesiani delle tre pale della romana Vallicella, ma trattenendone parimenti l’intento e lo spirito con cui illuminare il soggetto, con i giusti riverberi che tendono a suggerire la matrice, che, parzialmente ma con profonda adesione vedono anche alla matrice definita nello spazio della luce caravaggesca. Altra puerile versione del Fiorentini emerge ancora per uno di tre putti nella chiesa di San Michele Arcangelo; la tipologia fisionomica riprende da quella di due putti in una pala eseguita insieme al suo maestro, Carlo Antonio Incoronati, per la chiesa di San Pietro e Paolo di Sezze[45], già vista; la resa lineare e coerente del volto puerile assevera il medesimo schematismo di facile esecuzione, la linea che definisce univocamente il naso e le sopracciglia riprende il volto della Vergine nella pala con Madonna Bambino e santa martire, nella Cattedrale di Santa Maria di Sermoneta[46], inoltre la postura, ovvero posizione, che assume un secondo putto nella pala setina resta speculare a quella del putto sermonetano, con la medesima robustezza pingue che soggiace ad ogni buona occasione di infantilismo pittorico, la capigliatura compatta ma frastagliata riporta a quella del Bambino nella pala di Santa Maria già citata, come il taglio degli occhi suffraga la vicinanza fiorentiniana con un ritratto ideale di un fregio al primo piano di Palazzo de Marchis di Sermoneta[47]; quindi la curvatura labiale rimarca, in anticipo, quella della Vergine nel Sacro Cuore di Maria[48], già nella chiesa di San Michele Arcangelo, ma ora scomparso. La rapportabile fattura fiorentiniana vede quindi al passato, come ovvio, ma destreggiandosi fra il proprio e l’altrui, per il Putto certamente coglie mnemonicamente quanto già eseguito altrove, restando così un patrimonio autonomo, mentre per la Maddalena  rimembra quanto fatto altrove da Guido Reni, ossia dall’estatiche Maddalene romane soggiacenti all’enfasi solo formalmente spirituale derivate dai costipati afflati della Riforma Cattolica.

Altera majora: Opere successive

Il catalogo fiorentiniano annovera anche commissioni di rilevanza posteriore alla giovanile decorazione dell’Oratorio dei Battenti, che attesta la perseveranza del pittore in diverse fasi della sua attività che, sembra, aver goduto di rilevante attenzione e richieste, almeno in Sermoneta. Un inventario del Palazzo de Marchis[49] attesta la presenza di due fregi, disposti nel piano superiore,di cui oggi solo uno persiste e raccoglie diverse storie sia mitologiche sia meramente storiche la notazione documentaria recita: pavimento di mattoni muri bianchi incollati con fregio di varie pitture…; per identificare rettamente la sala che conserva il fregio precitato ci soccorre ancora il testo successivo alla succinta descrizione dello stesso fregio, che infatti recita: e soffitto tutto foderato con cornici dipinte con vari fiorami, e sfondi quadri con putti in essi, da cui si evince il modello del soffitto a cassettoni, che riporta ancora qualche sparuta decorazione. Il fregio in questione si compone di busti dipinti di anonimi che correlano le diverse storie, e protei femminili. La rilevanza del contesto decorativo emerge dalla fattura complessiva già restituita al Fiorentini dallo scrivente[50], che assai probabilmente ebbe una fattiva collaborazione di qualche aiutante, ovvero pittore a giornata[51], almeno giudicando dallo stilema divergente fra soggetti figurativi, quali quelli meramente equini; la Scena di caccia, in effetti sembra asseverare una notazione pisanelliana, che predilige la grafica resa su quella cromatica, la linea risulta fondante alla compiuta rappresentazione; il cane vicino poi non sembra tralasciare affatto la caratura formale già adottata per il collega zoologico; il cavaliere è più desumibile che speculabile, brevi accenni pittorici che suggeriscono le anatomie, raccolte in linee rette prive di una conformazione antropomorfica definita. Qualche rimarchevole nota stilistica affiora dal Poseidone che invece denuncia una resa alquanto puntuale, sebbene toccata da imprecisioni, ma che almeno nella sagoma della divinità non frustrano l’esito; ma rimarcano nette impressioni equine che questo collaboratore ripete poi con fedele partitanza anche nella scena di Battaglia: in effetti la definizione formale resta analitica nella natura zoologica, e del dio marino non smentisce affatto la sua retta natura di cesellatore accurato delle forme, si guardi attentamente la muscolatura dello stesso dio, mentre il resto spetta direttamente ad altra mano, assai più sommaria nelle anatomie, che sembra pareggiare quella dei protomi femminei sui lati, parimenti arrangiati nella fattura anatomica. Altri soggetti ancora ignoti avanzano dalle restanti storie, la Scena di battaglia risulta fino ad ora la migliore conformazione sia equina che narrativa; la fattura complessiva certamente gratifica nella resa, la traduzione anatomica dei cavalli risalta meglio che altrove, e la drammatica belligeranza certamente resta degna di nota; l’autore è il medesimo che opera al Poseidone; la medesima linea definita che cura con rigore e acribia, ripetendo la stessa postura equina del cavallo destro del Poseidone, quindi adottando certamente lo stesso cartone, e la stessa sedula pennellata che lambisce il preziosismo formale; il minuto volto del leone poi ripristina quello adottato da Domenico nel leone  della Cibele; il paesaggio infine riprende i canoni tardo cinquecenteschi brilliani già presenti in Palazzo Caetani di Roma, dove il Fiorentini operò ad una Cibele, di cui dopo, la rarefatta presenza fisica rivela l’attinenza e la forma del fogliame ne denuncia nettamente l’origine;  comunque il soggetto vede anche alle diverse Battaglie di Filippo Cortese, che probabilmente hanno dettato qualche indicazione valida, come anche le molteplici Bambocciate romane, nelle loro repentine scene di agguato, potrebbero aver collaborato alla definizione complessiva del soggetto. Altri collaboratori sono attivi alle restanti storie, fra cui quella riconoscibile del Ratto di Europa, che si adegua sulla medesima natura formale assai modesta e con falli di traduzione pittorica assai palesi, che emulano quelli della fanciulla, in primo piano, del cavaliere pisanelliano, già visto, la stesura precaria palesa la medesima approssimazione anatomica, per la fisionomia accennata, parimenti incerta, e la capigliatura egualmente compatta. Al medesimo collaboratore del Ratto d’Europa, spetta anche  la scena di soggetto ignoto, con fontana, che denuncia, a livello anatomico la medesima fattura dei protomi femminili sui lati; le lunghe braccia della figura sulla sinistra, ed i turgidi seni della stessa figura, traducono le peculiari fatture formali dei protomi sui lati; i volti sommariamente definiti poi rispecchiano quelli parimenti confusi del Ratto di Europa; la natura della fase ideativa di un affresco, che seleziona con rigorosa discriminazione il materiale, anche grafico, necessario al complesso della traduzione pittorica emerge da l’unico disegno fino ad ora riconosciuto di paternità fiorentiniana, che documenta forse una pura ideazione di una fontana, correlata da presenze equine sui lati, i quali hanno agevolato l’ideazione per almeno  quattro posture di cavalli distribuite fra i diversi clipei, che conservano, nella traduzione pittorica, la medesima tensione muscolare profusa nella fattura grafica; mentre la fontana vede ad altri modelli che sembrano scaturiti dalla diretta ideazione barocca. L’Addio dall’isola di Citerea emerge per la resa del tempio come esemplare architettonico che può annoverare qualche criterio di razionale raffigurazione; il resto non sollecita grandi entusiasmi, tranne che l’interesse per le spumeggianti onde che riportano specularmene a quelle del Poseidone, già descritto; il contrasto fra la linea degli stili, ossia le colonne, e lo scafo delle navi, sommariamente raffigurati, denuncia le mani di due diversi collaboratori, che operano in particolari diversi del medesimo affresco. La tensione equina, già rilevata, torna utile anche per un’altra Scena di battaglia, che richiama la diretta resa complessiva del collaboratore dell’altra scena similare, già vista; la resa delle lance e dei cavalli riprende il dettato della precedente, che non sembra voler desistere dal suo stilema, con le code cotonacee dei cavalli e i musi affinati. L’ultima scena considerata riporta una terza Scena di Battaglia, che denuncia due mani differenti, la prima del collaboratore delle due precedenti Battaglie, per la perizia sedula delle muraglie diroccate sulla destra, come la natura arborea che denuncia la stessa mano definita; mentre il secondo collaboratore opera al restante con la matrice meramente precaria delle architetture e delle anatomie.  I busti in particolare, sconosciuti e privi di identità definita, sono forse un omaggio ad antenati dei proprietari, oramai sconosciuti, di cui non restava alcuna traccia fisionomica, quindi possiamo ritenere che siano stati ideati su modelli stabiliti dal Fiorentini stesso, che li eseguì compiutamente ma senza alcun riferimento preciso; questa realtà pratica, legata alla prassi pittorica, supporta l’ipotesi che la famiglia committente fosse rilevante in Sermoneta, ma non godesse affatto di titoli nobiliari, deduzione derivata dall’assenza di ritratti precedenti, che avrebbero garantito maggiore fedeltà fisionomica a questa serie; quindi mancando gli archetipi le fisionomie poterono solo essere immaginate. La committenza potrebbe essere identificata nella famiglia Impaccianti, notabili di Sermoneta ed assai attivi nell’amministrazione sermonetana dal secondo Cinquecento, che nell’inventario citato risultano come affittuari del Palazzo dal 1744. Lo stilema della fattura comunque assevera un altro canone schematico della ritrattistica ideale, e non speculata sull’originale ritrattato; la somiglianza troppo spiccata fra i volti denuncia una resa assolutamente immaginaria; la definizione poi decade nettamente; larghe stesure che cercano di definire un volto aderendo ad una tipologia ripetitiva, sommarie considerazioni dell’anatomia, con il sussidio, mal steso, di ombre davvero precarie; la certezza della ideale conformazione  dei ritrattati è ribadita ulteriormente dalla netta vicinanza fisionomica con il San Leonardo, nell’Oratorio dei Battenti di Santa Maria, che suggerì la tipologia da ripetere. Abbiamo anche notizia di un secondo fregio, in una seconda stanza del piano nobile, di cui ora rimane solo un altrettanta modica citazione dal medesimo inventario e che crediamo oramai scialbato, ossia coperto da intonaco. Permane invece, con risoluta impronta stilistica, la natura fiorentiniana sui protomi femminili, che denunciano una netta connotazione sia fisionomica sia anatomica direttamente rapportabile a Domenico; la resa fisionomica riporta al futuro Beato Tommaso da Cori, di cui dopo, una tipologia che peculiarizza nettamente per il taglio degli occhi, le curve labiali dense, e la paffutezza del volto. Il complesso dei detti protomi, nella fattura non esalta, falli anatomici e molta precarietà complessiva, comunque restano un altro exemplum di attività figurativa che attesta una fase culturale di Domenico, quindi diviene rilevante. Una seconda commissione agevola una concessione inaspettata del Fiorentini al vedutismo, con topografia romana; la committenza è rapportabile alla famiglia Razza di Sermoneta, che forse potè constatare la qualità pittorica del Fiorentini in qualche fresatura ovvero pala, e quindi poi allogare questa serie di vedute romane che certamente non emergono per correttezza formale: l’attuale sala decorata funge da luogo di aspetto di un’attività  estetica[52] che, quantunque digredisca dalla funzione primaria, resta pur sempre una sala di rappresentanza, come certamente era in origine. La Veduta del Quirinale fiorentiniano decade nettamente nel segno e nella traduzione architettonica, ma rivela alcuni assunti meramente fiorentiniani, come i cavalli dei due Dioscuri, che ricordano nettamente quelli sia del Nettuno che della Battaglia sul fregio di Palazzo de Marchis; il volto femminile di una figura esornativa, sulla sinistra,  assevera ulteriormente la paternità di Domenico, poiché rapportabile  ai volti dei diversi protomi femminili del medesimo fregio citato; mentre un omaggio, che certamente Paolo Uccello avrebbe manifestato, è per la prospettiva della Via Pia, attuale Via XX Settembre, una suggerita profondità che adotta un criterio meramente geometrico piuttosto che  inerente alla realtà. La fase esornativa, sulla volta della stessa Sala manifesta un’indole da botanico professionale, che certamente ora guarda al Seicento floreale, Mario dei Fiori, ovvero alle panoplie di Pietro Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci, e alle diverse nature morte devolute generosamente  durante il Seicento romano; quindi una prova di finezza formale che emerge nettamente, e che attesta quanto il Fiorentini fosse polivalente nella fabbrica pittorica. Nella Veduta di San Giovanni in Laterano, oltre le condizioni non ottimali sembra però modificarsi nettamente la resa complessiva; la retta definizione abbrivia la sua sussistenza con rigore sia prospettico che meramente architettonico, la facciata laterale della Basilica romana, emerge per la completezza e la definizione geometrica, ma poi si perde nei ripiani secondari con una agglomerato semiformale delle abitazioni dietro stanti, per terminare con il Colosseo, trattato con sommi rilievi. Ma la presenza di Domenico in Palazzo Razza persiste in una seconda opera, coperta dalle intemperie e dalla polvere piuttosto che dalla disattenzione; una Vergine, Bambino e San Giuseppe, su di un pianerottolo di accesso dello stesso Palazzo sermonetano, attesta una fase  siciolantesca del Fiorentini; il volto vede a quello della prima opera siciolantesca conosciuta, la pala con Vergine, Bambino e Santi, ora nel castello Caetani, ma già in Valvisciolo; la fisionomia rivela nette affinità, le dita lunghe delle mani ravvisano oggettivamente quella della Vergine siciolantesca, il Bambino poi non perde occasione per attestare la sua stretta parentela, anche nella postura, con il San Giovanni Battista bambino, della medesima pala d’altare; il serico panneggio della manica della Vergine siciolantesca suggerisce la sartoria per quella della Madonna fiorentiniana; mentre il San Giuseppe, sulla sinistra, rivela attinenze fisionomiche con il collega della pala d’altare della Confraternita del Santissimo Rosario, già nella chiesa sermonetana di San Michele Arcangelo, ora nel Museo Diocesano di Sermoneta, anticipata, nel dato temporale, da questo affresco; una tangenza tutta sermonetana fra due autori che denuncia la prossimità di Domenico sia al Seicento che ai secoli precedenti, ma solo locali; un dato da considerare è anche quello della committenza, determinante per la scelta dei modelli, che avranno certamente ingiunto una netta prossimità ai canoni siciolanteschi, e quindi la consequenziale selezione dell’autore. Un’altra commissione meramente sermonetana è quella solo datata 1799, di una Crocefissione, già nella cripta della chiesa sermonetana di San Michele Arcangelo,  che rivela una connotazione siciolantesca, ossia con la Pietà della cappella Papazzurri, li ubicata sino al 1821, e che quindi il Fiorentini, residente in Roma dal 1768, ed esecutore di questa pala nel 1799, potè vedere attentamente pala siciolantesca e interpretarla agevolmente; quindi disporre la Vergine al posto della Vergine, e porre in controparte il San Giovanni Battista, come potè anche considerare il medesimo soggetto della cappella Massimi, in San Giovanni in Laterano, che certamente fornì sicure impressioni compositive per questo soggetto. Nella resa complessiva la fattura tessile emerge per la cucitura da sarto di lusso; mentre le anatomie e le posture rivelano ancora addentellati seicenteschi, quantunque assai parzialmente, che però attestano l’abituale convergenza fiorentiniana fra secoli alternatisi nella storia.

In Urbe ille fecit

Nel 1768 Domenico era a Roma[53], quindi terminato l’alunnato cercò, come era uso al tempo un centro assai cospicuo dove poter operare, e sembra esservi riuscito, almeno dalla commissione che gli fu affidata per il Collegio Germanico Ungarico di Roma, per il quale il sermonetano  risente ancora radicalmente del dettato tessile del suo maestro, che migliora certamente nella definizione portando ancora qualche longeva rimembranza del sermonetano dell’Oratorio dei Battenti; la fattura complessiva assai intensa traduce la resa dei pepli apostolici, come la veste della Vergine assunta, sulla volta dello stesso Oratorio; la fisionomia dei putti anticipa quella del Bambino nella pala della Madonna del Santissimo Rosario del Museo Diocesano; mentre il dato meteorologico, ossia le nuvole, restano parimenti cotonacee, come quelle della Vergine sulla volta citata. A tal proposito la sartoria della Pace e la Guerra, su di un soffitto dello stesso Collegio rivela ancora strette attinenze con la morbida fattura dell’Incoronati, la melliflua fattura della serica stoffa traduce l’assunto adottato dallo stesso Carlo Antonio nella pala setina, già vista; nel complesso comunque risulta assai meglio definito nella fattura grafica, ben presente, che agevola la resa complessiva, forse mutuando dal Lippi romano, qualche suggerimento per la fluenza. Il Beato Tommaso da Cori, nella chiesa di Santa Maria della Pietà di Cori, eseguito a Roma, come attesta uno scritto pubblicato[54], che rivela la costante presenza romana[55] del Fiorentini, per mancanza di commissioni sermonetane, che fossero continue e rilevanti, comunque Domenico, per questa pala adotta un canone di realtà concreta, chiaramente caravaggesca, ma senza attestazione di origine lombarda controllata, ossia assumendone gli aspetti manifesti, quale il panneggio e la postura, reinterpretata, del fedele in primo piano, che digredisce nettamente dalla ricercata eleganza fiorentiniana, ed il Settecento raffinato delle vesti fluenti; ma sempre saturando di colore le pregne fatture pittoriche, ora però concedendo ai velami di essere ben vigorosamente presenti, e qualche ricordo del San Sebastiano del sermonetano Oratorio dei Battenti, per la postura del fedele, sulla sinistra in secondo piano, riemerge nettamente. Un appuntamento caetaneo per il Fiorentini affidato alla paternità del Cavallucci[56]: la tipologia fisionomica della Cibele, nel Cibele avanza sul carro trainato da due leoni, riporta specularmene a quella della divinità, parimenti su carro mitologico, di Palazzo Altieri, di cui sembra avvicinarsi anche per la postura; la resa del panneggio sembra però digredire dalla resa  fiorentiniana che non segue certamente quella dell’epidermide, assai meglio definita da pennellate meramente delicate e calibrate su un codice compatto ma concreto; il leone poi sembra un ricordo prettamente sermonetano, ossia quelli delle acquasantiere della Cattedrale, ovvero qualche passaggio zoologico da Isaia da Pisa. Con la congiuntura napoleonica e la consequenziale conquista di parte dell’Italia, la sede di rappresentanza romana dell’Imperatore, ingiunse che determinati restauri e contributi sia pittorici che artigianali intervenissero per migliorare formalmente la residenza; quindi intorno al 1812, il Fiorentini non mancò all’appuntamento napoleonico di Roma; una serie di saldi ne attesta la partecipazione con dovizia di particolari, anche direttamente estranei alla decorazione ma che, in effetti in un contesto quale quello fiorentiniano restano utili: un dato meramente domiciliare certifica la residenza di Domenico a Roma in Piazza delle Carrette n.3[57], e che al Quirinale opera al restauro di un fregio di rappresentanza voluto da Paolo V Borghese durante i primi anni del Seicento, come ad un secondo fregio, certamente di sua ideazione, come recita un sinottico passo del saldo riportato, dove riporta Ornare il fregio, che potrebbe intendersi come una decorazione al di sotto della precedente, che poi lo stesso Domenico, assai parzialmente, ridipingerà. Il dato di una seconda commissione, riguardo ai fregi quirinalizi, ora ipotizzato, dipende dalla duale lemmatica adottata per il saldo, oltre ché dalla documentazione che attesta analiticamente l’intervento di ridipintura sul fregio paolino citato. La dicitura Ornare il fregio contrasta nella sua espressione meramente linguistica con l’altra che recita, per un secondo saldo: Per aver incorniciato il lavoro del Ristauro del quadro nel Mezzo la Volta di detto Salone, resta ovvio che la differenza fra i saldi è data dalla diversità degli interventi; quindi nello stesso pagamento complessivo, che compensa l’opera fiorentiniana, la documentazione attesta che in un luogo preciso lo stesso Domenico viene pagato per Ornare il fregio, e poi per il lavoro del Ristauro; da cui si evince che la duale dicitura fra restauro e ornamento, era già un dato acquisito, per cui la distinzione tende ad asseverare che un luogo fu restaurato dal Fiorentini mentre un secondo luogo sembra affrescato integralmente. Inoltre in occasione del restauro del fregio paolino viene accuratamente menzionato il luogo dove opera il sermonetano: Conto dei Lavori ad uso di Pittore figurista fatti in occasione di aver ristaurato alcuni fregi sotto li soffitti dei grandi Saloni del palazzo sudetto[58], quindi il restauro richiede con la descrizione allegata una prolissa ekfrasis che riporti i diversi soggetti restaurati; quindi se il fregio ornato, visto sopra, fosse il medesimo, si dovrebbe considerare che, assai irregolarmente, viene a mancare la descrizione, per asseverare e giustificare il saldo con un sintetico Ornare il fregio, che sinceramente appare troppo modico per descrivere un intervento, considerato invece rilevante, quale quello al quale si riserva una sedula descrizione. Inoltre uno stemma imperiale trova cittadinanza nel Salone dei Grandi Ufficiali, dai resoconti resi, ed un’altra sussistenza fiorentiniana è documentata, non da dati archivistici ma da fatture stilistiche, alcuni vasi di fiori, che riportano quasi esattamente a quelli di Palazzo Razza in Sermoneta, già descritti prima, gli stessi errori prospettici, la stessa pennellata densa, e gli stessi confusi fiorami che ripristinano un dettato formale già impiegato altrove, e che ora torna utile per colmare un vuoto decorativo che sarebbe inevitabilmente emerso. I restanti quattro clipei monocromi puntualmente registrati nei saldi: Numero 4 di tondi con putti a chiaro scuro bianco, e nel mezzo li detti tondi li bassorilievi color metallo con aver dipinto di nuovo una delle facciate di detta stanza[59],attestano ancora lo stilema fiorentiniano, che ricorre ai copioni già adottati, il panneggio assevera la vicinanza sia alla fluenza della Santa Martire setina, già vista prima, che alla Vergine nella pala con Madonna, Bambino e San Domenico, nel Museo Archeologico di Sezze; la fattura complessiva certamente non esalta, ma denuncia una retta fattura che, a livello del segno, accredita una fase di ferma impronta pittorica, ora certamente migliorata, che denuncia anche un superamento verace del dettato pittorico dell’Incoronati; le anatomie  puerili vengono raccolte fra linee definite con rigore ed anche la natura fisica, ossia la frutta ubertosa sembra asseverare un netto miglioramento. Il panorama romano però riservò a Domenico anche un dispiacere, almeno fra quelli fino ad ora conosciuti; un tacito diniego, quello dell’Accademia di San Luca. La richiesta di entrare come membro effettivo è documentata[60], forse intorno al 1810, ma l’assenza dai registri degli accademici attesta il rifiuto; comunque la lettera fiorentiniana riporta anche qualche informazione sui lavori, ora perduti, del Fiorentini romano, per chiedere l’ammissione alla prestigiosa Accademia, il Nostro scrive: Domenico Fiorentini avendo dipinto la chiesa di San Chirico con comune applauso; la decorazione citata è oramai perduta per i restauri della seconda metà del XIX secolo, nella chiesa di San Quirico e Giulitta, citata parzialmente nel testo riportato, che comunque induce a ritenere che Fiorentini, residente in quella parrocchia, godesse di una solida notorietà, data la commissione che, a differenza della richiesta formulata dal sermonetano, ebbe un effetto certamente più gratificante. Almeno quanto l’intervento in San Bartolomeo all’Isola, che certamente ebbe un seguito letterario, almeno considerando la critica recente e meno[61], come l’Angeli, che, parlando della chiesa di San Bartolomeo all’Isola, in particolare le cappelle sulla destra, descrive: Sull’altare San Francesco e San Bonaventura di Antonio Fiorentini; alle pareti: Storie della vita di San Francesco, dello stesso. La composizione degli affreschi accoglie la spiritualità teatrale del Seicento, che non tralascia, come abitualmente per Domenico, la resa del medesimo secolo; la fattura cromatica appesantita dall’esempio di Luca Giordano, nel San Francesco orante, del castello Caetani di Sermoneta, suggerisce le pieghe nette per il San Bonaventura, la pennellata levigata, denuncia un’intenzione attenta al dettato formale che digredisce dal secolo prescelto da Domenico, per orientarsi verso il Settecento romano, definisce con rigore, e nettezza, la fase epidermica appare sinceramente delicata nel complesso, e prossima, nella fattura, alla pala della Madonna del Rosario, nel Museo Diocesano di Sermoneta, quantunque si debba specificare, e ripetere, prossima, ossia vicina nello stilema ma con connotazioni differenti; infatti questa pala denuncia una sorta di fase transeunte fra il Seicento, tanto seguito, ed il Settecento che per Domenico sembra quasi un’invenzione, nell’accezione latina del lemma, ossia una scoperta, che supporta una timida adesione al secolo coevo al Nostro ma, ben inteso, trattenendo le sue personali versioni culturali, che riemergono dalle forti impronte epidermiche dei pargoli, e dal complessivo tono oscurantista che mutamente si distende sull’intera pala, che risente fortemente anche della tenebrosa cromia adottata spesso in Sermoneta da autori locali e no, come il Maestro della Madonna del Rosario come il Litardo Piccioli della pala con la Vergine bambino e i Santi Francesco ed Antonio, già sull’altare maggiore della chiesa del convento di San Francesco di Sermoneta, ora in luogo ignoto per ragioni di sicurezza, opere che certamente il Fiorentini vide fin dall’adolescenza e che potrebbero aver contribuito alla resa finale di questa pala. I suggerimenti pittorici ora riportati vengono confermati anche da rimembranze pacatamente sermonetane, per il San Francesco e l’angelo, riquadro sinistro della volta della cappella della chiesa romana, emerge un’attinenza con la medesima pala d’altare sermonetana citata; il Sant’Antonio sermonetano credo abbia accreditato l’ideazione per la postura dello stesso assisiate romano, come il medesimo di sermoneta nella stessa pala, ha operato per quella dell’omonimo romano, sul riquadro destro della stessa cappella; mentre il paesaggio vede rettamente a quello delle frescature tardo cinquecentesche di Palazzo Caetani, che il Fiorentini potè certamente speculare in occasione della sua Cibele, già descritta, e che trovano la loro retta identità fra le setole di Paolo Brill, ovvero brilliani di occasione; il paesaggio in effetti si riferisce rettamente ad un dettato formale tardo cinquecentesco, che delinea con rigore la natura fisica condensandola in qualche spunto arboreo. In Palazzo Altieri opera anche il Fiorentini, precisamente nella Camera da letto d’estate, dove esegue due sovrapporta, insieme a Salvatore Mannaioni[62]. La plastica tessile del Fiorentini, oltre ai connotati meramente seicenteschi profusi dall’Incoronati, certamente avverte anche la resa del Giani, almeno attenendomi alla fattura complessiva dell’Atalanta e Ippomene ovvero alla Diana e Atteone che hanno potuto influenzare la resa di Domenico con la forte impronta materica adottata dall’emiliano; il Fiorentini certamente era sollecitato dalla versione emiliana del cromatismo, ma che esortò, involontariamente, anche il Nostro a ripristinare e addurre una valente stesura quantunque assai meglio definita nel divenire figurativo, quindi una retta influenza che però il Fiorentini assimila e traduce autonomamente cogliendo solo ciò che ritiene necessario. Altre indicazioni fiorentiniane emergono anche dalla telegrafica descrizione della visita di Pio VII all’Oratorio di San Francesco Saverio, meglio conosciuto come del Caravita, per la cui visita papale furono approntati diversi apparati scenografici, dei quali il Cracas[63] dice: Il disegno della Macchina, e delle Figure sono del celebre Signor Domenico Fiorentini, Fratello del detto Oratorio. Sempre il Cracas ci soccorre per le opere romane del Nostro, quindi descrivendo una processione dalla chiesa di San Quirico e Giulitta a quella dei Santi Domenico e Sisto, riferisce l’accaduto[64]: …ha dati i più significanti contrassegni di ammirazione in vedere detta Chiesa di San Quirico  abbellita di vaghe e spiritose Pitture. Il celebre Signor Domenico Fiorentini Sermonetano n’è il perito artista, che con genio e gusto senza pari, in pochissimo tempo ha tirato a perfezione non solo  figure Colossali, che ognuna di esse un quadro compone, ma eziandio Quadri di composizione numerosi di varie figure. Il suo colorito con i primi di sì arte sublime, vedendosi l’originalità in tutte dette figure sì nei panneggiamenti, che nei nudi, accoppia il fervido artista due cose fra loro discordi, forza cioè e vaghezza; a tutto per la strada armoniosa delle più leggiadre e belle mezze tinte, che giocando fra loro, appagano soavemente lo sguardo di chi la rimira; restando del pari ingannato e contento. Ha ragione a gloriarsi Sermoneta di avere dati a Roma nel secolo decimo quinto un Tullio e Girolamo Siciolante, annoverato tra i primi col titolo. Sermoneta: nel decimo ottavo un Cavallucci; e nel presente un Fiorentini, che nelle sue opere fà ammirare quieta e perfettissima armonia; vaghezza priva di debolezza; forza, ma senza oscurità, velocità inarrivabile…Antecedente nel tempo ma successivo nel testo una nota, parimenti sinottica del Cracas, ripete quella già riportata prima, per le macchine dell’Oratorio del Caravita[65] riguardo all’ideazione della vicenda agiografica di Santa Maria Egiziaca, approntata nel medesimo Oratorio, quindi recita: Il Disegno della Macchina, e delle Figure sono del celebre Signor Domenico Fiorentini Fratello del detto Oratorio…            

Seicento formale

Una delle opere fiorentiniane che emerge nel panorama locale, è la Madonna del Rosario, già nella chiesa sermonetana di San Michele Arcangelo, ora nel Museo Diocesano[66]; la genesi della commissione resta ancora ignota, ma riteniamo che la stessa confraternita abbia commissionato questa pala duranti i primi anni dell’Ottocento; la cappella ove era ubicata la pala risale al 1525[67], con giuspatronato della famiglia Bucci, di cui ancora conserviamo un documento, risalente al 1646 che ne attesta un passaggio ereditario[68] per poi essere assunta nel medesimo valore legale dalla Confraternita citata; la pala comunque riserva ancora nette impressioni seicentesche, la stesura segue, quantunque con una resa assai meglio definita, quella della Vergine e Bambino e San Domenico di Sezze, già vista, rettificandone però la nettezza formale quanto cromatica; la fattura complessiva, in effetti, asseconda fedelmente la pennellata corposa ma lapidea del Seicento romano, la veste del San Domenico, sulla destra, ne sia esempio; trattenuta nella materia tessile sembra quasi intridersi di fibra serica, e la fattura epidermica non delude le aspettative, una delicata chiarezza che stende, con rigore analitico, la superficie; il San Girolamo, sulla sinistra, invece sembra aderire al dettato meramente fiorentiniano, il profilo segue pedissequamente quello del San Carlo Borromeo, sulla parete sinistra dell’Oratorio dei Battenti, mentre la stesura resta parimenti reale nella resa, il panneggio del medesimo santo poi persevera la risoluta aderenza al Seicento cromatico, con spunti di notevole sartoria, ossia con piegature analitiche che sanciscono il distacco dalla gravità precedentemente adottata; il San Giuseppe, in alto, ravvisa qualche spunto del Troppa, dopo aver filtrato la naturalezza emiliana del Guercino, mentre la Vergine attracca sulle sponde fiorentiniane trattenendo la fisionomia schematica, sebbene meglio trattata, rispetto alla neoveneta Vergine con Bambino e santa martire, della Cattedrale sermonetana, di cui comunque permane il netto ricordo. L’autografia complessiva però sembra parzialmente invalidata per la Santa Caterina, sulla destra, che denuncia il compendio pratico di un collaboratore, assai meno perito, e meno definito, che accenna sommariamente la figura ma senza grande impegno. Un riferimento sulla confusione stilistica e quindi temporale indotta dal Fiorentini verso la critica, è attestato dalla voce inerente a Domenico, correlandola con errori davvero risibili[69], ma che denunciano la natura seicentesca della cultura fiorentiniana, il testo recita: Fiorentini Domenico Antonio, pittore del XVII secolo in Roma affrescò la vita di San Francesco nella terza cappella sulla destra della chiesa di San Bartolomeo all’Isola.

Roccamassima

La Santa Cecilia, già in deposito nel Museo Diocesano di Sermoneta, ora tornata nel sito originario, nella chiesa di Santa Maria a Roccamassima, ha permesso un’indagine accurata per cercare, ed identificare, l’autenticità nelle setole locali del Fiorentini; la tipologia fisionomica della santa ripristina, con un fragore luministico rarefatto, ma parimenti identificabile, quella della Vergine nel Sacro Cuore di Maria[70], la conformazione del collo poi sembra mutuarne quasi pedissequamente la fattura, la curva labiale ne riprende esattamente l’assunto anatomico con la densità epidermica tipica dello stilema del Fiorentini; la mano di una figura femminile poi ricalca da vicino quella della Vergine citata, sia nella fattura che nella positura. La resa complessiva della tela denuncia un incipitale, quanto finale, digressione del Fiorentini dalla versione stilistica seicentesca del suo maestro Carlo Antonio Incoronati, per ricercare altri indirizzi formali che, fruendo della totalizzante luce settecentesca, sembrano quasi diradare le figure assimilandole al chiarore imperante. Quindi la linea sovverte la esperita stesura coprente di Domenico per adagiarsi sul valore intrinseco della linea formante delle fisionomie quanto della tessitura, che digredisce dalla gravità consueta per addurre la nettezza algida della fattura; quindi cesella con rigore acribico le pieghe di sartoria che diviene, ora, di alto lusso; riassume, nella tipologia fisionomica, qualche dettato specifico dell’Oratorio dei Battenti di Santa Maria di Sermoneta, la Vergine assunta, sulla volta, migliorandone nettamente la definizione nella linea costipante, la stesura poi, in punta di pennello, denuncia la crescita davvero rimarchevole del pittore che si destreggia per ora fra la rada luce bagnante del Settecento e la schematica composizione martiriologica del putto latore dell’alloro, la cui origine resta asseverata alla Riforma.  La committenza resta ancora ignota ma l’estensione territoriale raggiunta da Fiorentini denuncia che Domenico godè di notevole fama, quantunque in un contesto prettamente locale, aderendo sia alle volontà, ovvero preferenze del committente, sia arricchendo così il proprio dettato pittorico, che in questa tela assume pregnanza nel fragore manifesto, tralasciando la linea formante seicentesca che caratterizza il suo catalogo; ma senza tralasciare la resa prettamente cromatica che addensa risolutamente le pennellate, tipica eredità seicentesca.

Lux fiat

Nel Museo Archologico di Sezze emerge, fra le altre opere custodite, una tela che lo scrivente ha restituito al Fiorentini in altro luogo[71], che consolida la presenza fiorentiniana anche in terra setina, oltre gli sporadici riferimenti occasionali già rilevati prima; una Vergine con Bambino e San Domenico, la cui peculiare fattura, per il catalogo fiorentiniano, attesta un netto miglioramento stilistico; la linea sovverte le precarie rese fino ad ora adottate da Domenico, la concentrata fattura della sartoria denuncia nette stesure calibrate con centellinata analisi; la resa fisionomica  migliora nettamente, tralascia le deformanti traduzioni caricaturistiche quanto i facili stereotipi adottati, per cogliere volti conformi alla natura, attestanti dati naturali; il segno sancisce nettamente le anatomie soprattutto quella puerile, migliorata nelle paffute carni. Il momento stilistico, sebbene assai concentrato, coglie anche il valore della luce, che fino ad ora, tranne sporadici esempi, sembra sommergere compiutamente la tematica trattata; quindi la persistente adesione del Fiorentini al Seicento romano, ma in chiave luministica che come approdo sicuro ebbe, nel Cortona, l’esortante fulgore, qui sembra maniferstarsi. La luce quindi si irradia fragorosamente, ma senza eccedere sul soggetto, saturando però, con delicata radialità, il contesto. Il San Domenico di questa pala sarà il medesimo che poi verrà reimpiegato nell’altra della Madonna del Rosario, ora nel Museo Diocesano di Sermoneta, ma già nella chiesa sermonetana di San Michele Arcangelo; altra notazione da rimarcare è la postura del medesimo santo, con le spalle rivolte, sembra seguire la triade del primo piano dell’Assunzione della Vergine, di Carlo Saraceni, nella chiesa romana di Santa Maria della Scala, una postura che certamente attrasse l’attenzione di Domenico, adottata, come abbiamo constatato altrove, in questo soggetto; la novità in effetti coglie anche lo spirito puramente concreto ed umano dello stesso Saraceni, che nel suo realismo caravaggesco, ma senza esacerbarne la quotidianità, seppe anche destreggiarsi fra natura ed ideale ascetico; il Fiorentini sembra aver captato e compreso compiutamente il dettato del predetto Carlo, ed averlo poi tradotto in questa pala; in effetti Domenico, nella estatica epifania, correlata alla luce che rimarca la natura divina dell’evento, non rinuncia ad adottare la natura umana manifesta nella  postura vista, che risulta assolutamente spontanea e distinta dall’enfasi imperante, quindi smette l’abito ascetico e indossa quello terreno.

Denique lapis

Dopo tante pennellate un tocco di lapis non credo determini sconcerto, anzi forse potrà ampliare un impegno che certamente considera prevalentemente la natura pittorica, che però ora risulta assai opportuna per assimilare i segni alla resa delle setola. In effetti il carpire tratti pittorici della peculiare fattura fiorentiniana, nel contesto formale, diviene agevole, per chi abbia conservato impressioni aderenti al dettato culturale di Domenico, ma per la cospicua, almeno nel contesto critico, produzione pittorica fiorentiniana il dato oggettivo permane nella sua sussistenza meramente riconoscibile; come oramai comunemente assunto, il dettato pittorico deve coinvolgere, nella sua prima ideazione, quello grafico, che resta il dettato incipitale di un progresso ideativo poi da tradursi, ovvero tradotto, nel contesto figurativo complessivo. Il capitolo grafico del Fiorentini trova ora una sua iniziale conformazione stilistica in uno schizzo che certamente, come era uso, venne poi adottato, rapportandolo alle dimensioni obbligate, in un affresco sermonetano, quantunque la traduzione formale non sia speculare ma solo una diretta derivazione che asseconda il modello ideativo grafico, quindi una matrice verace, tratta da un modello oggettivo che poi ebbe libera consequenzialità in una resa pittorica. Il dato prettamente stilistico assevera l’autografia forentiniana: la tipologia fisionomica del putto sulla sinistra che cavalca, in una denominazione univoca e totalizzante, quantunque la configurazione non declini a favore dell’elemento icastico, riporta, con speculare aderenza, allo stilema di alcuni putti di certa paternità fiorentiniana, il Bambino nella Madonna del Rosario, nel Museo Diocesano di Sermoneta, come il putto sulla destra in alto, nella medesima pala, ed inoltre al marcato profilo del Bambino e del San Giovanni Battista bambino, nella Sacra Famiglia affrescata nella seconda sala del medesimo Museo; non manca inoltre il contributo equino, che attesta la citata paternità per la postura del cavallo dello stesso putto, come per la caratura formale, che raccoglie la fattura complessiva di un altro cavallo in un affresco polemico, nell’accezione greca del lemma, con la conflagrazione di due cavalieri, in un fregio del Palazzo De Marchis di Sermoneta, come il reimpiego della medesima positura adottata per un cavallo sulla sinistra, con un soggetto poseidoniano, nel medesimo fregio; la stessa intensa partitanza emotiva dell’animale e la medesima fattura muscolare che denuncia con retta definizione il gessetto fiorentiniano; la fattura complessiva del disegno, poi, corrobora il dettato stilistico; la resa in effetti esplica la natura di uno schizzo, una pronta impressione colta e tradotta da parte dell’autore nel divenire grafico, che non sostanzia con acribia la compiuta produzione, ma ne coglie solo i luoghi prettamente eminenti, da cui, come già esplicato, estrarre, all’occasione, particolari idonei per la traduzione pittorica; quindi il dettato grafico tende, assecondando la sommarietà del sermonetano, a visualizzare, in sparuti segni, solo modici suggerimenti fisionomici atti a contornarne il soggetto strutturale, qui una fontana, che certamente il Fiorentini ritenne atta per una futura trasposizione pittorica, che potrebbe essere stata suggerita da questo schizzo, per una scena di incerta identità, poi tradotta nel fregio del citato Palazzo de Marchis.

 

Residenze del Fiorentini in Roma

Il fondamentale contributo dato dalla documentazione riporta, come già accennato, anche alcuni particolari interessanti per coloro che non sono mai ascesi alla ribalta della critica; quindi anche la residenza romana del Fiorentini, evinta dai saldi quirinalizi, riportati in appendice, forniscono su dove risiedesse il Nostro, dato che in Sermoneta sembra che fosse scomparsa anche la famiglia, almeno da uno Stato delle Anime del 1780-1783[72], che attesta il nome familiare ma senza compiere alcun riferimento preciso alla famiglia ovvero qualche suo membro, escluso Domenico, già residente in Roma dal 1780; quindi il riferimento topografico registrato nei saldi agevola la ricerca sull’ubicazione della residenza di Domenico. La prima residenza fiorentiniana attestata dalla documentazione è quella di Vicolo del Lauro, un vicolo oramai scomparso, di cui si viene accertatati dalla ricerca toponomastica romana[73] che era un vicolo scomparso, probabilmente nel rione Monti tra Via Miranda e Via Cavour, la denominazione deriva da una pianta di alloro, appunto il lauro. Inoltre si ha notizia di un secondo vicolo del Lavoro, probabilmente Lauro, presso il Tempio della Pace, nella medesima regione urbana. L’esito non entusiasma; la definizione topografica venne definitivamente  cancellata con il Piano Regolatore del 1931, in occasione della pianificazione stradale di Via dell’Impero, che pianificò l’intersezione dell’attuale Via Corrado Ricci con la medesima via cittadina citata, quindi lasciando la sola Torre dei Conti, ma annichilendo il resto. La regione cittadina considerata comunque non era propriamente recente, ma risalente all’età repubblicana di Roma: era la strada di accesso delle modici carretti che accoglievano il carico di quelli più grandi, dato il categorico divieto di accesso ai carri, tranne quelli che traducevano materiale edile; durante l’alto Medioevo e la caduta del potere imperiale, il divieto decadde, ma venne ripristinato con il pontificato di Martino V Colonna(1417-1431). La torre dei Conti, ossia della famiglia di Lotario dei Conti di Segni, quindi Innocenzo III, fu eretta fra il 1198 ed il 1216, permettendo così il controllo diretto sulla strada che conduceva direttamente ai colli del Campidoglio e del Quirinale, come dell’Esquilino. La grafica topografica di Roma, ossia le diverse planimetrie approntate nei secoli riportano oggettivamente la natura strutturale e quindi topografica della piazza, il Bufalini, nel 1551, riporta la Piazza delle Carrette, come il Falda nel 1676, e non da meno è il Nolli, nel 1748; un altro documento figurativo, di Luigi Rossigni riporta le condizioni dei primi decenni dell’Ottocento, da cui appare la condizione davvero trascurata del luogo, e che conservava ancora l’originaria destinazione di parcheggio momentaneo di carrette; al 1940 risale la denominazione attuale a Corrado Ricci, archeologo, storico dell’arte e scrittore morto nel 1934 e sepolto nella prossima chiesa dei Santi Quirico e Giulitta. Per il Fiorentini la vicenda meramente biografica rivela che nel 1771 era ospite in una casa, ospite nell’accezione lata del lemma, ossia affittuario, che risiedeva al primo piano con un Antonio Pane, la moglie Facezia Romei e un Giuseppe Scapigliati nipote[74], e contrae matrimonio con Maddalena Lanciani nel 1784[75], era residente in Piazza delle Carrette n .3[76], ed ivi muore nel 1820[77].

Res eant: opere perdute

Anche nella biografia pittorica fiorentiniana sono annoverabili alcune perdite, ossia opere di cui oggi conserviamo solo qualche documentazione sia fotografica che meramente pittorica; Un Sacro cuore di Maria, di cui conserviamo la sola fotografia, già nella chiesa di San Michele Arcangelo di Sermoneta, attesta quanto il Fiorentini romano abbia accolto e tradotto il dettato di Guido Reni  come abbia anche migliorato la fattura generale, schematizzando la resa fisionomica, seguendo ancora il Reni, e si sia evoluto verso orizzonti assai meglio definiti, quantunque coinvolto ancora da un passatismo che per Domenico divenne quasi un referente imprescindibile; la Santa Cecilia, nella chiesa romana di Santa Cecilia in Trastevere, di Guido suggerisce lo sguardo estatico e fideistico, la curva labiale si attiene a quella del San Leonardo, nell’Oratorio dei Battenti, l’uniforme linea che fonde le sopracciglia al naso segue lo schematismo formale adottato per la Vergine assunta, sulla volta dello stesso Oratorio, le dita riprendono specularmene quelle della Santa Caterina, sulla destra nella pala d’altare  della Madonna del Rosario, Museo Diocesano di Sermoneta, tanto simili da suggerire che la similitudine sia non solo formale ma anche temporale. Un secondo dato che frustra il catalogo fiorentiniano è la perdita, in seguito a restauri, intorno al 1850, di alcuni affreschi nella chiesa romana di San Quirico e Giulitta, compiuti prima del 1810, citati dal medesimo Domenico nella lettera riportata[78] un cui passo recita: dipinto la chiesa di San Chirico, nella cui circoscrizione parrocchiale risiedeva il Fiorentini; inoltre un San Pietro e un San Paolo, già nella cripta della chiesa di San Michele Arcangelo, già citata, sono stati recentemente cancellati, sulla parete di fondo della stessa cripta, per la riemersione di un affresco seicentesco. Ma non manca un riferimento meramente romano attestato da Guattani[79] che descrivendo l’annuale concorso di pittura tenuto nel Convento romano delle Convertite, descrive con dovizia di particolari l’esposizione: Le belle Arti finalmente hanno incominciato a far mostra dei propri prodotti al nuovo Seggio, che si prepara ad esse sul corso. Non essendo tuttora all’ordine la Sala di pubblica esposizione, che la providenza del nostro benefico Sovrano, e le premure del Signor Cavalier Canova hanno stabilito sul locale del fu Monastero delle Convertite, si è dovuta eseguire la prima esposizione de’Quadri nella prima Stanza dell’Accademia del Nudo, quivi trasportata dal Campidoglio…In appresso sono stati esposti nell’istesso locale altri tre Quadri: il primo di una Venere in schiena giacente in un ben inteso, ed armonico paesaggio, opera del noto Signor Fiorentini…

Ultra stilum

I connotati specificatamente pittorici del Fiorentini possono anche risultare marginali per considerare aspetti sempre riposti, ovvero solo occasionali, di una biografia pittorica, ossia quelli meramente estranei ai commenti estetici e culturali assumendo invece la veridicità documentaria solo nel dato economico come giudiziario, da cui il nostro Domenico non fu esente. Quindi una pacificazione per la mancata dazione della dote di Anna Maria sorella del pittore, oramai defunta, nel 1786, che il vedovo della predetta dopo diversi episodi giuridici esige come giusta sua proprietà, come una restituzione prestata dallo stesso Domenico ad un esponente di riguardo di Sermoneta[80], come anche il padre, Alessandro, di Domenico trova cittadinanza fra le vetuste carte d’archivio[81]
Alessandro Lusana      

Appendice A

Cappella Bucci e del Santissimo Rosario

In Nomine Dei Amen. Anno Domini 1646 Inditione XIV die vero primo Augusti Pontificatus Sanctissimiin Christo patris, et Dominus Nostri Domini Innocentii divina providentia Pape X Anno secondo. In mei personaliter costituti Illustres Domini Petrus, et Alexander de Bucci de Sermoneta heredes cum beneficio Legis, et Inventarii quondam Cesare Bucci eorum patri, qui asserentes dicto quondam Cesare in suo ultimo Testamento, in quo decessit reliquisse tumulos vigintiquattuor terrarum in detto Testamento plene expressarunt, et declamata  pro legato pio cum onere duarum Missarum qualibet hebdomata celebrando in Cappella Nova Sancti Hieronimi in Ecclesia Sancti Angeli Sermonete existens de jure patronatus ipsorum Domini de Bucci, dictumque legatum olim concessisse Domino Antonio Pitio, dictumque Domino Antonio Pitius  iam uxore duxisse, ubi esse tactus locum vacazioni dicti legati; Hinc propterea dictus Legatus cum eius oneribus, et honoribus sponte cesserunt, concesserunt Illustrissimi et admodum Domino Francisco Bucci eorum Nipoti presentibus cum omnibus et omnia nullo jure ad habendum ponentes constituentes dantes et donec constituerunt promittenets presens Instrumentu predicti Legati concessionis sempre, et perpetuo habere ratum, gratum, et firmum, et in nihilo contrafaceres quovis pretextu alias de quibus pro quibusque sese heredes ac bona in forma Reverendae Camerae Apostolicae cum clausulis citra obligaverunt renuntiaverunt consenserunt et sic tectis juraverunt superquibus. Actum Sermonete in domo meis solite habitationis de proprietate venerabile capituli Sante Marie in Regione eiusdem Ecclesie iuxta suos presentibus Revendus Dominus Carolo Francho, et Domini Alexandro Tomarosio, et Fracisco Martello de Sermoneta Testibus. Ego Joannes Felix Tabarro de Sermoneta terracinensis Diocesis, publicus dei gratia Apostolica autoritate Notarius de predictis rogatus presene Instrumentum scripsi, satis scripsi pubblicavi, et in publica forma redegis.

 

Concessione della cappellania di San Girolamo nella Collegiata di Sant’Angelo Juspatronato della casa Bucci con 24 tumoli di terreno per legato Pio, lasciato dal quondam Cesare Bucci col peso di due messe la settimana.

In Nome di Dio Amen, Anno del Signore 1646 Indizione XIV giorno primo Agosto Pontificato del Santissimo Padre, e Signore Nostro Innocenzo divina Provvidenza Papa X Anno secondo. In mia personale costituiti gli illustri Signori Pietro, ed Alessandro Bucci di Sermoneta eredi con beneficio della Legge, e Inventario del fu Cesare Bucci loro padre, i quali asserendo che nell’ultimo Testamento del detto fu Cesare, che decedette e lasciò tumuli ventiquattro di terra nel detto Testamento pienamente espressero, e declamato per legato pio con l’onere di due Messe per quando si voglia nella settimana da celebrare nella Nuova Cappella di San Girolamo nella Chiesa di Sant’Angelo esistente secondo il giuspatronato degli stessi Signori Bucci il detto legato un tempo concesso al Signor Antonio Pizi, e il detto Antonio Pizi già alla moglie aveva concesso dove essere fatto il luogo per la detta vacanza del legato; Questo detto legato con i suoi oneri, e onori spontaneamente per primo cedettero, concessero all’Illustrissimo, e a modo al Signor Francesco Bucci di questi Nipoti presenti con tutti ed ogni cosa per nessun legge di avere ponendo e costituendo dando e infine costituirono promettendo la presenza dell’Istrumento predetto con Legato di concessione sempre ed in perpetuo avere, grato, e fermo, e in nulla contraffatto con qual si voglia pretesto altrui dai quali per chiunque loro eredi nella forma della Reverenda Camera Apostolica con clausole oltre che obbligano e rinunciano e censurano, e così con il tetto giurarono su queste. Atto in Sermoneta in casa mia solita abitazione di proprietà venerabile capitolo di Santa Maria in Regione della stessa Chiesa presso i suoi presenti il Reverendo Signore Carlo Franco, e il Signor Alessandro Tomarosi, e Francesco Martello di Sermoneta Testimoni. Io Giovanni Felice Tabarro di Sermoneta diocesi di Terracina, pubblico di Dio grazia Apostolica autorità Notaio dai predetti rogato presente Istrumento scrissi, sottoscrissi e pubblicai, e ho redatto in pubblica forma.

 

Appendice B

Roma 7 ottobre 1786. Il seguente martedì 4 del corrente ottobre ricorrendo la festa del serafico patriarca san Francesco d’Assisi il santo padre col servizio del semipubblico si portò a detta chiesa(Santa Maria in Aracoeli). In tale occasione il santo padre si degnò di osservare un quadro da altare collocato nell’appartamento del riferito padre generale rappresentante il novello beato Tommaso da Cori in atto di comunicare in tempo che celebrava il santo sacrificio della messa, fatto dipingere ad olio dal reverendo padre Luca Monti romano postulatore generale di quell’Ordine, dal signor Domenico Fiorentini di Sermoneta, il quale in breve sarà spedito per essere collocato nella chiesa de’padri minori osservanti di Cori. La tela è firmata “Domenicus Fiorentini Sermonetanus Pinxit 1786”.

Appendice C

Illustrissimus Dominus Josepho Cavaluccia de Sermoneta  annos(…) ut a qui ejus medesimus juravit ad opposite mei Inter sopra quel tanto che mi domanda per la verità depono, come hoggi che siamo li 30 del corrente mese Giugno 1691, loro venuto con assieme con il sopradicto Giuseppe Vari Giuseppe Baccaio altri testimoni nella cappella della Compagnia de Battenti de Santa Maria de Sermoneta, ove di presente si trovano esistente dentro la detta cappella Chiesa de Santa Maria nella parte destra della Porta maggiore di detta Chiesa contigua alla cappella della famiglia de Johanni de Marchis da una parte et il Cimitero de detta Chiesa dall’altra parte il granaro di detta Chiesa, et il Giardino per il passato spectante alli Signori Camillieri, et di presente alli Signori Razza et Piovezzucci, et amiccati nel primo ingresso della cappella di detti Battenti ove si trova la cappella d’Aritis, nella quale vedo esserci l’altare et sopra di esso esposto un quadro con diverse figure pinte ripresentanti l’Epifania oltre un altro simile in disparte, et altri santi pinti, et fatta come dalli sudetti altri testimoni diligenza tanto dalla parte di fuori, quanta di dentro sopra la porta di cappella nel pavimento, et tutto il muro, et Cielo quanto si comprende il sito del detto primo ingresso della detta cappella, non ho trovato, né ci sta lapide esposta con iscritto ne di sopra alcuna, et doppo entrati più oltre nell’altra cappella, che nel medesimo sito, nella quale li confratelli di detta cappella si sogliono spogliare et vestire, vedo che da capo la detta seconda cappella, cioè ove si disvestono, et spogliatoio esserci l’altare et sopra di esso depinto Nostro Signore Giesù Cristo Crocifisso, et nella parte destra, l’effige della gloriosa Vergine Maria sua madre et poco distante di detta parte l’effige di San Pietro Apostolo, et nella parte sinistra di San Giovanni et poco distante de detto lato di San Paolo Apostolo, come anco per il muro di detta cappella altri diversi santi dipinti, et parimenti da come da me con li sudetti da me nominati Testimonio in facta dirigere ispectione con l’assistenza et intervento delli Signori Don Pietro Antonio Aurcetti, Don Bernardino Martinelli, Don Domenico Antonio Galli, et Don Giuseppe Impacciante Canonici della detta Chiesa tanto nel pavimento quanto per tutto il muro che recinge il sito di detta seconda cappella, non ho visto, ne vedo lacuna Lapide.

Appendice D

Marzo 1812. Nome e Professione dei lavoranti. Fiorentini Domenico: Valore approssimativo dei lavori eseguiti dopo la stima dell’architetto: 963; Complesso pagamenti sino ad ora 214; Nuovi e composte proposte per effettuare i pagamenti sino alla fine 428; Totale del complesso dei pagamenti 642; I lavoranti avanzano della somma qui sotto 321. Domenico Fiorentini: Fiorentini Dominique Pour avoir travallié aux figurer puor la decoration des Sallons; Numero de la Piece-n.131 Fiorentini Domenico-Qualitè-Peintre-Nature des Travaux executer-Travaille aux figures pour la decoration des Salons.

Piece N.131. Palazzo Imperiale del Quirinale in Roma. Mesi di Febbraio, e Marzo 1812.

Domenico Fiorentini Pittore figurista domiciliato in Roma nella prima Giustizia di Pace, in Piazza delle Carrette N. 3. Conto de lavori fatti, e da farsi ad uso di Pittore figurista nel Salone grande avanti la Cappella nel sudetto Palazzo, in occasione di Ornare il fregio. Quali lavori sono stati ordinati dal Signor Raffaele Stern Architetto di Sua Maestà Imperiale Reale in Roma, ed eseguiti sotto la direzione del sudetto Signor Architetto, e vigilanza del Signor Giuseppe Marini Controleur, e sono i Seguenti.

Primo.

Mese di Febbraro.

Per l’importo de Lavori fatti in questo Mese notato N. 71 inserito nello Stato N. XI ascende a circa-franchi 321.

Mese di Marzo.

Per aver proseguito il Lavoro della Pittura del fregio del Salone avanti la Cappella, che con ridonato quanto è fatto fino al presente.

Salone de Grandi Ufficiali.

Per aver incorniciato il lavoro del Ristauro del quadro nel Mezzo la Volta di detto Salone, per poi formarci lo Stemma Imperiale, che considerato il lavoro fatto fino al presente si valuta-642=In tutto Franchi 963.

Il sottoscritto Pittore Figurista domiciado in Roma nella  prima Giustizia di pace in Piazza delle Carrette N. 3 dichiaro di avere eseguito gli sudetti lavori, e di avergli verificati contraddittoriamente colli Signori Architetto, Verificatore Imperiale= Roma lì 29 Marzo 1812=Domenico Fiorentini.

Io sottoscritto Verificatore del Palazzo Imperiale in Roma avendo riconosciuto tutti i sopradetti Lavori a Misura, che si eseguivano, ed avendone verificate, e registrate giorno per giorno contraddittoriamente all’Intraprendente le diverse dimensioni e le qualità rispettive attesto, che tutte le partite enunciate sono state fedelmente eseguite in tutte le loro qualità, e fatture come Vengono descritte. Attesto inoltre, che tutti questi Lavori valutati ai loro giusti prezzi assieme ascendono alla Somma di Franchi Novecentosessantatrè. Roma lì 25 Marzo 1812. Dico Franchi 963=Giuseppe Bernardino verificatore.

Io sottoscritto Controllore del Palazzo Imperiale di Roma ho verificato li sudetti Lavori, e riscontarti col mio Registro, quali potranno ascendere alla somma di circa franchi Novecentosessantatrè. Giuseppe Morini Controllore.

Io Sottoscritto Architetto di Sua Maestà Imperiale in Roma attesto, che li soprascritti lavori sono stati fedelmente, ed esattamente eseguiti a seconda delle rispettive obbligazioni, ed ascendono alla somma di circa franchi Novecentosessantatrè.

In fede Roma lì 27 Marzo 1812

Domenico Fiorentini Pour la peinture des Cambris du gran Salon situè devant la Chapelle=214. Piece N.71

Palazzo Imperiale del Quirinale in Roma. Mese di Febbraro 1812. Domenico Fiorentini Pittore figurista domiciliato in Roma nella prima Giustizia di Pace nella Piazza delle carrette Numero 3.

Domenico Fiorentini Pittore figurista domiciliato in Roma nella prima Giustizia di Pace, in Piazza delle Carrette N. 3. Conto de lavori fatti, e da farsi ad uso di Pittore figurista nel Salone grande avanti la Cappella nel sudetto Palazzo, in occasione di Ornare il fregio. Quali lavori sono stati ordinati dal Signor Raffaele Stern Architetto di Sua Maestà Imperiale Reale in Roma, ed eseguiti sotto la direzione del sudetto Signor Architetto, e vigilanza del Signor Giuseppe Marini Controleur, e sono i Seguenti.

Per aver incorniciato il Lavoro della Pittura che forma il fregio attorno le Pareti del sudetto Salone, che considerato il lavoro fatto fino al presente si considera-

Franchi 321.

Il sottoscritto Pittore Figurista domiciado in Roma nella  prima Giustizia di Pace in Piazza delle Carrette N. 3 dichiaro di avere eseguito gli sudetti lavori, e di avergli verificati contraddittoriamente colli Signori Architetto, Verificatore Imperiale=

Roma questo dì 25 Febbraro 1812

Io sottoscritto Verificatore del Palazzo Imperiale in Roma avendo riconosciuto tutti i sopradetti Lavori a Misura, che si eseguivano, ed avendone verificate, e registrate giorno per giorno contraddittoriamente all’Intraprendente le diverse dimensioni e le qualità rispettive attesto, che tutte le partite enunciate sono state fedelmente eseguite in tutte le loro qualità, e fatture come Vengono descritte. Attesto inoltre, che tutti questi Lavori valutati ai loro giusti prezzi assieme ascendono alla Somma di Franchi Novecentosessantatrè. Roma lì 29 Febbraro 1812. Dico Franchi 963=Giuseppe Bernardino verificatore.

Io sottoscritto Controllore del palazzo Imperiale di Roma ho verificato li sudetti Lavori, e riscontarti col mio Registro, quali potranno ascendere alla somma di circa franchi Novecentosessantatrè. Giuseppe Morini Controllore.

Io Sottoscritto Architetto di Sua Maestà Imperiale in Roma attesto, che li soprascritti lavori sono stati fedelmente, ed esattamente eseguiti a seconda delle rispettive obbligazioni, ed ascendono alla somma di circa franchi Novecentosessantatrè.

In fede Roma lì 4 Marzo 1812

Fiorentini Dominique-Peintre-Objet du paiement: Solde de la Somme de 1609 francs è la quelle s’eleve le prix des restauramene qu’il a faite aux frisse et plafonds deplusieur Salons de Palais Impérial-428.

Palazzo Imperiale al Quirinale in Roma.

Da Febbraro 1812 a tutto Dicembre detto Anno

Domenico Fiorentini Pittore Figurista domiciliato in Roma nella Prima Giustizia di Pace in Piazza delle Carrette N. 3.

Conto dei Lavori ad uso di Pittore figurista fatti in occasione di aver ristaurato alcuni fregi sotto li soffitti dei grandi Saloni del palazzo sudetto.

Quali lavori sono stati ordinati dal Signor Raffaele Stern Architetto di Sua Maetsà; e Re in Roma, ed eseguiti sotto la direzione del sudetto Signor Architetto.e vigilanza del Signor Giuseppe Marini Controleur, e sono i seguenti.

Primo

Salone de Marescialli avanti la gran Cappella.

Per aver ritoccato generalmente il fregio, che ricorre per quattro lati attorno detto Salone, il di cui fregio è composto di figure Colossali rappresentanti diverse Virtù circondate da putti stragrandi, con ornati di frutti, e fiori diversi, come anche molte accademie di chiaroscuro,e cornici che racchiudono li diversi Quadri rappresentanti li fatti di Mosè, e attorno li detto quadri, vi sono li putti dai lati dipinti, ed ornati di chiaroscuro nelle targhe ed altri quadri rappresentanti diversi turchi, che assembrano affacciarsi alli Balconi, e nelli quattro angoli di detta Sala Reale. Le Arme di straordinaria grandezza con  quattro gran figure color di bronzo, ed altro, e tutto ciò descritto si è ritoccato, e riaccompagnato dov’erano le mancanze nei siti salnitrati, e dopo, che si è fatto tal Ristauro si è generalmente ripartito, e lavato, e fatto tornare senza mancanze come nuovo lungo steso per quattro lati metri 4, altezza metri 4 che per prezzo così convenuto franchi 1.070.

Salone dei Grandi Ufficiali

Per aver dato due mani di mezzatinta nel quadro sotto la volta di detto Salone dov’era l’Arma Pontificia, e di poi segnato un’Aquila, ed emblemmi allusivi, e di poi dipinta color d’Oro in campo aperto, ritoccato, e accompagnato le tinte color d’aria nei siti riattati, e ritoccato ancora la Cornice interna, che racchiude il detto quadro dove vi sono delle Figure, e putti i quali ancora si sono ritoccati, e riaccompagnati, che considerato il tempo per la grandiosità delle Cornici, colori, ed altro così convenuto. 214

Prima Anticamera di Sua maestà

L’Imperatrice.

Per aver ristaurato il fregio, che ricorre per quattro lati addosso il muro, il quale contiene Figure 8-Paesi in veduta con  Boscareccia, dove vi sono diverse figure rappresentanti li falli di San Paolo, con gran quantità di Putti, che assembrano sostenere l’ornati di Festoni di frutti, e fiori dipinti al naturale, oltre di ciò dipinto Numero 4 di tondi con putti a chiaro scuro bianco,e nel mezzo li detti tondi li bassorilievi color metallo con aver dipinto di nuovo una delle facciate di detta stanza, che era danneggiata dalle Acque Pluviali, e negl’angoli dipinto di nuovo lo Stemma Imperiale con emblemmi allusivi, e generalmente ritoccato, e ridotto senza mancanza, e ripulito. Segue cassato le figure, e Arme Ponteficia, e dato la mezzatinta nel mezzo della volta, e dipintoci l’aria, e rinnovato la fornice attorno, che per tal lavoro così convenuto-321

Il sottoscritto Pittore Figurista domiciliato in Roma nella  prima Giustizia di Pace in Piazza delle Carrette N. 3 dichiaro di avere eseguito tutti gli sudetti lavori nella maniera che viene descritto, e verificati dalli Signori Architetti, e Verificatore Imperiale= Roma questo dì 30 Aprile 1813. Domenico Fiorentini…

Palazzo Imperiale del Quirinale in Roma.

Da Febbraro 1812 a tutto Aprile dett’Anno.

Domenico Fiorenti Pittore Figurista domiciliato in Roma nella prima Giustizia

di Pace in Piazza delle Carrette N.3.

Conto dei Lavori fatti, e Compiuti ad uso di Pittore figurista nel Salone grande avanti la Cappella nel sudetto Palazzo in occasione di Ornare il fregio. Quali Lavori sono stati ordinati dal Signor Raffaele Stern Architetto di Sua Maestà Imperiale, e Re in Roma, ed eseguiti sotto la direzione del medesimo Signor Architetto e Vigilanza del Signor Giuseppe Marini Controleur, e sono i seguenti.

Primo Mese di Febbraio.

Per l’importo dei Lavori fatti in questo Mese notato Numero 71 inserito nello Stato Numero XI ascende à circa franchi 321.

Mese di Marzo

Il Conto dei Lavori fatti in detto Mese notato Numero 131 inserito nello Stato Numero XIV ascende a circa franchi 642.

Franchi 963

Mese di Aprile

Salone dei Grandi Ufficiali

Per aver terminato il restauro della Cornice che ricorre attorno il quadro della volta in detto Salone, e terminato lo Stemma Imperiale nel mezzo del medemo si

valuta franchi.

Per aver proseguito il lavoro della pittura con Ornati nel fregio del Salone avanti la Cappella, che atteso il lavoro fatto fino al presente si valuta.

Appartamento di Sua Maestà l’Imperatrice

Per aver incominciato il Lavoro del Ristauro in porzione del fregio, che ricorre in una delle Stanze di fianco il Salone avanti la Cappella, e porzione incorniciato per farlo di nuovo, consistenti a Paesi, Bassorilievi, Arme, e Figure, che atteso il Lavoro fatto fino al presente si valuta-Franchi 802,50

Somma in tutto 1.765:50.

Il sottoscritto Pittore Figurista domiciliato in Roma nella  prima Giustizia di Pace in Piazza delle Carrette N. 3 dichiaro di avere eseguito tutti gli sudetti lavori, e di avergli verificati contraddittoriamente al riscontro fatto dalli Signori Architetto, e Verificatore Imperiale Roma questo dì 29 Aprile 1812. Domenico Fiorentini…

Appendice E

Illustrissimo Signor Segretario Messelini.

Domenico Fiorentini avendo dipinto la chiesa di San Chirico con comune applauso, altra mercede non desidera, di avere l’alto onore di essere arrolato fra li membri dell’Accademia di San Luca, tanto speciosa nella sua valevole protezione.

Perdonerà l’ardire di me se mi son presa la libertà servirmi della posta presenza.

(rescritto)

A Sua Signoria Illustrissima

Il Signor M. Messelini Segretario dell’insigne Accademia Pontificia di San Luca. Abita nell’Apollinare. 10 gennaio

 

Appendice F

San Lorenzo ai Monti. Stato delle anime 1771. Casa n 5. Altra Porta a parte Casa Oddi Canonista della nostra Chiesa Entrane Porta in faccia…Altra Porta a parte…Primo Piano 14. Signor Antonio Pane, Signora Facezia Romei Moglie, Giuseppe Scapigliati nepote. Domenico Antonio Fiorentino Commensale…22.

 

Appendice G

Matrimoni III(1737-1804, n. 999): Fiorentini-Lanciani et filique Alexandri. Anno Domini 1784 de 28 Octobris. Remissis 4 de Licentiamque acta Cicconius Notarius Ego Seraphinus Soci Padrisque Dominicus Antonius Fiorentini ex Sermoneta Terracina Diocesis, et Magdalena Lanciani filia Domenicus Sanbelionis Romanum ambo formiter interrogavi eorumquehabitantis de sempre verba de presentia solennemter Matrimonium  comunicavi praesentibus quondam  Franciscus Gregorio Fagni, et doctor Michalele Mantechi ambobus Condidi Traedem eisque postea missa benedixi Anno Domini 1782 de 31 Octobris

Appendice H

Trans atto inter Dominus Dominicus Antonius Fiorentini et Vincentius Monatti Partibus et latera. Die seconda Maij 1786 Inditione quarta Pontificatus Domini in Spirito Patris et Dominus Nostri Pii Divina Providentia Pontifex IV Anno ejus XII. Essendo come detta verità del fatto a me Notaio publico asserisce, che vertendo tra li Signori Domenico Antonio Fiorentini da una parte e Vincenzo Monatti dall’altra, da più anni a questa parte, nei tribunali della Romana Curia, strepitoso litigio detto soddisfattione della Dote promessa e dovuta al sudetto Monatti, come marito della quondam Anna Maria Fiorentini di esso Signor Domenico Antonio Germana sorella, come di più diffusamente apparire da pubblico in strumento di simil promissione rogato dal quondam Franco Tommaso Rossi Scatafassi Notario pubblico di questa Città Ducale di Sermoneta, al quale so che potrebbe di molto dilungare, e dispendiare oltremodo le parti sudette, le quali per ciò scortare, e fare in calma i loro esorbitanti animi, abbiamo determinato venire ad una doverosa concordia ed amichevole composizione, e ciò ad oggetto sempre ad ogni futuro tempo costare propri della medesima. Stipulare(…)giurato, quindi è che-Alla presentia di me Notaio pubblico testis intrumenti presentis e palme li signori Domenici Antonio Fiorentini figlio del quondam Alessandro da una parte, e Vincenzo Monatti del quondam Clemente dall’altri ambi da Sermoneta diocesi di Terracina a me cogniti, li quali di loro spontanea volontà, ed in ogni altro miglior modo, anno asserito, ed affermate tutte, e singole cose sopra esposte e narrate, e queste cose tali, e per tali rattificato, ed affermando. In esecuzione di esse anno receduto dal sudetto litigio da molto tempo intrapreso e sia quindi retirato in tribunali della Romana Curia, per causa della surriferita Dote alla quale concordandosi a ciascuna di loro vicendevolmente tutte sopra occorse ascendenti a qualunque somma anche notabile, e potabilissima delle quali se ne fanno reciproca quietanza perché così per fato e colli segmenti fatti capitoli condizioni, e convenienze, cioè primo loco del sudetto Domenico Antonio Fiorentini di sua spontanea volontà ed in ogni latro miglior modo da adesso, et assegna al medesimo signor Vincenzo Monatti, suoi l’anni fruttato del utile Dominio del Pretio stimato di capacità di numero seicento alberi de olivo e stante nella contrada di San Francesco confinante da un lato con il Signor Andrei Piti, e beni della Mensa Vescovile, cui come latri coram sponte al quinto, ad esso Signore Fiorentini, spettante ed appartenente, come legatario della quondam Stella Rossetti, e più all’intero pagamento della sudetta dote costituita in somma di scudi centotrenta cedendo per tale effetto al Signor Monatti tutte, e singole sue ragioni…ed attieni, anche con la piena lode, ed esso del Priorato in sudetta in ogni miglior modo. Secondo che detto Signor Domenico Antonio Fiorentini sia tenuto ed obbligato contemporaneamente promette, es’obbliga pagare. Ed effettivamente sborsare nel corrente mese di Maggio al sudetto Signor Vincenzo Monatti, e suoi la somma di scudi sei, e lo stesso proseguire in ogni anno per l’avvenier entro detto mese di Maggio, o come al medesimo piacerà fino alla totale sodisfatione surriferita date…

Appendice I

In Nomine Dei Amen. Anno ad Nativitate Domini Nostri Millesimo Septegentesimo septagesimo tertio Indizione Septima die vigesima octava mensis Februari sedente  Domini Nostri Clemente XIV Divina Providentia. Alla mia presenza, e dell’instrumento testimonis presente, e personalmente costituito il Signor Domenico Antonio Fiorentini figlio del fu Alessandro, erede del defunto da Sermoneta, il quale con la presenza e consenso e con quello di Giuseppe Fiorentini del Signor Domenico Antonio Zio e recato anche testamentario come asserisce parimente da Sermoneta, et ambedue a voce, e testimoni in Signori bene cognati, spontaneamente, et in ogni miglior modo manualmente in contanti in pronto, e ricavato denaro in tanti benedettini di argento, e zecchini d’oro moneta papale corrente ha avuti, e ricevuti, conforme e riceve scudi trentuno moneta scudi e giulii dieci, dall’Illustrissimo Signor Giuseppe Impacciante della bona memoria di Giovanni da Sermoneta presente a me cognito come sopra quali avendo detto sopra sopra Domenico Antonio trovasi a suo  dire esser tutti rinunciando all’eccezioni speranze, ne fa quietanza detto Signor Impacciante presente, e suoi per patto quali scudi trecento come sopra detto Signor Domenico Antonio procedette per suo obligo restituire, pagare e sborsare al medesimo Signor Impaccianti presente o chi nel trascrivere di un anno, da confutare da oggi, e finire come segue qui in Sermoneta liberamente altrimenti a tutti danni che così. È perché il detto Signor Impaccianti non è solito ritenersi al suo denaro, ma quello negoziare in vari diversi negoci, ed trafichi, e specialmente nelli conti, e reconti, acciocché usque il sudetto Impaccianti ma tale dilazione e pagamento di detta somma non abbia da parte danno alcuno, e perché così sua da esse parti si sono concordati, il detto Signor Domenico Antonio sia asseme in il totale peso, e cura di detti scudi di cambiare a favore cambiare a beneficio, e comodo del detto Signor Impaccianti, di lui erede e successore et ogni volta saria necessario da qualsivoglia persona, e negoziante, me dinanze la persona del Signor Matteo Ricceri de Ceccano e in Sermoneta, o da altro suo luogo da eleggersi da suffragi sempre secondo l’uso di mercanti, senza veruna gravitazione ed l’istessi con lei, e recare lì continuare durante l’anno seguente come sopra assieme con la risoluzione delli scudi trentuno sorte principale, e pagamento de cambi, e recambi da durare, senza veruna azione pregiudiziale ad spese del Signor Domenico Antonio Fiorentini…

Appendice L

In Dei Nomine Amen Anno a nativitate Domini Nostri millesimo septagesimo quadragesimo octavo indizione undicesima die decima septa, mensis octobris, sedens Domino Francisco Dominus Benedicto decimo quarto, dicto papa ejus Pontificatus  anno nono. In mei praesentiamque testimonia, et personaliter constata Anna Camilla Valle filia Nicolai, et uxor Alexandri Fiorentini de Sermoneta mihi cognita, quae cum praesentia con suo verbo voluntate dicti Alexandri, et in executione pacti de retrovendendo, uno actus necessaris, sponte annis, suisque retrovenditio da retrocessic…



 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 


Luca Giordano

Pietro Colaberti
Gherardo delle Notti
Domenico Fiorentini

Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Domenico Fiorentini
Gherardo delle Notti
Guercino
Annibale Carracci
Guido Reni
Guido Reni














 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 



 



 

 

 

 



 

 

 



 

 


 






 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


10)Domenico Fiorentini

                                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                      

                                      11)Domenico Fiorentini

       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 







 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




[1] Archivio di Santa Maria di Sermoneta,(da ora A.S.M.), Libro dei Battesimi Matrimoni e Morti, anno 1585-1711. ad annum.
[2] Archivio Storico del Comune di Sermoneta,(da ora A.S.C.S.), Are 17/1. Con il lemma Decarcia si deve intendere un piccolo quartiere, naturalmente rapportabile alla dimensione urbana di Sermoneta.
A.S.M., Libro dei Battesimi…cit., ad annum.
 
 
[4] A.S.M., Libro dei Battesimi, Matrimoni e Morti, anno 1585-1711. ad annum
[5] A.S.M., Ibidem, ad annum.
[6] A.S.M., Registro matrimoni ab anno 1630 ad annum 1693.
[7] Roma Archivio Caetani, (da ora R.A.C.), Numero Filza 64.193.
[8] Archivio della Cattedrale di Santa Maria di Sermoneta, da ora(A.S.M.)Registro dei Morti, II, 1693-1705. La traduzione formale recita: Die 12 dicto(7bris 1693)Laurentia Paula filia Josephi Fiorentini de Sermoneta.
[9] A.S.M., ibidem. Il testo recita: Die 8 Julis 1695. Jacobus filios Josephi Fiorentini etatis suae circiter quadraginta.
[10] A.S.M., Registro dei Morti, 1633-1687.
[11] A.S.M. Battesimi dal 1556 al 1711 più Morti e Matrimoni,Vol I. Il testo recita: die sudicio(17 Ianuari 1669) Marcus Florentunus Annorum 57…cuius corpus sepultum est in Oratorio Sanctae Mariae.
[12] A.S.M., Libri di Battesimi. Ad annum.
[13] A.S.M., Libri dei Matrimoni. Ad annum.
[14] A.S.M., Libri dei Battesimi. Ad annum
[15] A.S.M., Ibidem. Ad annum.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Ibidem.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] A.Negro, Giovan Domenico Fiorentini da Sermoneta, in Sermoneta e i Caetani, Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma 1999, n.2.
[32]R.A.G.,(Roma Archivio dei Gesuiti)Elenco dei fratelli 1773-1776.  Ma anche sorprese ingrate, la partecipazione di Domenico alla Confraternita del Carovita, è assai dubbia, se non destituita di fondamento, fra i molteplici nominativi riportati nell’elenco fra il 1773 ed il 1776, il Fiorentini non torna mai, quindi dubito sia stato membro della Confraternita. L’unico Fiorentini emerso da questa documentazione è un Biagio Fiorentini da Milano, registrato il 24 febbraio 1774.
[33] Cfr.A.Lusana, Terre lontane, Sermoneta 2008, p.36
[34] A.Negro, op.cit., p. 363.
[35] In effetti l’età con cui solitamente erano stipulati i contratti, quantunque questo dato giuridico non fosse meccanico, era solitamente nell’età adolescenziale, dai dodici ai quindici anni.
[36] A.Lusana, Sulmone pincta, Sermoneta 2005, pp. 50-51. Archivio di Stato di Latina, Archivio Notarile di Sermoneta, atti del Notaio Giuseppe Scatafassi, ff.174r-177v. Vedi Appendice C.
[37] Questo affresco è ancora inedito.
[38] A. Negro, Giovan Domenico Fiorentini da Sermoneta. Un pittore tra Barocchetto e Neoclassico, in Sermoneta e i Caetani, Atti del Convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta, 16-19 giugno 1993, a cura di L.Fiorani, Roma 1999; A. Lusana, Sulmone cit., Sermoneta 2005, pp.53-55; Idem, Terre lontane, Sermoneta, 2008, pp.36-40.
[39] Il ciclo decorativo è firmato dal Fiorentini su di uno scalino del San Carlo Borromeo.
[40] La cappella della Maddalena viene sinotticamente descritta in una visita pastorale del 1610, che non riporta il giuspatronato, poi, dopo il 1766, spettante alla famiglia Pizi.
[41] A.Lusana, Sulmone pincta, Sermoneta 2005, pp. 53-56.
[42] Ibidem, pp.29-30.
[43] Idem, Sulmone…cit.pp.24-25.
[44] Ibidem, pp.50-51.
[45] A. Lusana, Terre cit. p. 36.
[46] Idem, Sulmone…cit, pp.24-25.
[47] Ibidem, pp.53-56.
[48] Ibidem, p.55.
[49] Archivio di Stato di Latina, Archivio Notarile Sermoneta,(da ora A.S.L.,A.N.S), atti del notaio Luca Pacifici, Busta 37/3/1700, ff. 180r-188v. Solo recentemente il nome originario del Palazzo è stato ripristinato,prima della recente denominazione si era usi appellarlo Palazzo Caetani.
[50] A.Lusana, Sulmone…cit., p. Il Palazzo, durante il XVIII secolo, fu acquisito dai Caetani e affittato agli Impaccianti.
[51] Con l’appellativo “pittore a giornata” si deve intendere quella pletora di autori che operavano, solitamente in commissioni di assai rilevanti dimensioni e che venivano impiegati per alcune giornate di frescatura, per poi essere saldati per l’ammontare delle giornate lavorative.
[52] Ringrazio sentitamente la Signora Caterina Africhesi per avermi permesso la riproduzione fotografica degli affreschi.
[53] A. Negro, op.cit., p.362.
[54] A.Negro, op. cit., n.4. Il testo è interamente ripreso dal contributo dell’autrice. Vedi Appendice B
[55] Ibidem, p.363. Il Fiorentini risiedeva a Roma nella Parrocchia di San Quirico e Giulitta dove viveva con la moglie Maddalena Lanciani e due figlie.
[56] E.Debenedetti, Itinerario della decorazione settecentesca di Palazzo Caetani, in AA.VV. Palazzo Caetani storia arte e cultura, Roma 2007, p.184.
[57] A.S.R., Miscellanea del Governo Francese, Buste 39; 40, intend. 222; 240. Vedi Appendice D.
[58] A.S.R., Miscellanea del Governo Francese, Buste 41-42.
[59] Vedi Appendice D.
[60] Archivio dell’Accademia di San Luca, Volume 169, n. 9.Vedi Appendice E.
[61] D.Angeli, Chiese di Roma, 1902, p.64.
[62] A.Schiavo, Palazzo Altieri, Roma 1962, pp.130-131.
[63] L.Cracas, Diario ordinario, 1804, n.12, 11 gennaio, p.4
[64] L. Cracas, op.cit., 1805, n.74, pp.9-11.
[65] L. Cracas, op.cit., 1803, n.222, 16 febbraio.
[66] L’attribuzione risale agli anni Cinquanta del secolo scorso, fu avanzata da Federico Zeri.
[67] P. Pantanelli, cit…p. 61.
[68] Vedi Appendice A.
[69] F.N., Fiorentini Domenico Antonio, ad vocem, in Allgemeines Lexikon der Bildenden Kunstler. L’autore identifica Domenico Antonio, il Fiorentini, attivo, secondo il testo, solo in Roma, nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola, con le Storie di San Francesco e lo colloca cronologicamente nel Seicento.   
[70] A. Lusana, Terre…cit. p.55.
[71] A. Lusana, Terre…cit., p. 37.
[72] Archivio Cattedrale di Santa Maria di Sermoneta, Status Animarum Parochia Insignis Collegiata Ecclesiae Sanctae Mariae Sermonetae, Ab anno 1780 ad Annum 1783.
[73] G.Carpaneto, I vicoli di Roma, Roma 1989, p.150.
[74] Archivio del Vicariato di Roma,( da ora A.V.R.) San Lorenzo ai Monti, Stato d’anime 1771, casa n.5. Vedi Appendice F.
[75] A.V.R., Parrocchia dei Santi Quirico e Giulitta, Matrimoni III, 1737-1804, n.999. Licenze matrimoniali.Vedi Appendice G.
[76] A.V.R., Parrocchia dei Santi Quirico e Giulitta, Stati d’anime 1780-1783; 1784-1820, Piazza delle Carrette n. 3.
[77] A.V.R., Liber mortorum, 1820, n. 746.
[78] Vedi Appendice E.
[79] A. Guattani, Memorie enciclopediche romane, Roma, s.d., III, pp.41, 43.
[80] A.S.L., A.N. Sermoneta atti del notaio Tommaso de Rubeis, Busta 45/2/1700, ff.17r-20v.
[81] A.S.L., A.N. Sermoneta, atti del notaio Tommaso de Rubeis, Busta 53/2/1700, Protocollo X, ff. 11r-13v. Vedi Appendice L.

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