Tuesday, May 31, 2016

naturalismo


Naturalismo pontormesco
Il naturalismo come dato oggettivante di una determinata condizione emotiva, vedi gli affetti dell’Agucchi, ovvero di altra natura, come quella fisica spesso rappresentata impietosamente, resta un dato sempre adottato che, come un fiume carsico, riemerge repentinamente senza sollecitazione, come se qualcuno lo avesse invocato; il caso della Maniera tosca, ossia di Firenze, ovvero dei pittori addestrati alla Maniera che hanno avuto esperienza da autori toscani, o no, hanno talvolta fuso questa connotazione meramente compositiva con qualche espediente naturalistico davvero singolare per i tempi; il Pontormo resta un referente per questa connotazione; il bozzetto del suo San Girolamo penitente(Fig.1), derivato da un disegno di datazione incerta, come l'opera stessa, manifesta però con grande fermezza un dato naturalistico; il santo di spalle  che legge, riserva una spontanea naturalezza nella postura che denuncia, con grande indipendenza, la figurazione canonica che dovrebbe invece rappresentare il santo in visione frontale, ed in primo piano, mentre qui i piani di scansione della tela sono assolutamente suddivisi dalla naturale disposizione delle figure, che non sembra voler rimarcare la rilevanza agiografica nella disposizione, prima il leone poi il Santo e poi il Crocefisso; gli elementi, sebbene sparuti, sono assai casualmente disposti, quindi il Pontormo qui sembra voler seguire un criterio assolutamente personale di rappresentazione, altri esempi sembrano aver seguito questo criterio di positura, ma sono solo del Seicento, i più noti che mi sovvengono sono Ribera, nel suo San Gregorio e Saraceni nell’Assunzione della Vergine(Figg.2-3); ma qui il naturalismo del Pontormo assume un valore duplice poiché il tempo di esecuzione è davvero distinto da quello del naturalismo conclamato. 

Naturalism of Pontormo

Naturalism as objective date for a emotional condition, see affetti of Agucchi, or other nature as physical that is often showed impiety, is a date always employed as underground river emerges some time without press and soon, as somebody called it; for case of Maniera of Tuscan, this is Florence, or painters that have worked with painters Florentine or not, have sometime use this naturalistic experience very singulat for that time; Pontormo is a reference for this connotation; his sketch with Saint Jerome (Fig.1), derived from a drawing uncertain date, shows manifest a date of great naturalism; Saint back while reads, is very spontaneous and very naturalistically for posture that shows, freely, canonical disposition, that instead would be frontal and for first plane, while here the plane are subdivided for natural disposition that wont  different for importance for disposition; first lion after saint and last Cross, elements of composition although little are very casual placed; therefore Pontormo seems will follow his criterion for representation, other painters have used this mode of representation but alone at XVII century, more famous are  Ribera for his Saint Gregory and Saraceni for his Assumption(Fig.2), but here naturalism of Pontormo has a duple valor because the century is very distant from famous naturalism.
Fig.1
Fig.2

Fig.3
 

                 


 
                                                                                                                                                                  

Sunday, May 29, 2016

 


Eclettico Pontormo

L’opera di Jacopo Carucci detto il Pontormo oramai non credo possa riservare qualche piacevole sorpresa , studi monografici davvero approfonditi, ne hanno descritto l’opera complessiva, ma qualche nota penso sia ancora da considerare per qualche spunto stilistico che ritengo importante per valutare il complesso culturale di Pontormo e, soprattutto, della sua vicinanza al Vasari come ad altri autori conterranei dello stesso Pontormo; la Vergine con Bambino e San Giovannino(Fig.1), riserva qualche approssimazione stilistica al biografo, soprattutto per la netta linea che il Pontormo qui adotta, a differenza della Sacra conversazione nella cappella dei pittori a Firenze(Fig.2), che non anticipa, neanche lontanamente, la Bella Maniera adottata, per la linea netta e definita che lo stesso Pontormo assumerà per le Storie di Giuseppe; quindi ora, con questa tela, denuncia la vicinanza al biografo aretino, basti confrontare qualche opera del Vasari per comprendere l’approdo pontormesco(Figg.2-3); le tipologie fisionomiche  e le profumate carni infantili, di boudleriana memoria, sono un espediente che avvicina stilisticamente i due; siamo veramente distanti, e distinti, dalla decorazione della Santissima Annunziata, e in particolare della Visitazione(Fig.4), qui assunta come termine di riferimento, in cui la linea sembra soggiacere per una forte presenza dell’euforico colore; inoltre il denso chiaroscuro che lo stesso adotta per la Vergine Bambino e Santi(Fig.5) riporta all’oscurantismo chiaroscurale del Beccafumi(Fig.6), che certamente il Pontormo doveva aver visto e considerato, oltre l’onnipresente chiaroscuro leonardesco che poi lo stesso Beccafumi assumerà e incrementerà perdendo così la delicatezza leonardesca. Quindi Pontormo come ogni altro pittore assume direttamente canoni stilistici e li propone con altra connotazione ma comunque sempre assai similare, denunciandone l’origine. Ma la virulenza fisica di qualche figura e qualche altra in controparte(Fig.7), sembra assai vicina alla fattura michelangiolesca della Centauromachia(Fig.8), per qualche dorso davvero michelangiolesco, che emerge sulla sinistra degli Undicimila martiri(Fig.9).

Eclectic Pontormo

The work of Jacopo Carucci called Pontormo  at this moment I don’t think that can keep some nice surprise, much studies have described all painting, but I think that few stylistical suggest we must consider it, and I think that is important for a cultural consideration of Pontormo and, above all, his nearness to Vasari as other Tuscan painters as Pontormo; Virgin with Child and Saint Giovannino(Fig.1), keeps few nearness to biographer of Arezzo, above all for very clean line, which here Pontormo employs, different respect to Sacra conversazione(Fig.2), which not anticipate nether remotely, the Nice Manner employed for History of Joseph; therefore now with painting  Pontormo shows nearness to Vasari, is sufficient a confront with painting of Vasari(Figg.2-3); the face are and the scented flesh of child, for citation of Baudelaire, are connotations that approach to Vasari; but we are very distant, and different, from painting of Santissima Annunziata, and particular from Visitazione(Fig.4), here employed for confrontation, and where line seems be subjected for a strong presence of color; more over strong light and window that same Pontormo employed for Virgin and Child and Saints(Fig.5), connects to strong light and window of Beccafumi(Fig.6), that Pontormo certainly must seen and considered, more the omnipresent light and window of  Leonardo, which Beccafumi employs and reinforces, so losing  delicate of Leonardo. Therefore Pontormo as every painter employs stylistical canons and shows it with other connotation, although is very similar. Last the able-bodied of few figure, and few other to contrary (Fig.7) seems nearness to Michelangelo of Centauromachia(Fig.8), for few back very michelangiolescque, that is present to left of Eleven thousand martyrdom(Fig.9).  
   

 

 

 


 


 

 

 

 

 




 


                                                                                                       


 



Fig.1

Fig.2

Fig.3


Fig.4










Fig.5












Fig.6





Fig.7












Fig.8






 












 

Friday, May 27, 2016



Appunti museologici

L’opera d’arte in effetti resta un referente sempre ricercato e custodito all’interno di una seconda opera d’arte, quale il museo, che talvolta viene modificata da disinvolti interventi strutturali, decontestualizzando sensibilmente l’opera ed inserendola in un contesto asettico, manifestando però, tramite la dislocazione, l’idea dell’allestitore che dispone le opere come meglio potrebbero manifestarsi; quindi un principio di semiotica strutturale, ed architettonica, permane e rapporta sia il passato trascorso delle opere esposte sia il presente della mostra stessa, che infatti denuncia una seconda natura stilistica, quella dell’allestitore; ecco perché la decontestualizzazione tende a frustrare l’intento primario del collezionista ovvero ideatore del museo, la ricostruzione dell’accaduto che, secondo il dettato crociano, risale anche solo all’entrata del museo, ossia nel brevissimo intervallo intercorso fra l’accesso e la biglietteria, dato che ogni storia è storia contemporanea[1], quindi anche quel breve tragitto, se fosse possibile, dovrebbe essere musealizzato, e quindi essere passato; pensando così il museo, nasce una sorta di muta gerarchizzazione, per la quale il piccolo, ossia l’oggetto custodito, è l’interesse principale a dispetto dell’edificio che lo conserva; Musil era solito ripetere: il monumento è tanto grande che nessuno lo vede, quindi gli edifici museali trattengono il loro divenire storico ed il loro contesto, e quindi dovrebbero a loro volta essere musealizzati loro stessi, il museo è un museo nel museo, poiché musealizza sé stesso, ossia è un contenitore della sua storia e del suo divenire artistico. 
Alessandro Lusana

Notes on the every museums

The artist work is a reference always searched and kept in second artist work which is the museum, which sometime is radically modified for work building very useless, less contest of art and exposed at aseptic contest, but so showing the idea of curator, who exposes painting as better visible; therefore a principle of semiotics of frame exposition and of architect, but this concept connects both remote past of work art and present of exposition same, which shows a second stylistical nature, that of curator; for this the less of contest is frustrate the firstly intent of collector, or inventor of museum, rebuilding of past that, according opinion to Benedetto Croce[2], is present when entrance to museum, every history is contemporary history, therefore interval between entrance and booking office, then and this short way, if this is possible, would be insert to museum, and then past; if so we think museum born a hierarchy, for small, object kept in museum, is very principle interest despite building which keep it, writer Musil usually repeated: monument is so great but nobody sees it; then museum buildings keep their historical become and their contest, then they would must be keep as museum, this is be museum of museum. 
Alessandro Lusana                  





























































[1] Per Benedetto Croce il presente è quello che accade nell’istante in cui si compie, dopo qualche momento è già storia. Quindi il museo custodisce il suo trascorso, ossia la storia di cui è contenitore e fautore per il suo trascorso artistico; per cui contiene anche la storia del visitatore che, comincia con l’accesso al museo, per poi raggiungere solitamente la biglietteria, per cui l’accesso è già storia.
[2] See note 1

Wednesday, May 25, 2016


Scena pittorica

Di

Alessandro Lusana

Dramatis personae

Vasari Giorgio, biografo cinquecentesco.

Palma, sorella di Girolamo

Girolamo Siciolante, pittore

Lucrezia, madre di Girolamo.

Domitilla: popolana

Oste

Gaspare Gasparrini, nobile allievo del Siciolante

Camillo Caetani, Signore di Sermoneta

Mastro fabbro

Giudice

Cancelliere

Imputato

Leonardo da Pistoia, pittore e maestro del Siciolante

Bartolomeo aiutante di Perin del Vaga e di Siciolante

Pellegrino Tibaldi pittore

Jacopino del Conte pittore

Nicolas Dupré committente

Matteo Malvezzi

Servitore di Matteo Malvezzi

Pier Luigi Farnese

Antonio della Nunziata, pittore

Dottore

Paolo Siciolante figlio di Girolamo

Prete

Atto I

                                                                                          Scena prima

                                Bottega pittorica

Voce fuori campo: (incipit della vita vasariana): Vive anco in Roma, e certo è molto eccellente nella sua professione, Girolamo Siciolante da Sermoneta, del quale se bene  si è detto alcuna cosa, non sia però se non bene dirne anco qui quanto la sua molta virtù merita veramente.

Vasari: caro Girolamo, mi pare che la vita tua sia poco conosciuta, anzi, assai poco, anche fra li tuoi patrioti quasi nulla se sappia, sarebbe anche ora che tutti sappiano che tu gran pittore e grande uomo qual tu sia si conosca, l’opera

tua sia ai moderni, come agli antichi, del tutto ignota, ma non ti dà dispiacere tale disinteresse? Qualche cosa hanno i tuoi compatrioti di te, ma mi pare davvero assai poco; quindi avrei pensato di svolger la tua vita come si deve

per un pittore, con la tua opera.

Girolamo: caro Giorgio, sempre elogio tu mi fai, e nulla ti distrae dalla tua volontà; amami per quanto ho fatto e non preoccuparti di me, ma narra la mia vita, se ti piace, e spera che qualcheduno un giorno possa pensare a quel che fui e feci anche per chi, forse un postero, potrà un giorno dire, “la nascita mia è la medesima che fu di Girolamo Siciolante di Sermoneta. Noi pittori, lo sai bene, dobbiamo essere modesti e sempre remissivi, per abitudine; abbiamo da

restare sempre de retro, e mai alla prudenza mancare; quindi lascia che anche la mia virtù di pittore, prima o dopo, alcuni se ne dilettino di narrarla, tu hai fatto quanto era nei nostri tempi, ora lasciamo che altri possano dilettare le menti con ritrovamenti di opere, che siano mie ovvero no, ma nulla ormai ci deve preoccupare, caro Giorgio, ai miei cari compatrioti lascia che il ricordo dia loro spirito, e facciano quanto loro aggrada, a noi rimane solo di guardarli dalla storia, e scherzar con il cuore dei loro errori, e goder dei loro apprezzamenti, che se siano, ovvero saranno, nessuno lo sa, ma la nostra opera rimane a dire che noi siamo stati e saremmo per sempre, quindi con l’amore che ti porgo, siedi qui ad ascoltare ti sia grato, che ora comincia la vita di un sermonetano, ascolta, e non parlare.      

Castello Caetani piazza d’armi

Lucrezia: (con un secchio ligneo in testa tenendo per mano Girolamo novenne):Girolamo, Girolamo, non correre, fermati! Vieni qui! Sai che dobbiamo andare al castello a pigliare l’acqua, per il pranzo, non fuggire come tuo solito.

Girolamo: sono qui! (Lucrezia si intrattiene con una commare): porgo a voi il saluto Madonna Domitilla.

Domitilla: A voi! Madonna Lucrezia, come siete rosea e fervida di bona salute; il vostro Messere marito, Francesco? Qualche nuova mi giunse che poco in salute era! Ma, Deo gratias, in salute si è ristabilito.

Lucrezia: una grande melanconia di stomaco, disse Messer Giovan Battista de Cori, medico fisico; ma ora sembra passata, Deo gratias. (guardando all’interno della piazza d’armi)Girolamo, Girolamo, ma dove

è andato, impudente figlio.

Domitilla: non temete Lucrezia, è dal mastro fabbro, lì, vedete? Fanciulli; doni di Dio! Vi porgo il saluto, Madonna Lucrezia.

Lucrezia: Dio vi guardi, Madonna Domitilla(Lucrezia mentre si approssima al pozzo della Piazza d’armi): Girolamo, non allontanarti, non dare fastidio al messer fabbro!

Mastro fabbro:(mentre batte sull’incudine): salute a voi, messer Girolamino, vi vedo assai cresciuto dalla volta scorsa, almeno un’oncia ed un quarto, voi siete benedetto dagli angeli, dai serafini, dai semiangeli e semi serafini, e quant’altro il cielo abbia; come state? La vostra Madonna madre?

Girolamo: (non prestando attenzione al riverente saluto): che fate messere?

Mastro fabbro:(guardando con paterna tenerezza): batto e colpisco, limo e taglio, faccio spade, ma non le uso. (rivolgendosi a Girolamo) E voi Eminenza? Oltre a fuggire dalla vostra Madonna madre? Perc…

Girolamo:(interrompendo il fabbro) quelle spade sembrano delle Madonne signore che se trovano nelle Camere! Ma quelle sono assai più fini e affilate.

Mastro fabbro:(guardando le spade con attenzione): vero, Girolamino, sei acuto, con le stecche nell’occhi, perché non vai a bottega? Saresti un buon mastro d’armi!

Girolamo: ma l'opera di filatura quando la fate messere? Non mi pare buona codesta spada senza la filatura.

Mastro fabbro: quando alcun uomo giungerà a chiederle allora io le affilerò.

Girolamo: e se uomo non giunge? Che ne fate di tante fatiche?

Mastro fabbro: pregherò Iddio che voi, messere Girolamino, cresciate un'altra oncia e mezza, e poi ve le donerò tutte.

Girolamo: state certo, messere mastro fabbro, e le prego da Dio sanità et contento.

 Camerae Pinctae, con un processo in atto

Giudice: ...quindi voi contro l'utile pubblico avete agito senza alcuna pudicizia?

Imputato: ai miei compiti, Messer Judice, ero impegnato, non ho sentito che messer Flaminio mi chiamava, e quindi non ho resposto...

Girolamo:( pensando fra sé): belle madonne, cosa vorranno dire mi è ancor oscuro, il trono è comodissimo, le spade dritte gli occhi diretti, e con autorità rappresentate.

Giudice: allora dati gli atti da voi compiuti con tanto strepito, e animo vi condanno alla pena de venticinque libre de denaro, e se non potete saldare così il compenso, alla prigionia per uno anno intero de hoc die, et sine nihil

gratia ergo in Nomine Dei magnam sententiam emanamus.

Cancelliere del tribunale: da questo giorno stesso, e senza nessuna grazia, quindi nel Nome di Dio suprema sentenzia emaniamo.

Giudice: Ista voluntas est magni Tribunalis inappellabilis in Terre Sermonetae.

Cancelliere del tribunale: questa è la volontà del supremo Tribunale, della Terra de Sermoneta.

Girolamo:(fra se pensando): bella barba ha quell’uomo, al modo vestito come di giudice.

Lucrezia:(sottovoce): Girolamo, Girolamo, che il demone ti prenda, ma ti pare di farmi preoccupare in tal maniera?

Girolamo:(ad alta voce): madre avete visto il messere con la barba, quanto pare il Santo della Cattedrale.

Lucrezia: sii garbato, taci! impudico!

Giudice: quid est nunc?

Cancelliere:(stancamente e meccanicamente): cosa è ora?

Lucrezia:(rivolgendosi al giudice): perdonate messere Giudice eccellentissimo, sono Madonna Lucrezia Siciolante, del fu Antonio di Sermoneta, mi era fuggito il figlio mio, Girolamo, e in nessuno luogo lo ritrovavo, affezionata servitrice vostra, messere, perdonate l'indolenza.

Scena seconda

Bottega romana di Leonardo da Pistoia

Leonardo da Pistoia:(su di una scala a pioli alzando la voce): Girolamo; dove è andato quel figliol d'un...

Girolamo: eccovi Girolamo, messere,vostra grazia, suprema ed eccellentissima.

Leonardo da Pistoia:(continuando a voce alta) portami la setola, che alle barbe adoperare finezza si deve. Bartolomeo! Due, ovvero, tre fulmini ti cogliessero, il nero, e anche il bianco di piombo; maledetti allievi, sempre a gozzovigliare e mai nulla fare. Cesare, la scala; ti si aprisse l’inferno sotto al deretano, Cesare,

la scala!

Cesare: messere l'avete di già ai piedi vostri, vi siete seduto sopra; ed è anche l’ultima che abbiamo. Altre non mi pare di vederne.

Leonardo da Pistoia:(guardando con sprezzo ed acrimonia Cesare): figlio di un moro convertito, e tu stesso marrano della peggiore specie che non si può, la scala, stolto! reggi codesta scala ch'al ruzzolare non me piace affatto.

Girolamo: maestro Leonardo, ecco la setola!

Leonardo da Pistoia: quale setola? Ti ho forse, io, chiesto una setola?

Girolamo: si maestro!

Leonardo da Pistoia:(guardando sia Cesare che Bartolomeo): ho io chiesto una setola a messer Girolamo ciciolante qui ora presente?

Cesare e Bartolomeo:(insieme): si maestro!

Leonardo da Pistoia: bene, e voi messer liciolante...

Girolamo: Siciolante, maestro, Siciolante.

Leonardo da Pistoia: Prode cavaliere impavido e senza macchia? hai tu portata la sacra reliquia?

Girolamo: eccola, maestro.

Leonardo da Pistoia:(alquanto imbarazzato): bravo, per oggi che ti prenda solo mezzo fulmine!

Girolamo:(guardando attentamente la pala in esecuzione): maestro, scusate l'ardire, ma la Nostra Signora mi pare de averla conosciuta, in altro luogo; sapete bene certamente il dipinto di Giulio Romano, all'Ara Coeli. Il volto

è assai somigliante, ne convenite?

Leonardo da Pistoia: non ha certo errato quando il bon Francesco, tuo padre, ti portò qui per apprendere gli insegnamenti della pittura; caro Girolamo Lesiciante!

Girolamo: Siciolante, per vostra grazia.

Leonardo da Pistoia: vidi bene e già eri di pronta intellighenzia, al decimoquarto anno dell'età tua, e ora sei di già cresciuto, caro maestro, Girolamo meciolante.

Girolamo: Siciolante messer maestro, sempre il Siciolante di prima.

Leonardo da Pistoia: già! Ora hai l’età raggiunta della ragione e della tua bottega, hai bene venti et uno anni, giusto il conto? Caro maestro Siciolante?

Girolamo: giusto come la Sacra Scrittura. Però le care sottigliezze della pittura, maestro, sembrano da un canto abbellire, ma dell’altro scempiar le storie dipinte, se guardate la finitezza dei panni mi pare assai pesante, al comparare con la Nostra Signora, non vi pare?

Leonardo da Pistoia: caro Girolamo, ricorda che l’aver sempre occhio alla conoscenza resta parimenti importante, come i comandamenti; la leggiadrìa della Nostra Donna deve sovvenire anche dai vestimenti, ricorda la perfetta veste della Madonna di Michelangelo, guardala e riguardala, scorgi il nascosto e l’evidente, dedica il tempo al chiaro e allo scuro, guardane l’artificio, che quasi da San Luca sembra disegnata e fatta.

Leonardo da Pistoia:(ad un seduto ad tavolo ligneo con Girolamo): Girolamo caro, figlio, il momento di lasciare la casa dove hai appreso l’arte e mestiere del dipinger è giunto; tieni a mente la favella del tuo maestro, e codesti pochi

consigli: cerca subito qualcuno che possa garantirti, che agli uomini valenti vicina sia la tua costante persona, soddisfa le loro volontà, e pregali del loro aiuto, sempre, le fatiche dell’arte sono pesanti, e lo sai, ma lieto compenso se come gentiluomo sarai presente la gratificazione avrai; sii sottoposto alle sacre fatiche della nostra religione, con grazia, decoro, caro Girolamo, in ogni dove, taci le tue lamentele e scherza anche degli accidenti, sii cortese e fiero

dell’opera tua, ma non mai insuperbito con il tuo signore, che, tieni a mente, è anche il padrone, fai quanto ordina e mai rispondere a parola scortese, e se accadesse che qualcuno non te conoscesse, ma facesse finta de non mai averti

conosciuto per la opera tua, tu ripaga lo tuo committente con grandi elogi, e con gran lodi, dicendo che anzi gran valore hai tu sentito altrove di lui, anzi ancor di più, grande nobiltà di animo e cuore grande, pari alla virtù che la

famiglia sua ha nei tempi; l’opera tua si paga a figure, e mai alzare troppo il compenso, stendi accordi proficui fino a quanto se può, non oltre, altrimenti altri sono pronti a servir; accogli anche l’opera più modesta, e riverisci del poco

compenso. Addio Girolamo e che Dio ti guardi.

 

 

Scena terza

Bottega sermonetana del Siciolante

Voce fuori campo: Fra le prime opere adunque che costui fece da sé fu una tavola alta dodici palmi, che egli fece a olio di venti anni, la quale è oggi nella badia di Santo Stefano, vicino alla terra di Sermoneta sua patria, nella quale sono quanto il vivo San Pietro, Santo Stefano e San Giovanni Batista, con certi putti.

Camillo Caetani: allora? mastro Girolamo, il dipinto sembra che non senta ragioni di finire; sapete che il Priore resta sempre impaziente, datemi qualche nova!

Girolamo: pazientate padrone mio, l’opera è lunga perché la pazienza è breve,

Camillo Caetani: giunto è l’anno Domini 1541, Sua Santità nostro Signore papa Adriano VI, come sapete mastro Girolamo, me ha conferito il patronato dell’Abbazia di Santo Pietro e Stefano, vorrei conservare tale titolo prima che il Domino Nostro mi chiami a sé.

Girolamo:(mentre guarda attentamente la pala fra sé): mi pare di avere già notato che il San Pietro sia di Leonardo, Santo Stefano, parimenti, pari la Nostra Donna del medesimo, i putti sono finitissimi, e il vestimento stupendissimo; che dite padrone? Vi pare di troppa terra verde per le carni? Ovvero poca?

Camillo Caetani:(mentre osserva l’opera): assai apprezzabile, maestro Girolamo, vorrei vedere anche il disegno, per considerare se gli ordini dati li avete soddisfatti.

Girolamo: ecco a voi padrone, come ben sapete, Eccellenza, l’alberello si addice al significato della Santa Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, e le reliquie antiche, sulla sinistra, le pagane antichità degli dei falsi e bugiardi, ormai redenti dalla grazia de Nostro Signore.

Camillo Caetani:(osservando attentamente lo schizzo): ma dite, maestro Girolamo, perché non avete mai visto le Camerae dello nostro Castello?

Girolamo:(sulla scala voltandosi e prestando attenzione alle parole di Camillo): certum est che le ho vedute le Vostre stanze pinctae, messere, come vi giunge in mente tal bizzarro pensiero; fin dall’età piccola le ho viste e riviste; e ancora a tal questione mi sovviene un ricordo; quando…

Camillo Caetani:(interrompendo repentinamente Girolamo e guardando il foglio): non mi pare caro Girolamo, che avete presente alla mente le allegorie dipinte, posso creder non siano di vostro gradimento, concedetemi, maestro; le

nicchie di dietro sono qui deficienti, sapete, me sarebbe assai grato se voi voleste aggiungerla, là, dietro la Vergine Maria, si potrebbe togliere l’alberello, ovvero in altro luogo disporlo, credo che se foste tanto grato e gentiluomo di

farlo, mi sarebbe ancor meglio gradito.

Girolamo: come volete Eccellenza, servo umilissimo vostro.

Camillo Caetani: operate sempre con gran forma di voi, caro maestro Girolamo, ed è davvero grande piacere potervi avere nella nostra Terra; siete davvero un galante gentiluomo ed anche gran pittore, avete e avrete sempre mie grate riconoscenze, addio maestro e che Dio ve riguardi con gioia.

Girolamo: prego da Dio sanità e contentezza per voi, Eccellenza.(poi fra sé)Caro Leonardo, amatissimo mio maestro, quanto vi sono riconoscente di tante vere parole e consigli che me deste, “soddisfa le loro volontà”, mi diceste, ecco il

desiderio vostro espresso, e ancor più vi sono riconoscente. Volete le vostre Camerae Pinctae, Eccellenza? E mastro Girolamo Siciolante vi contenta in ogni vostra preferenza.

Scena quarta

Castello Caetani, interno del Maschio Annibaldi

Voce fuori campo: la seconda opra fu de ordine dello suo Signore, Giacomo Caetani, duce della sua patria che volle una Vergine ascesa in cielo, che oggi ancora resta nella chiesa della Immacolata Concezione della sua patria, dove la Nostra Donna viene captata al cielo nel mezzo de la luce de Nostro Signore.  

Camillo Caetani:(nella camera da letto del Castello Caetani) eccovi ancora in mia presenza, maestro Girolamo, ancora vi chiedo e, vi ordino, un’opera delle vostre che sia da collocare nella nostra chiesa della Immacolata Concezione, la nostra chiesa, sapete, quella al Borgo; sopra l’altare maggiore vorrei che foste così pronto da farvi, un’opera degna di sì gran chiesa, vorrei una Immacolata.

Girolamo: datemi qualche vostra preferenza Eccellenza; non attendo altro.

Camillo Caetani: avrete voi sentito il nome di un certo pittore, buono assai, che già opera con vigore a Venezia, colla Serenissima, e che anche in Roma è assai rinomato, ebbe incarichi anche da Sua Santità Papa Paolo III, un certo maestro Tiziano Vecellio, veneziano, allievo di Giorgione da Castelfranco, assai perito da quanto ho visto, grande pittor di colori e compiuto nelle finitezze, assai capace ed eccellentissimo nei ritratti, ma vi annoio con codeste parole, voi Girolamo, potrete di certo essere parimenti capace nel colorare e stesura, vorrei qualche cosa che somigliasse al detto Tiziano, ma senza modificare il vostro stile, maestro, fate quel che ritenete opportuno.

Girolamo: spero de non deludervi Eccellenza, ho anch’io sentito di Tiziano, grande e valido gentiluomo e magno pittore, siamo, per quanto si dice di maestro Tiziano Vecellio, assai emozionati, ed ammirati, ma non posso essere pari alla fiera arte del maestro detto, non ho certo la perizia sua, quindi a soddisfare le vostre volontà cercherò di provvedere; sempre, umilissimo vostro servitore.(uscendo dalla stanza, fra sé).Tiziano Vecellio? No! Caro messere

Camillo, se volete l’Immacolata di qualche veneto dovete chiamare il mastro Tiziano, ma troppo vi costa, allora migliore spesa è il vostro fedelissimo servitore; che Dio non ve conservi mai più del quanto vi debba, per sua somma carità, farvi restare su questo mondo; figlio de vostri migliori.

Scena quinta

Loggia dei Mercanti

Gasparre Gasparrini:(interrompendo il soliloquio di Girolamo): salute a voi maestro Girolamo Siciolante, detto il Sermoneta…

Girolamo:(non guardando Gaspare): salute a voi, chiunque voi siate e vogliate da me, non certo mi pare ora opportuna a postulare, qual cosa si voglia cosa essa sia, quindi bonuomo se…

Gaspare Gasparrini:(guardando fissamente Girolamo): il mio nome è Gaspare Gasparrini, vengo da Macerata e vorrei apprendere da vostra Eccellenza l’arte della pittura. Ma se tanto vi duole scusate, e dimentico siate di quanto vi ho

chiesto. Dio vi conservi.

Girolamo: Gaspare Gasparrini, che voleva apprender l’arte…messere, messere Gaspare, perdonate così tanta impertinenza, ma abituato sono a volgere miei pensieri con me, quindi non poco scortese sembro ogni volta; dicevate

che voi vorreste seguir l’arte della pittura, e io sarei contento di farvi apprendere tanta capacità, ma dite, avete qualche opera con voi?

Gaspare:(guardando alquanto stupito Girolamo): no maestro, non ho nulla, se l’avessi sarei di già maestro conosciuto, e quindi non verrei da voi.

Osteria. Interno del ristorante il Pomarancio

Girolamo: anche questo mi pare credibile, non temete, Gaspare, presto avrete pennelli con valide e gagliarde setole, ed anche tanta maestria. Ma lieto sarei di conoscervi assai meglio, volgiamo qui all’osteria del Borgo, il padrone si offende se non vado a bere come lui vuole, ed ha anche un figlia, che si sporge assai dimessa talvolta.(alzando la voce) Oste della malora! Dove ti sei cacciato, a contar li rubati quadrini? Tanto non crescono con la conta del giorno.

Oste: No certamente, come non crescono con la paga dei pittori, vero maestro Girolamo? Qualcuno di nostra conoscenza, mi deve ancora quattro fiorini di un cratere di vino, del mese scorso, un certo stracciatele de codeste terre, sapete maestro, un di quelli gentiluomini che dipinge le madonnine senza alcuna arte; non certo della vostra grande fama di solerte pagatore di osteria, al quale neanche deve dirsi che, subitamente, porge la moneta, non è vero maestro?

Girolamo: hai tempo da impiegare per pregare i creditori, non è vero? Oste della maldicenza e malfiducia? Hai per vero tu creduto che io non ti volessi saldare il conto, del giorno passato e prossimo?

Oste: del mese trascorso, e prossimo, caro maestro.

Girolamo: un mese? E dove ero? Perché non ricordo? Sono uso ogni qual volta saldare, mi pareva di avere porto i quattro fiorini. Ah! Ora ricordo la questione; ho dato ad un mio fratello Gianni, o Giovan Battista, ovvero a Palma?

Oste: Palma?

Girolamo: si la mia sorella germana.

Oste: Palma, si rimembro, Palma, siatene sicuro maestro, avviso non mi giunse, comunque non temere che non sporgerò certo avviso pubblico al Luogotenente.

Girolamo: chiedi a Maria, la tua figlia, ella certo sa. E portaci una bottiglia del migliore, ovvero meno peggio.

Oste: giungo prima che il vento, caro messere maestro illustrissimo, reverendissimo pagatore senza dolore.

Girolamo: pensiamo alle questioni nostre, caro messer Gaspare. Da dove vieni tu, se posso abusare di tale confidenza. Posso?

Gaspare: alla vostra volontà, maestro, già detto ho, che la mia patria è nella Marca, Macerata, e sono dei galantuomini dei Gasparrini, signori di Macerata, e con prodi cavalieri a Gerusalemme, servitori della Romana Chiesa, e illustri in

entrambe le leggi. Nobili natali e assai virtuosi.

Girolamo:(alquanto stupito): in errore estremo caddi, il vostro atteggiamento  mi pareva di nobile gente, ma non credevo di tale virtù, quindi perdonate, messere, non derivate dalla plebe, bensì da elevato lignaggio.

Gaspare: lignaggio, come dice l’Alighieri, poeta sommo, è solo nella virtù dell’animo, e non dalla nobiltà degli avi.

Girolamo: approvo, ma il lignaggio, sapete messere, resta pur un garante di gran virtù.

Gaspare: questo è certo, ma la derivanza della nascita non può dare sempre virtù, che sia come volete, maestro, ora mi pare giusto di parlare di pittura senza scorrere tempo in nobiltà certe e incerte.

Girolamo: senza addure altre parole, messer Gaspare, volete quindi apprendere come la pittura se fa?

Gaspare: Sono qui per apprendere! E a voi solo ho pensato, grande valore mostra la vostra rinomanza di pittore assai perito, quindi dopo gli avi migliori, anche li maestri certi, nella loro opera, potrei solo che conoscere.

Girolamo: voi avete qualche conoscenza de pittura, messer Gaspare?

Gaspare: non mi pare, solo a quattordici anni di mia vita sono giunto, e potei avere solo conoscenze di buono garbo e di educazione decorosa, ma di pittura nulla.

Girolamo:(con espressione sarcastica): quindi potrei farvi credere che un affresco si potrebbe fare con l'olio anziché con la tempera, non è così messere?

Gaspare:(partecipe della domanda e assai attento): certo che è così, maestro Girolamo, a voi porgo la mia fede.

Girolamo: e avreste ragione a crederlo, caro messer Gaspare, l’affresco se può fare con olio e con tempera, ma non assieme mescolati.

Gaspare:(sorridente e quasi divertito): i molti giudizi sentiti attorno alla vostra pittura sono di gran lode, ma non citavano anche la vostra simpatia.

Girolamo: ma non la simpatia, per nulla, caro Gaspare, l’affresco...a bottega!

Gaspare: dove maestro?

Girolamo: non temete, vi prego, a bottega!

Scena quinta

Bottega sermonetana del Siciolante

Girolamo: vedete questa opera? Olio si usa, la tela è di canapa, bene intessuta con filigrana sottile, quindi grande spessore vi serve per sorreggere la pittura. Capito?

Gaspare: sì, ma ora ne so meno che prima.

Girolamo: al principio dell’opera detta: si compra la tela, di canapa fine, la si tocca e deve essere senza alcun truciolo di canapa, si passa il palmo della mano e se sentono i peli che escono,(quindi volgendo l'attenzione in altro luogo)

ecco qui uno scampolo, toccate, sentite il liscio?

Gaspare: certo, pare quasi seta; e dopo?

Girolamo: dopo, si distende sopra la tela il gesso ben macinato, anzi finissimo, lo si mescola con acqua e colla animale, e...

Gaspare: perché?

Girolamo: la colla animale fa stendere assai meglio, e con grande adesione il gesso.

Gaspare: ma il gesso come si fa?

Girolamo: punte dolententis.

Gaspare: puntum dolens, vorreste dire! Il latino maestro, il latino, il mio amato Cicerone avrebbe detto ora: "indecoroso non est de non sapire bene lo latino, sed non sapirlo affatto", e voi maestro forse non lo tenete bene a mente.

Girolamo: date termine messer Cicerone? Avrei da fare una Immacolata se non vi dispiace.

Gaspare: vassallo vostro maestro.

Girolamo: il gesso, Gaspare, si piglia in tocchetti, e si macina per una giornata intera, quindi il mortaio, e il battitore, lì posto; prendete il tocco di gesso, sempre lì, sul tavolaccio, e macinatelo usque olver sit, fino a quando non sia

polvere; ben detto messer Gaspare? Il vostro messer Cicerone sarebbe assai grato.

Gaspare: dove avete appreso il latino, maestro?

Girolamo: da mio padre, grande cortigiano e uomo di sagge parole, forgiato nello spirito e ìlare quanto basta; si non erro a ricordare, Marziale scrisse, "Ridere satis".

Gaspare: giusto maestro, ma satis quam est ista pulver?

Girolamo: come? Cosa dite?

Gaspare: il latino maestro, il latino.

Girolamo: non struggere le virilità! Non ho inteso.

Gaspare: basta il macinare, per la vostra anelata polvere?

Girolamo: guarda che i granelli di calcina siano sciolti bene.

Gaspare: adesso si deve ingessare la tela, poi impannare, ed oliare, quinci attendere all’opera, e…

Gaspare: perché?

Girolamo: (guaradando la tela)la tela inclita eccellenza, deve avere uno strato forte e rigido.

Gaspare: ne convengo, maestro, ma perché il lino e l’olio ed il gesso?

Girolamo: il gesso indura la tela, il lino assorbe il colore e l’acqua del gesso, e l’olio face scorrere le setole. Capito?

Gaspare: no! Ma guardiamo il proseguo.

Girolamo: intigni il pennello alla ampolla dell’olio, quinci alla tempera; mescola bene sulla tavolozza; e ora passalo sulla manca della tela.

Gaspare:(passando delicatamente le setole sulla sinistra della tela) guardate maestro, pare che la carezzi.

Girolamo: Gaspare è una tela non un deretano de puella; con forza, altrimenti lo colore non penetra nel lino.

Gaspare: ma a tal guisa la tela se rovina.

Girolamo: stendi con cura e forza, e fai più strati, perché la tela assorbe sempre il colore.

Gaspare: vorrei porvi un dubio maestro.

Girolamo: dimmi caro.

Gaspare: voi credete che io possa divenire un buon pittore?

Girolamo:(guardando fissamente Gaspare) no! Gaspare, la pittura è un mestiere che si deve amare e vole sempre sacrifici, fame lagrime et sanguine; tu certamente vuoi solo dilettarti, ma non sei vocato, non hai niuna volontà di attendere. Credimi; torna fra li tuoi migliori, e non trattenerti in mestieri che non vuoi imparare; meglio che tu sappia le tue bone maniere da nobil’homo qual tu sei; la pittura lasciala ai popolani, sono assai più adusi alla povertate.(con espressione seria) Hai per caso tu qualche parente veneziano? Un cadetto della tua famiglia, un fratello naturale, una sorella, un prozio, un trisavolo, un tuo migliore.

Gaspare: non parmi maestro, ma perché?

Girolamo: avrei un’ambasciata, per messer Tiziano Vecellio.

Gaspare: il gran pintore veneziano; quinci?

Girolamo: se tu lo dovessi vedere, potresti riferirgli che avria bisogno de una sua grande grazia.

Gaspare: quale?

Girolamo:(con espressione seriosa)devi riferirgli che se con la grande sua bontade dell’animo, e la magna munificenza, che lo distingue, come la magnanima sua suprema indulgenza, e sublime nobiltade dell’animo inclito…

Gaspare: quinci?

Girolamo: devi riportargli, con la tua grande grazia.

Gaspare: si, cosa?

Girolamo: di andare a fare in…

Gaspare:(interrompendo bruscamente) riferirò, con vostre parole.

 

 

 

 

Scena sesta

Roma. Interno di Castel Sant’Angelo: Stanze Paoline

Voce fuori campo: poscia, al maestro Pierin del Vaga, Nostro Signore Paolo III Farnese papa, ordinò de pignere le sue stanze nel Castel Sant’Agnelo, con le Istorie de Alexandro Magno, e altre figure de femine et homini, che il Sermoneta avea frescato nelle logge, e nelle stanze.  

Girolamo: perdonate maestro, vorrei conferire con maestro Perin del Vaga, per impetrare qualche officio; sapete ove posso trovarlo?

Antonio da Nunziata: (sulla scala e senza guardare Girolamo, con voce alta) Perino, Perino, accorri immantinente, ora, adesso, prima che tu pote.

Perin del Vaga: eccomi, cosa mai possiate volere voi, maestro? Mi umilierò a qualsiasi vostro vezzo vi possa gradirvi, che Dio Padre, nella sua immensa misericordia, vi fulmini ora, che fra solo un momento dopo, sarebbe troppo tardi! Dimmi rompitore delle sacre sfere, e …

Antonio da Nunziata: un pittore, mi chiede di quale valore tu sia; poco certamente, anzi nullo, ho detto, ma forse fui assai modesto, so, maestro Perino, che voi vorreste sempre esser l’ultimo degli ultimi…

Perino:(interrompendo e con risentimento): vai alle tue figurette, caro Toto, ora, prima che subito.

Antonio della Nunziata:(con ironia): vostro umilissimo servitore, vassallo e anche all’occasione correggitore di disegni.

Perino: vai!(rivolgendosi a Girolamo) Voi siete maestro?

Girolamo: Girolamo Siciolante da Sermoneta, pittore, e conoscendo la vostra gran perizia, maestro Perino, avrei creduto che potrei darvi saggio e da voi apprender assai, se voi fosse concorde con la mia volontà, potrei conoscere la

vostra estimata valentia…

Perino:(interrompendo): sono per dirvi, maestro, che tanto abbiamo necessità di scudi ma non di apprendisti e alunni, che qui sono a josa, quindi mi pare che la voce sulla mia perizia sia anche giusta, ma se qualcheduno vi ha a me rivolto, mi pare che voi abbiate errato luogo, e quindi…

Girolamo: sono vassallo di Giacomo Caetani, signore di Sermoneta e…

Perino:(interrompendo e con improntitudine infastidita): chi? Mai sentito! Caetani…, Caetani, non ho mai davvero sentito, ma chiunque esso sia, poco m’importa di chi servite, e non ho nulla da darvi, e da fare per voi meno che niente…

Girolamo: si non da leggere questa lettera, maestro, di Giacomo Caetani, gran familiare di Sua Santità Paolo III Farnese, Nostro Signore, il medesimo committente di questa decorazione; quindi credo che voi, maestro, vogliate

sapere cosa ordina.

Perino:(con espressione assai meno risentita): certamente che vorrei sapere cosa vuole l’eminentissimo, ed eccellentissimo Signor Giacomo Caetani, temevo che fosse risentito ovvero che fosse in cattiva salute; un’accidente,

una melanconia, o non so…

Girolamo: Deo gratias, gode di grande salute, che il Signore lo trattenga a lungo.

Perino:(legge la lettera).

Voce fuori campo:Maestro Perino Bonaccorsi, detto del Vaga; vi prego assai vivamente di considerare il latore di codesta lettera, maestro Girolamo Siciolante, mio fedele suddito, e già perito nella pittura; per il quale vi chiedo se voi vorrete accoglierlo fra l’opera vostra. Giacomo Caetani, Signore di Sermoneta, etc.

Perino: caro Girolamo potevi dire prima, le tue grandi mallevadorie, io temevo che tu fossi un sbuccia muri di scarto, sai  bene, caro Girolamo, di quelli che girano con grande ardire di pittori ma…; ti annoio con queste ciaccole da poco,

mentre gran fremere di lavoro ti compiace assai meglio, allora ti piaccia costì(indicando una parete nuda).

Girolamo: non vedo nulla maestro Perino.

Perino: ci credo anche io, Girolamo adorato, nulla c’è!

Girolamo: vi prego allora di dispiegarmi con la grande favella che vi diede Nostro Signore.

Perino:(indicando il registro superiore): guarda lì, avrei veduto che due buone figure femminili vi fossero di grato aspetto, una nuda e l’altra ben decorata negli abbigliamenti, che avessero significato dell’Amore e della Speranza. Mi

pare che si possano gradire, anche perché la volontà del Nostro Signore Paolo III non chiede mai, ma ordina, e quindi a noi resta solo la prontezza di soddisfarlo. Alla grande opera, carissimo ed eminentissimo Gerolamo, non tengo te oltre la necessità, e non ti annoio oltre (si allontana e conferendo con Antonio della Nunziata): taci! Non parlare e chiudi quel baratro di bocca.

Antonio della Nunziata: maestro! Vi siete forse, per caso, per accidente, impaurito della lettera, voi, eminentissimo che uso siete a volgere la fortuna come parvi, che temete? Un pittoruncolo da luogo incerto, che straccia gl’intonaci? Non è da vostra audacia, messer Perino, non credete?

Perino:(con sprezzante reazione permalosa): ti mozzo lo capo! Va’ fra i tuoi migliori, e torna alla frescatura, un piede diritto al deretano tuo potrebbe anche fuggirmi, figlio di gran padre; ignoto! Termina il tondo, che l’intonaco tira.

Girolamo:(raggiungendo Perino): maestro permettete che vi disturbi un poco.

Perino:(infastidito): caro Gerolamo di già qui a chiedere saldo, ma mi pare, senza offesa, assai presto per il tuo dovuto, non concordi?

Girolamo: vorrei solo avere, per compiere l’opera, gli strumenti giusti e i mezzi, solo questo maestro.

Perino:(simulando stupore): non ti hanno ancor dato nulla per soddisfare le tue necessità? Meo, Bartolomeo, dove è andato quel nefando uomo da nulla, Bart…

Bartolomeo:(al di sotto della scala dove poggia Perino): eccomi a voi, maestro, dite ed eseguirò, come meglio potrò.

Perino: procura gli strumenti, pennelli, colori, e quanto maestro Girolamo ha da volere. Ora!

Bartolomeo: come voi comandate.(rivolto a Girolamo) Come potrei servirvi maestro? Colori, fogli per il disegno, carboncino e quant’altro; dite.

Girolamo: tenete a mente quanto dico: una scala, se non annoio più del dovuto, fogli, carboncino e spine di rosa, terra rossa, un ago, calcina e raspa, una picca per sgrossar il muro.

Bartolomeo: a procurar sono pronto, maestro.

Girolamo:(guarda la parete e volgendosi a Bartolomeo che si allontana): e un metro, Bartolomeo, un metro.(poi fra sé). Quindici palmi, di verticale, quindi sette di orizzontale, e due femmine, e…

Bartolomeo:(con i fogli in mano): eccovi i fogli, maestro, il carboncino, e nulla altro, ora questi sono gli strumenti soli che ho ricavato.

Girolamo:(guardando Bertolomeo e i fogli): al punto giusto, Bartolomeo, mi sovviene or ora un’idea, che non mi pare sgradevole(inginocchiandosi sul pavimento); guarda! Due femmine, l’Amore, che potrebbe essere nuda; hai

veduto mai l’Aurora di Michelangelo?

Bartolomeo: no maestro.

Girolamo: a tal posizione sarebbe giusta, senza però esser parimenti uguale, le sibille di Raffaello, poste alla medesima maniera, con grazia ed eleganza. Qui Cupido, con l’arma sua, e qui la Speranza, con la posa della preghiera, gli occhi

volti al cielo, e grandi vestiti. Qui nel centro la storia di Alessandro Magno, e putti sui lati. Bartolomeo procurati il resto, che gran tempo infra non possiamo perdere.

Bartolomeo: ai vostri ordini maestro.(Bartolomeo prende le cazzuole e la calcina)

Girolamo: l’ago, Bartolomeo, ed anche la terra rossa, tieni lì con le spine di rosa, appresta la calcina e l’arriccio; bene, stendete con gran curanza, e non ve siano gobbe .(salendo ambedue sulle due scale ai lati della giornata).

Bartolomeo: maestro, qui fissiamo con i chiodi?

Girolamo: si Bartolomeo, fissa i fogli, buca i confini, e poi la spugna della terra rossa.

Bartolomeo: pare che l’intonaco ancora sia fradicio, maestro…

Girolamo:(mentre guarda attentamente la parete): gli altri fogli Bartolomeo servono per assorbire l’umidità dell’intonaco, non temere, i confini Bartolomeo, i confini e la terra rossa.

Bartolomeo: sono all’opera maestro, seguo i confini, e li buco.

Girolamo:(porgendo l’impacco di sinopia): la terra rossa Bartolomeo, schiacciala sopra i confini, e premi più che puoi.

Bartolomeo:(mentre batte l’impacco sul foglio): certo maestro, guardate se mi viene bene l’opera.

Girolamo: bene Bartolomeo, ed ora con prudenza stacca i fogli.

Bartolomeo:(mentre stacca i chiodi di rosa): si maestro; scorgo i punti di terra rossa, sarebbe meglio che vi ribattessi, che ne dite?

Girolamo:(sorridendo): no Bartolomeo, ricorda che l’intonaco tira, non perder tempo, altrimenti il colore si deve stendere a secco.

Bartolomeo:(mentre continua a guardare i fogli per scorgervi la sinopia): ecco i punti maestro, vi sono tutti, anche oltre, ma forse saranno troppi, non mi pare di averne cotanti infilati, ovvero si.

Girolamo:(mentre guarda con celio accennato Bartolomeo): Meo, stacca pian piano il cartone, e appronta dopo il nero di carbone, che ad unire i punti si debbia esser pronti.

Bartolomeo: si maestro, ma il cartone non è ancor venuto tutto, ed il nero di carbone non so che sia, diteme, vi prego, che solo un misero garzone sono io.

Girolamo:(mentre continua a staccare il cartone sul registro superiore): discendi dalla scala e guarda dove si trova il sacchetto del nero.

Bartolomeo:(guardando in basso dalla scala): lì maestro, ed anche li altri colori sono tutti lì, li prendo maestro?

Girolamo: scendi prima; dopo ti spiego il modo.

Bartolomeo: sono giunto, maestro, e ora parlate, sono un solo orecchio, ditemi.

Girolamo: guarda a sinistra, e prendi il sacchetto della polvere nera.

Bartolomeo: sono dietro maestro, ecco il sacchetto.

Girolamo:(con ironia): bravo! Non mi pare grande impresa di aprirlo, e il mirar dentro ti sia felice ardore!

Bartolomeo: vi scorgo solo polvere nera, e nulla altro, maestro.

Girolamo:(simulando stupore): Meo, ancora giovane e incerto tu sei del mondo; se vi fossero stati scudi, ovvero fiorini, dubito assai che il sacchetto sarebbe ancora lì, e quindi, esso è ancor lì perché nulla vale, si non per

congiungere i punti.

Bartolomeo:(con espressione stupita): sarebbe di dire, che i punti si possono tutti unire con codesta polvere?

Girolamo: certo, caro Meo, ma se prima non mescoli, nell’ampolla la polvere ed acqua, sarebbe arduo unire i punti.

Bartolomeo: voi guardate, maestro, e ditemi se faccio bene.

Girolamo: l’ampolla l’hai in mano?

Bartolomeo: si, maestro.

Girolamo: versaci un po’ di acqua, e scuoti con grande ardore, ora muovi con grazia, e guarda bene l’ampolla.

Bartolomeo: fatto maestro.

Girolamo: il pennello grosso di cinghiale, sali sulla scala, ed intingi il pennello nell’ampolla. Ora con la sola punta scorri ed unisci i punti tutti.

Bartolomeo: non mi pare di grande perizia, a compire questo.

Girolamo: unisci con perizia e non parlare sempre. E ora congiunti i punti; scendi e appronta l’ocra e la terra verde.

Bartolomeo: si maestro.(presi i sacchetti e con espressione pensierosa, e risalendo sui pioli)Ma perché si chiama nero di carbone, maestro?

Girolamo: perché è il nero che si ricava dai camini, la polvere della legna arsa nelle cappe dei camini; come ben sai!

Bartolomeo: no! Non so.

Girolamo: e ora lo sai.

Bartolomeo: e perché la terra verde e l’ocra, maestro?

Girolamo: per far le carni delle femmine, caro Meo, all’apparire devono essere assai in essere, e quindi servono le carni vive. Tocca l’intonaco, e dimmi se comincia a tirare.

Bartolomeo: come se fa a capire se tira?

Girolamo: se è già asciutto?

Bartolomeo: non mi pare maestro, anzi, assai bagnato.

Girolamo: bene, mescola come prima la terra verde, e l’ocra, intingi il pennello, e stendi con gran cura e diligenza sulle carni, braccia, e mani, e la ciera e li piedi, senza fretta, ma con pacato scorrere;(guardando altrove) l’ampolla dove

è posta?

Bartolomeo:(mentre esegue gli incarnati): lì, maestro, sul tavolato, alla vostra destra.

Girolamo: dipingi a grandi stesure, Meo, l’intonaco tira, e la giornata non attende.

Bartolomeo: maestro, ripasso una seconda stesura, sembra sia poco scura.

Girolamo:(guardando la nascente figura): ancora ocra, e terra ma in uno luogo solo, e grada il passare fino alla rotondità del luogo.

Bartolomeo: dove devo cominciare maestro?

Girolamo: appronta la mano che ti pare più vicina; ma prima scendi e prendi gli altri pennelli.

Bartolomeo:(guardando giù): eccomi! Sono di sponda, maestro.

Perino:(si avvicina e guarda le figure): non mi sembra che codesta opera corra a gran passi, maestro Girolamo, ovvero sbaglio?

Girolamo:(con voce ironica ed infastidita): grande sentenza, Perino, come mi pare che qualcuno deve cercare altra maniera per annoiar i pittori, ad attendere qui siamo, e tutti in ansia, perché la tua voce non si udiva, che cominciavo a

credere, che lo abbia colto un’accidente? Il colera, un’alabarda al deretano, ovver ai budelli? E invece nulla di questo ancora sano e vegeto.

Perino: non temere, Girolamo, ti darò io l’olio santo, e alla tua dipartita da questa terra pregherò per la tua anima da tre baiocchi.

Girolamo: voi siete sempre tanto lusinghiero, caro Perino, ma i tre baiocchi teneteli voi, che ne avete assai necessità, vista la gran capacità nella pittura.

Perino: Meo, pingere con peggiore specie di stracciamuri non poteva capitarti; conoscere l’arte è già mestiere arduo, ma con chi sappia ben pingere, e non un sporcatele di cotale poca tempra.

Girolamo:(con voce altisonante): Perino, non hai nulla mai da fare? Sentivo ora che serviva qualcuno, con buone mani, per pulir le stalle e fare brillare gli stivali, sarebbe gran mestiere e grande onore, tenetelo a mente, maestro.

Perino: non oserei mai privarvi di cotanto prestigio, maestro Girolamo, siete così pronto a mescolare che sembrami che solo a voi fidar si debba.

Bartolomeo:(guardando ambedue i contendenti dialettici): non certo vorrei terminare cotanta disputa di fieri intelletti, ma quivi l’intonaco tira e si qualcuno mi sapesse dire cosa fare, potrei anche essere soddisfatto.

Girolamo: prepara l’ocra e che sia più denso di quello prima, passa e ripassa, stendi e…non annoiar oltre.

Perino:(guardando sorridente Bartolomeo): anche un aiuto hai preso e scelto un garzone de gran lega, vero Girolamo?

Girolamo: il medesimo favellare del padre mio quando entrai alla bottega di Leonardo, mio venerato maestro, la scuola della pittura la conosciamo assai bene, Perino.

Perino: si, ma garzone è gran novità, Meo non è aduso a cotanta perizia, e poi tarda è l’età.

Girolamo: e sempre più tarda se nessuno lo fa apprendere, ma non temere, Perino, l’occhio ha desto e vigile.

Perino: certo, Girolamo, compire errori qui sarebbe rischioso, hai gran fede in te.

Girolamo: e io in te caro Perino(fra sé); vecchio trombone maldestro.

Bartolomeo: maestro, come vi pare la stesura condotta?

Girolamo: buona assai Meo, buona, ma guarda bene che l’oscurità sia di gran leggerezza, non apporre troppa ocra qui, cauto e prudente con il nero, sii pacato e carezzevole, non fare apparire troppo l’oscurità. Ma il pennello fine, dove lo

hai messo; con quello si deve fare l’oscuro; ma dov’è…

Bartolomeo: eccolo maestro.

Girolamo: bene! Ora passa mano assai leggera, guarda bene la tua di mano e pensala come di femmina che di decoro, e grande grazia, deve avere e…

Perino: Girolamo, Girolamo, scendi dal ponte che ho da mostrarti grande disegno.

Girolamo: Perino, si ogni volta all’annoiar sei sempre pronto, non ci dire di non perdere tempo…

Perino: scendi Girolamo; per il maestro mio Raffaello, si può anche mancare di regola.

Girolamo: Raffaello, il Sanzio dici?

Perino: il Sanzio, certamente.

Girolamo:(con voce enfatica e sorpresa): scendi anche tu Meo! un disegno del Sanzio.

Perino: guarda quale disegno, guardate, maestri illustrissimi.

Gerolamo: Mater Dei, il Sanzio, una Coronazione della Vergine, ma dove si trova l’opera? Ma come lo hai avuto Perino?

Perino: la Coronazione, è in Perugia, il disegno lo ho avuto da Raffaello, me lo lasciò quando il Signore lo chiamò a frescar il Paradiso.

Girolamo: ma quanta grazia di carboncino, guarda il segno come è fluente, Meo, guarda quale maestria nella grazia, la dolce femmina Mater Christi, la grazia di Nostro Signore nel porre la corona sulla testa, guarda come siano di grande decoro le nudità. Meo, hai grande incarico per il tuo carboncino; quindi converti l’opera tua dalla pittura al carboncino; copia codesto disegno e usa grande grazia che Raffaello è grande pittore che vuol sempre dolcezza.

Bartolomeo: come faccio, maestro?

Girolamo: con grande perizia qual tu hai, e ora voglio che operi davvero. Non indugiare oltre, Meo, che tanto da ricavare tu hai.(indicando un cartone già usato per lo spessore). Un cartone può essere di quelli, prendilo e comincia

l’opera.

Bartolomeo: non sono sì tanto perito, maestro, e se sbagliassi?

Girolamo: devi sbagliare, altrimenti mai ad imparar saresti pronto.

Bartolomeo: si, ma…

Girolamo: non indugiar oltre, Meo, li miei allievi non debbono mai tirarsi indietro alla difficoltà, ma bensì affrontarla e operarvi sino al compimento loro; quindi opera senza alcun dubbio, Meo, e non annoiarmi oltre.

Atto II

Scena prima

Piacenza. Interno di Palazzo Farnese

Voce fuori campo: Al signor Pierluigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, il quale servì alcun tempo, fece molte opere et in particolare un quadro, che è in Piacenza fatto per la cappella, dentro al quale è la  Nostra Donna, San Giuseppe, San Michele, San Giovanni Battista et un angelo di palmi otto.

Per ragioni di parentela Bonifacio Caetani appellò la protezione di Pier Luigi Farnese, alla corte di Piacenza, ove Girolamo Siciolante dipinse una tela con la Sacra Famiglia, per la mallevadoria che lo suo Signore Bonifacio avea fatto, ma dopo grande attesa le opere sperate erano assai ridotte, e quinci Bonifacio Caetani, giunto l’anno 1549, volle la decorazione della sua cappella nella chiesa della Immacolata Concezione, Girolamo fece ritorno alla patria sua, et scrisse una lunga pìstola.  

Girolamo:(rivolgendosi al Farnese) saluto Vostra Signoria Illustrissima; giungo da Roma con ordine del vostro cugino l’Eminentissimo Bonifacio Caetani, Signore di Sermoneta. Il quale porgevi il suo fraterno saluto, e vi prega di accondiscendere ad accogliere il suo umilissimo servitore, quale io sono.

Pier Luigi Farnese:(seduto su di uno sgabello) ben giunto a Piacenza maestro Gerolamo, buon viaggio avrete compiuto, almeno spero.

Girolamo:(compiuta la riverenza): buono assai Illustrissimo.

Pier Luigi Farnese: bene, ho già avviso del vostro arrivo da Roma, ed assai grato di vedervi integro e salvo; Bonifacio, mio familiare e vostro signore, mi ha di già tessuto grande elogio della pittura vostra, e non temo delusioni.

Girolamo: e io non temo da voi ingrati trattamenti di lavorare, Illustrissimo, vorrei esservi utile e vorrei sapere qual siano le vostre volontà.

Pier Luigi Farnese: ho di già nella mente un’idea che vorrei veder dipinta, maestro, sapete, una buona Sacra Famiglia, con l’Arcangelo Michele, San Giuseppe, e gli altri tutti.

Girolamo: a servizio vostro, Eccellentissimo, quindi posso or ora dare principio?

Pier Luigi Farnese: tempo ne avrete, intanto guardatevi bene la nostra pittura e andate a vedervi quanto si può cavare dai pittori di Piacenza.

Girolamo: a vostra volontà.

Scena seconda

In una chiesa di Piacenza

Girolamo:(fra se mentre guarda il Parmigianino): grandi vesti, di grande valore, la carnalità buona e leggiera come mai vista, aggraziata e qual fiamminga pittura; sarebbe da principiare cotanta maniera, la testa ha qualche incertezza ma buono così, Nostro Signore assai lungo, me qui i nostri fiamminghi hanno fatto scuola grande; caro Francesco del Cossa, aspro e di miglior cura, le pietre sono fatte dal niello di un’orefice, la veste assai ben tessuta, mai nulla di tanto e troppo, la necessità è maestra. Antonio cosa fa di buono? Correggio, non disti dalla verità, la luce è assai certa, e lo stendere ti fa maestro.

Scena terza

Nella Corte

Pier Luigi Farnese: maestro, goduto avrete, spero, dei nostri pittori saggiato la maestranza.

Girolamo: ottimi valori mi sono pervenuti, le vesti e i volti, Illustrissimo, di grande segno e fattura eminentissima.

Pier Luigi Farnese: la Sacra Famiglia che vi chiesi?

Girolamo: non ho altro desiderio.(di fronte alla tela e con sé stesso mentre Pier Luigi guarda la tela). Di sguincio sarebbe assai miglior fare, qui il San Michele Arcangelo, e che di traverso sia per cogliere il capo della Nostra Signora, sulla destra Santo Giuseppe, pare quello del Correggio, ma buono è. Le vesti quanto quelli del Parmigianino, e gran perizia di particolare. Le ultime finiture, che l’Illustrissimo sarebbe assai grato, che maestro Girolamo sia di scuola fiamminga.

Pier Luigi Farnese: lasciovi alla vostra meditatio, maestro, pensate anche al tempo di impiego, prima della fine del mondo, se potete. Valetevi.

Girolamo:(con sé stesso gesticolando con un pennello in mano, camminando nervosamente)Pare sempre agevole depignere, ma poi se qualche Vergine non piace, allora vegnite con le solite querele a questuare che qui non compiace, e lì meno ancora, quel colore costa troppo, lo panno qui è mal tirato, lì parme de veder mia socera, quella non parme la mia concubina, lo deteretano non è de meo gusto, etc.

Pier Luigi Farnese:(entra nella stanza) salute a voi maestro Girolamo; stamane ho veduto il vostro desegno, certo, gran sicurezza nel vostro carboncino, e non errai affatto, buona opera e con grande maestria di certo, maestro, mi sembra di vedervi anche Parmigianino ovvero no?

Girolamo: gran giudizio avete e buon occhio, Eccellentissimo, in verità anche Correggio, e diversi fiamminghi.

Pier Luigi Farnese:(uscendo dalla stanza): avrete buone e molte da fare qui.

Girolamo:(fra sé) lo spero con grande ardore, ma non fido assai.(poi rivolgendosi a Pier Luigi) Dio vi conservi Eccellentissimo.

Scena quarta

Una sala della corte piacentina

  (Girolamo scrive una lettera)La pistola a messer Bonifacio Caetani: Illustrissimo Signore Padrone mio sempre osservantissimo. Volendo Vostra Signoria che io venga a Sermoneta, non posso mancar de quanto mi comanda et verrò volentieri quasi non mando una cavalcatura innanzi le fosse, acciò me ritrovi questa costì perché il Signor Imbasciator de Francia insino a qui stato molto male et per grazia di Dio al presente si sente molto bene e mi tien sollecitato della sua opera ad dir che non sarà finita che li ho promisso se non fossi questa causa mi hoffreria a Vostra Signoria de venire questa state a star a Sermoneta a farli io queste stanze che Vostra Signoria vol far dipigner la la Signoria Vostra  mi avrà per scuso che io non posso hofferirme a  cosa nessuna, et mene doglio assai a Vostra Signoria Illustrissima Humilmente mi raccomando. Di Roma lì 5 de Giugno 1549. Di Vostra Signoria Illustrissima. Servitore Hieronimo  Siciolante.

Circa l’esser mio de qua sua eccellentia me ha mostrato bona ciera da l’altra banda fino adesso non ci vego d’aver a far lavori de molta importanza si come me fu detto et come me pensavo, si che se sapevo questo non partivo de

Roma; se altro cose non sono da fare che queste, che vedo a primavera tornarò a Roma perché voglio veder de non perder il tempo perché se potria voglio andar innanzi no addietro. Al presente sua eccellentia me fa far un quadro

ad olio assai grande ove sarrà una madonna con certe altre figure et così starò a veder questo inverno come vanno le cose così farrò.

 Spero che Bonifacio abbia capito che qui non si lavora, si trascorre il tempo a nessuna faccenda.

Pier Luigi Farnese: maestro, mi è giunta voce che voi vorreste tornare ai vostri luoghi, non vorrei che fosse vero tale detto.

Girolamo: temo che tal sia verità, Illustrissimo, incarichi di somma gravità mi costringono a lasciare la vostra corte e la vostra munifica ospitalità, prego Vostra Eccellenza di concedermi il congedo dalla vostra corte.

Pier Luigi Farnese: con sommo rammarico, vi concedo quanto volete, maestro, e che Dio vi guardi e conservi a lungo.

Scena quinta

Bologna. Casa di Matteo Malvezzi

Voce fuori campo: et in Bologna  fece già nella chiesa di San martino la tavola dell’altare maggiore che fu molto comendata da Messer Matteo Malvezzi, Patrizio del Senato de Bologna, che volle la detta pala e che fu fatta da Girolamo Siciolante detto il Sermoneta nell’anno Domini 1548.

Matteo Malvezzi: attendere assai ancora per una lettera, nessuna nuova è giunta da Roma?

Servitore del Malvezzi: non mi pare messere, ero oggi nel cortile ma non ho  nulla da darvi.

Matteo Malvezzi: sarei allora miglior modo di volgere ad altro pittore tale opera, Michelangelo non ha tempo ovvero tempra a realizzare; frate Giampietro carmelitano spedì la lettera che le dissi?

Servitore del Malvezzi: certo, Illustrissimo, io stesso lo vidi che la scrisse, e al corriere la diedi, non so e non comprendo tal ritardo di risposta.

Matteo Malvezzi: neanche una lettera di replica. Leggetemi ancora l’ultima del padre Priore de Carmelitani.

Servitore de Malvezzi: eccovi il testo: Un gentilhom volere fare uno quadro eletto et eccellente fra tutti de Italia, et ch’esso non brama se non el dessegno di Vostra Signoria, quale sara unicho; e quando si dignasse etiam far el

quadro perfecto,lo daria sommamente. Ma se quella non potesse colorir; come essa me disse a bocha, almeno vorebbe, che Sebastiano vostro colorisse, dil che Vostra Signoria mi promisi advisarci. Questa è la lettera, Illustrissimo, ma ancor non si vede risposta.

Matteo Malvezzi: anche un’altra pistola è stata portata a Michelagnolo, voi, si non fallo, mi diceste questo.

Servitore dei Malvezzi: sicuro mio signore, io medesimo la portai.

Matteo Malvezzi: e fu mandata, con certa prova.

Servitore dei Malvezzi: certa; lo vidi e quindi sono sicuro di quanto dico, se vuole, vostra Signoria Illustrissima, potrei anche rileggervi la seconda lettera.

Matteo Malvezzi: si, rileggetela.

Servitore dei Malvezzi: Messer Michelagnelo, questa si è per me memoria a Vostra Signoria circa il fatto del quatro de la tavola de la quale a Vostra Signoria àno parlato li frati carmelitani, che va a Bologna, e prima la fantaxia, secondo il desiderio dil patrone, si è questa. Sua Signoria voria una Nostra Donna con un putino in collo e quatro figure, due de qua et due de là de la Nostra Donna. La qualita delle qual quatro figure sie quelle che più piaceno a Vostra Signoria. Il quatro si è meco tondo di sopra, et è longo da la sumitade del mezo tondo

insino al di sotto, piedi otto et once quatro e meza, et è largo piadi cinque et once tre e meza, intendendosi secondo la nostra mixura, la quale dentro questo foglio in figura è disegnata, cioè un piede, che sono once dodexe. Il lume della capella si è questo: la capella si è posta a l’oriente, et à lume dal mezo giorno.

Matteo Malvezzi: e quindi Michelangelo sa quanto ordinato, ma non fa ancor nulla.

Servitore dei Malvezzi: nulla messere.

Matteo Malvezzi: avete voi conoscenza di qualche altro dipintore di buona tempra che potrebbe ovviare a cotesto incarico?

Servitore de Malvezzi: per una questione di vostri affari, messere, giunsi a Piacenza alla corte del messer Per Luigi Farnese, il quale me parlò di un pittore assai capace, certo Ciciolante ovver Sociolante, ora non  mi sovviene, ma il

quale soddisfece assai i desideri di messer Pier Luigi, sarebbe certo che con esso non se dovrebbe aspettare molto.

Matteo Malvezzi: ma dove trovasi il pittore ora?

Servitore de Malvezzi: a Piacenza, da messer Farnese.

Matteo Malvezzi: raggiungetelo, e pregatelo di approntare subitamente un disegno che ci sia grato.

Servitore de Malvezzi: alla volontà di Vostra Signoria.

Scena sesta

Casa Malvezzi

Matteo Malvezzi: maestro Girolamo, si non erro, Ciciolante ovver Seciolante, ovver…non ricordo bene.

Girolamo: Siciolante, messer Matteo.

Matteo Malvezzi: già, or mi sovviene, Siciolante, ma voi non sembrate di nostra terra felsinea, non siete di Bologna.

Girolamo: no Illustrissimo, son nato assai lungi da qui, sono di Sermoneta, e sono servitore di Sua Signoria Bonifacio Caetani.

Matteo Malvezzi: eminentissima genia, due papi, e grandi principi della Nostra Sancta Chiesa, e grandi prodi della nostra fede.

Girolamo: invero messere, come dite, senza macchia, ma grati e riconoscenti quanto dediti alla munificenza.

Matteo Malvezzi: ho veduto il disegno vostro maestro, e gran garbo di carboncino usate, mi pare assai elaborato e di grande pregio.

Girolamo: certamente non glorioso come potrebbe esserlo uno del divino Michelangelo, ma se ve contentate di tal fare ne sarebbe davvero assai grato, quanto mi fu ingiunto da Vostra Signoria Illustrissima, fu soddisfatto, suppongo.

Matteo Malvezzi: lo cambio con Michelangelo non perde di valore certamente: avete voi visto di certo l’opera di Raffaello, sembra di scorgere qualche San Johanne Battista, sulla cima, e il nostro amato Correggio in sul basso,

buono assai; ma quanto vi avete lavorato?

Girolamo: per voi messere di gran lega ho condotto l’impegno, giorno e non sosta mai sino allo compimento.

Matteo Malvezzi: codesti vestiti assai gagliardi e melliflui, siete davvero assai perito e vi ingiungo di operar con gran lena alla tavola, con la medesima celerità, siete presto che il tempo passa. Ah! Quasi dimentico; il colorito assai denso, quasi veneziano, di non grande oscurità, ma certo nelle figure, si bene vorrei che non risparmiasse sull’ocra.

Girolamo: sullo fondo, messere, avrei creduto che…

Matteo Malvezzi:(interrompendo repentinamente): scuro, maestro, vorrei che i Santi ne fuoriuscissero con gran luce, pari alla maniera di Tiziano, tale e quale.

Girolamo: come vi garba messere, a servizio vostro.(fra sé)Ancora Tiziano, dove mi volto trovansi, ma pare che sia epidemia di tizianite; il colore de Tiziano, l’oscurità di Tiziano, la pittura di Tiziano, le braghe di Tiziano, e lo capo, mozzato, di Tiziano.(fra sé) Calmati Gerolamo, calmati, ricorda che Leonardo buoni consigli ti diede, “soddisfa le loro volontà”; e allora così sa da fare, e non mai replicare con noia. Caro Lorenzo Costa, quanto mi sussidi in codesto momento così gravoso, la tua opera, con la Nostra Donna, e il putto, sarebbe di gran gradimento, ma la debbo stringere più che posso, qui un vecchio di Correggio.

Marco Malvezzi:(entra nella stanza) messere Girolamo vero, ovvero sbaglio?

Girolamo:(rivoltosi verso la voce): no messere, non sbagliate affatto, ma non mi pare di conoscervi, messere.

Marco Malvezzi: son Marco Malvezzi, figlio di messer Matteo, che Dio lo abbia in gloria.

Girolamo:(con espressione stupita): per quale causa? Un mese addietro era vivido e saturo di salute.

Marco Malvezzi:(mentre guarda la pala): non sapete, allora. Il Signore lo ha chiamato, e mi parlò anche dell’opera che a voi aveva ingiunta; ma siete a buon punto?

Girolamo: davvero messere, ad massima finitura. Ma vorrei saper ora come disposti siano gli ordini che vostro padre, di felice memoria, che aveva meco presi.

Marco Malvezzi:(guardando ancora la pala): quanto prima che mi vedeste, maestro, nulla muta e tutto resta.

Gerolamo:(con espressione preoccupata): tutto remane con quanto voi avete già d’accordo con mio padre, non temete che voglia mutare, anche per la gran finitura, ma l’opera perde però nel mio ritratto.

Girolamo: nessuno mi ha detto di porvi anche la vostra immago, messere.

Marco Malvezzi: nessuno fino ad ora, ve lo ingiungo, che la mia effige vi sia posta.

Girolamo: dove messere?

Marco Malvezzi: lì, sulla sinistra, di dietro al Santo Girolamo.

Girolamo: il color come lo volete, messere, alla maniera di Venezia? Ovvero di Roma, dite la maniera, e quindi sarò gradito di soddisfarvi.

Marco Malvezzi: alla veneziana, maestro, alla veneziana, sapete piacque a me assai una opera de mastro Tiziano Vecellio, e mi pare che fosse di grande valentia.

Girolamo:(osservando intensamente Marco Malvezzi, con espressione mal celatamente irata): certamente, messere, Tiziano lo ha ogni pittore, in gloria e che Dio lo guardi sempre.

Marco Malvezzi: lieto che voi maestro siate così incline al Vecellio, che in verità, pare che ora di gran voga sia divenuto, alla Serenissima, quanto alla Sua Eccellentissima Maestà Carlo Quinto d Spagna, quindi, caro maestro

Girolamo, vorrei che voi fosse così tanto perito da emular Tiziano.

Girolamo:(con espressione falsamente sorridente): anelo solo a gratificarvi messer Marco, non potrei di certo esser pari a Tiziano, ma potrei tentare.

Marco Malvezzi: attendete alla vostra opera, maestro e siate celere più che potete.

Girolamo:(porgendo la dovuta reverenza con inchino, con sé stesso): andate, andate, e che Dio ti carpisca con un tempo breve, gran figlio di padre sconosciuto, figliol di bagascia e di porcari; Tiziano Vecellio, che anche a lui venga il colera e quanto altro accidente se possa.

Scena settima

Marco Malvezzi:(entrando nello studio di Girolamo): vi guardo con assai gusto, maestro Girolamo, mi pare che tal opera segua il suo corso con gran maestria; il colore è davvero quale che io voglia e grande volontà vedo in voi di così presto condurre l’opera, la vostra maniera nel dipingere resta assai lodevole.

Girolamo: mirate il volto vostro messere, se garba alla vostra Eccellenza, pare che uguale sia.

Marco Malvezzi: si, maestro, molto prossimo alla mia fattezza, e assai buono fatto. La cornice attorno avrei pensiero di affidarlo a mastro Andrea di Formigine, grande e rinomato mastro falegname, che potrebbe di certo operar

all’intaglio, con aurea materia che rilucisca attorno attorno.

Girolamo:(mentre guarda la pala con Marco Malvezzi al fianco): ottima idea, messere, grande fautor d’intarsi deve necessitare per cotanta opera.

Marco Malvezzi: caro Girolamo, vi porgo allora li miei apprezzamenti sinceri, e che Dio vi guardi in ogni giorno di vostra vita.

Girolamo: grato vi son messere per avermi posto fra i vostri servitori e avermi dato cotanta opera da svolgere, vi sia grato Nostro Signore, e vi miri nella somma gloria sua.

 

Scena ottava

Roma. Chiesa di San Luigi dei Francesi

Voce fuori campo: et in San Luigi fece una storia a fresco a concorrenza di Pellegrino Pellegrini bolognese, e di Jacopo del Conte fiorentino; opra che venne con molta prospettiva e assai mirata da molti, e grande visione di Nostro Signore Crocefisso.

Nicolas Dupré: giorno e giorno passa, senza cogliere mai occasione per vedervi maestro. Siete, forse voi aduso al fuggir da coloro che vogliono la vostra opera, maestro Girolamo?

Girolamo: no certamente messere, Nicolas, io volgo sempre mente alla vostra chiamata, e vi penso da gran tempo, ma mai vi trovo, e al credere che fosse solo celio mi pareva.

Nicolas Dupré: avete voi veduto che la nostra chiesa sia ormai rifatta quasi per intero, e vorrei vostro giudizio.

Girolamo: Sua Maestà Eccellentissima, Enrico II, ha davvero gran perizia e sommo ingegno ad affidarvi cotanto rifacimento.

Nicolas Dupré: molto mi dissero di voi, maestro, pria che maestro Perin del Vaga fosse chiamato da Nostro Signore, avevo io rogato gran contratto che lo facesse attender agli stucchi, poscia me disse il nome vostro l’ambasciator

gallico allo Sacro Concilio de Bologna, messere Claudio d’Urfeo, che mi presentò l’opera vostra alla sua cappella, mi piacque assai la maniera vostra, e chiesi de ove si potesse porre istanza a voi per aver la vostra pittura; assai incerte furono le notizie che mi giunsero, per chi vi dava alla franca corte, chi diceva che ormai disperso nelle terre dell’Emilia, chi non vi dava per nulla, ovvero non conosceva neanche quel cosa chiedevo.

Girolamo:(ricordando quanto Leonardo da Pistoia aveva consigliato):

Voce fuori campo:se accadesse che qualche uno non te conoscesse, ma facesse de non mai averti conosciuto per la opera tua, tu ripaga lo tuo allogatore con grandi elogi, e con gran laudi, dicendo che anzi gran valor hai tu sentito altrove”: di voi, messere, invece ogni uno vi conosce qui, e la gran ammirazione era senza fine, chi vi lodava qui e chi lì, e quasi ogni volta l’era come parlar de Nostro Signore; fui davvero nello spasimo di conoscervi, e di vedervi come si gran lodato signore fosse in vita, infine vi vedo e con gran valor e fide ammiro la vostra persona, e vorrei anche sapere che cosa fare su codesta parete, quale storia voi volete che vi dipingessi.

Nicolas Dupré: vorrei che vi fosse dipinto il Battesimo di Re Clodoveo, grande trionfatore di nostra fede cristiana, e sommo difensore di Nostra Santa Chiesa Romana.

Girolamo: con quali e quante figure, messere?

Nicolas Dupré: non più di ventisette figure, fra cui Re Clodoveo medesimo, Nostro Signore papa Leone e sullo fondo Gesù Cristo Crocifisso.

Girolamo: come voi volete messere, terrei al centro gran prospettiva, con somma risultanza di Nostro Signore Gesù Cristo, nello alto loco, e avrei ritenuto anche che lo fondo si possa ideare con la maniera di architettura della Sagrestia Vecchia, di Brunelleschi, dunque a rinforzar la prospettiva e rendere assai acuto il centro; suppongo che buona cosa se possa fare; a voi il giudizio messere.

Nicolas Dupré: si mi pare assai apprezzabile, ma vorrei vedere il vostro pensiero con il disegno, come l’è uso.

Girolamo: vi stenderò assai prima che voi pensiate, messere Nicolas, quanto vi possa essere aduso.

Nicolas Dupré: siate presto maestro, vorrei che la mia cappella avesse degna decorazione.

Girolamo: ai vostri eminenti ordini messere. Valete vos.

Pellegrino Tibaldi: allora Girolamo, come vi volge la vita?

Girolamo:(mentre guarda la parete da affrescare) tale voce sembra di conoscerla, di un Pellegrino che al tacere non pare mai aduso. Senti; gran consiglio voglio che tu me dai, una femmina in codesto luogo, al centro, pare a te che vi possa entrare? Ovvero no.

Pellegrino Tibaldi: tutto se pote quel che se vole, et più non dimandar”, alla maniera di nostro maestro Dante, ma che sia davvero troppo accerchiare di figure, ti converrebbe che tu le ponessi sui lati, la parete è assai estesa, non ti

risparmiare, e non temere che siano troppe; il gran Raffaello ammira e riguarda.

Girolamo: la Scuola di Atene, credi che sia ottima scuola.

Pellegrino Tibaldi: per certo, Girolamo. Lo spazio al centro, Girolamo, carpisci da Raffaello.

Girolamo: avrei anche ritenuto, che di retro all’altar maggiore vi fosse qualche femmina e homo, ma…

Jacopino del Conte: buono assai, messer maestro, Girolamo, ancora la penna non vi passa dall’intelletto, e l’acquarello meno che non si dica, e troppo concentrate le figure.

Girolamo: a discutere con voi, maestro Jacopino, si deve sempre imparare, come non se deve parlare con gli altri maestri, lungi mi pare che voi siete, e non fate mai veder cosa vi pare per lo capo.

Jacopino del Conte: non vorrei darvi gran noia, maestro, quindi mai darvi gran invidia, ma non parvi assai raccolto codesto Battesimo?

Girolamo: si, ma potrei sempre allargare, tu cosa credi?

Jacopino del Conte: presta assai attenzione, Girolamo, la franca nazione, sempre resta incline alle vicinanze di Raffaello, quindi ti conviene contentare messere Nicolas con qualche suggerimento del Sanzio.

Scena ottava

Roma. Casa del Siciolante

Voce fuori campo: alfine Girolamo, compito il suo cammino terreno, diede l’anima a Nostro Signore, che lo volle a depigner ogni loco del Paradiso. Girolamo Siciolante morse in Roma nell’anno Domini 1571 nella sua residenza.

Palma: allora dottore, diteci qualche cosa di conforto.

Dottore: nulla di disperato, ma ormai la vetusta etade incombe, vostro fratello, madonna Palma, volge al termine, gran ricordi abbiamo tutti, e indarno sarebbe correre, grave melanconia e tanta mestizia sembrano non saziarsi mai di

incombere.

Palma: voi dite quindi che sarebbe miglior cosa negli ultimi conforti dello spirito volgere attenzione.

Dottore: la salvezza dell’anima è miglior cosa che ora si possa fare.

Palma: cadde così quando Tullio, il figlio pittore, morì anni addietro, non sembrava quasi esserne dimentico.

Dottore: credo che la melanconia lo abbia sovrastato; chiamate un prete.

Girolamo: Palma, ricordi ancora il mio Tullio?

Palma: si Girolamo, ricordo ancora quando era pargolo.

Girolamo: e tu Paolo, lo ricordi?

Paolo: si padre, lo ricordo.

Girolamo: che Dio lo abbia sempre in gloria.

Prete: figlio mio, oremus, i tuoi peccati che siano perdonati da Dio Padre, che tu sia accolto nel regno dei cieli, e che ti sia perdonato ogni peccato tu abbia compiuto. In hoc die Hieronimo Siciolante de Sermineta, post expiationem peccatium sui, reduxit animam Deo Patre. Deus habeat illum in gloria. Requiescat in pace. Amen.