Scena
pittorica
Di
Alessandro
Lusana
Dramatis personae
Vasari Giorgio, biografo cinquecentesco.
Palma, sorella di Girolamo
Girolamo Siciolante, pittore
Lucrezia, madre di Girolamo.
Domitilla: popolana
Oste
Gaspare Gasparrini, nobile allievo del Siciolante
Camillo Caetani, Signore di Sermoneta
Mastro fabbro
Giudice
Cancelliere
Imputato
Leonardo da Pistoia, pittore e maestro del Siciolante
Bartolomeo aiutante di Perin del Vaga e di Siciolante
Pellegrino Tibaldi pittore
Jacopino del Conte pittore
Nicolas Dupré committente
Matteo Malvezzi
Servitore di Matteo Malvezzi
Pier Luigi Farnese
Antonio della Nunziata, pittore
Dottore
Paolo Siciolante figlio di Girolamo
Prete
Atto I
Scena prima
Bottega pittorica
Voce fuori
campo: (incipit della vita vasariana): Vive anco in
Roma, e certo è molto eccellente nella sua professione, Girolamo Siciolante da
Sermoneta, del quale se bene si è detto
alcuna cosa, non sia però se non bene dirne anco qui quanto la sua molta virtù
merita veramente.
Vasari: caro Girolamo, mi pare che
la vita tua sia poco conosciuta, anzi, assai poco, anche fra li tuoi patrioti
quasi nulla se sappia, sarebbe anche ora che tutti sappiano che tu gran pittore
e grande uomo qual tu sia si conosca, l’opera
tua sia ai
moderni, come agli antichi, del tutto ignota, ma non ti dà dispiacere tale
disinteresse? Qualche cosa hanno i tuoi compatrioti di te, ma mi pare davvero
assai poco; quindi avrei pensato di svolger la tua vita come si deve
per un pittore, con
la tua opera.
Girolamo: caro Giorgio, sempre elogio
tu mi fai, e nulla ti distrae dalla tua volontà; amami per quanto ho fatto e
non preoccuparti di me, ma narra la mia vita, se ti piace, e spera che
qualcheduno un giorno possa pensare a quel che fui e feci anche per chi, forse
un postero, potrà un giorno dire, “la nascita mia è la medesima che fu di Girolamo
Siciolante di Sermoneta. Noi pittori, lo sai bene, dobbiamo essere modesti e
sempre remissivi, per abitudine; abbiamo da
restare sempre de
retro, e mai alla prudenza mancare; quindi lascia che anche la mia virtù di pittore,
prima o dopo, alcuni se ne dilettino di narrarla, tu hai fatto quanto era nei
nostri tempi, ora lasciamo che altri possano dilettare le menti con
ritrovamenti di opere, che siano mie ovvero no, ma nulla ormai ci deve
preoccupare, caro Giorgio, ai miei cari compatrioti lascia che il ricordo dia
loro spirito, e facciano quanto loro aggrada, a noi rimane solo di guardarli
dalla storia, e scherzar con il cuore dei loro errori, e goder dei loro
apprezzamenti, che se siano, ovvero saranno, nessuno lo sa, ma la nostra opera
rimane a dire che noi siamo stati e saremmo per sempre, quindi con l’amore che
ti porgo, siedi qui ad ascoltare ti sia grato, che ora comincia la vita di un
sermonetano, ascolta, e non parlare.
Castello Caetani piazza d’armi
Lucrezia: (con un secchio ligneo in testa tenendo per mano Girolamo novenne):Girolamo,
Girolamo, non correre, fermati! Vieni qui! Sai che dobbiamo andare al castello
a pigliare l’acqua, per il pranzo, non fuggire come tuo solito.
Girolamo: sono qui! (Lucrezia si intrattiene
con una commare): porgo a voi il saluto Madonna Domitilla.
Domitilla: A voi! Madonna Lucrezia,
come siete rosea e fervida di bona salute; il vostro Messere marito, Francesco?
Qualche nuova mi giunse che poco in salute era! Ma, Deo gratias, in salute si è ristabilito.
Lucrezia: una grande melanconia di stomaco, disse Messer Giovan Battista de Cori,
medico fisico; ma ora sembra passata, Deo
gratias. (guardando all’interno della piazza d’armi)Girolamo, Girolamo,
ma dove
è andato,
impudente figlio.
Domitilla: non temete Lucrezia, è dal mastro fabbro, lì, vedete? Fanciulli; doni di
Dio! Vi porgo il saluto, Madonna Lucrezia.
Lucrezia: Dio vi guardi, Madonna
Domitilla(Lucrezia mentre si approssima al
pozzo della Piazza d’armi): Girolamo, non allontanarti, non dare fastidio al
messer fabbro!
Mastro fabbro:(mentre batte sull’incudine):
salute a voi, messer Girolamino, vi vedo assai cresciuto dalla volta scorsa,
almeno un’oncia ed un quarto, voi siete benedetto dagli angeli, dai serafini,
dai semiangeli e semi serafini, e quant’altro il cielo abbia; come state? La
vostra Madonna madre?
Girolamo: (non prestando attenzione al riverente saluto): che fate messere?
Mastro fabbro:(guardando con paterna tenerezza): batto e colpisco, limo e taglio,
faccio spade, ma non le uso. (rivolgendosi
a Girolamo) E voi Eminenza? Oltre a fuggire dalla vostra Madonna madre?
Perc…
Girolamo:(interrompendo il fabbro) quelle spade sembrano delle Madonne
signore che se trovano nelle Camere! Ma quelle sono assai più fini e affilate.
Mastro fabbro:(guardando le spade con attenzione): vero, Girolamino, sei acuto,
con le stecche nell’occhi, perché non vai a bottega? Saresti un buon mastro
d’armi!
Girolamo: ma l'opera di filatura quando la fate messere? Non mi pare buona codesta
spada senza la filatura.
Mastro fabbro: quando alcun uomo giungerà a chiederle allora io le affilerò.
Girolamo: e se uomo non giunge? Che ne fate di tante fatiche?
Mastro fabbro: pregherò Iddio che voi, messere Girolamino, cresciate un'altra oncia e
mezza, e poi ve le donerò tutte.
Girolamo: state certo, messere mastro fabbro, e le prego da Dio sanità et
contento.
Camerae Pinctae,
con un processo in atto
Giudice: ...quindi voi contro l'utile pubblico avete agito senza alcuna pudicizia?
Imputato: ai miei compiti, Messer Judice, ero impegnato, non ho sentito che messer
Flaminio mi chiamava, e quindi non ho resposto...
Girolamo:( pensando fra sé): belle
madonne, cosa vorranno dire mi è ancor oscuro, il trono è comodissimo, le spade
dritte gli occhi diretti, e con autorità rappresentate.
Giudice: allora dati gli atti da voi compiuti con tanto strepito, e animo vi
condanno alla pena de venticinque libre de denaro, e se non potete saldare così
il compenso, alla prigionia per uno anno intero de hoc die, et sine
nihil
gratia ergo in Nomine Dei magnam
sententiam emanamus.
Cancelliere del
tribunale: da questo giorno stesso, e senza nessuna
grazia, quindi nel Nome di Dio suprema sentenzia emaniamo.
Giudice: Ista voluntas est magni Tribunalis inappellabilis in Terre Sermonetae.
Cancelliere del
tribunale: questa è la volontà del supremo Tribunale,
della Terra de Sermoneta.
Girolamo:(fra se pensando): bella
barba ha quell’uomo, al modo vestito come di giudice.
Lucrezia:(sottovoce): Girolamo,
Girolamo, che il demone ti prenda, ma ti pare di farmi preoccupare in tal
maniera?
Girolamo:(ad alta voce): madre avete
visto il messere con la barba, quanto pare il Santo della Cattedrale.
Lucrezia: sii garbato, taci! impudico!
Giudice: quid est nunc?
Cancelliere:(stancamente e meccanicamente):
cosa è ora?
Lucrezia:(rivolgendosi al giudice):
perdonate messere Giudice eccellentissimo, sono Madonna Lucrezia Siciolante,
del fu Antonio di Sermoneta, mi era fuggito il figlio mio, Girolamo, e in
nessuno luogo lo ritrovavo, affezionata servitrice vostra, messere, perdonate
l'indolenza.
Scena seconda
Bottega romana
di Leonardo da Pistoia
Leonardo da Pistoia:(su di una scala a pioli alzando la
voce): Girolamo; dove è andato quel figliol d'un...
Girolamo: eccovi Girolamo, messere,vostra grazia, suprema ed eccellentissima.
Leonardo da
Pistoia:(continuando
a voce alta) portami la setola, che alle barbe adoperare finezza si deve.
Bartolomeo! Due, ovvero, tre fulmini ti cogliessero, il nero, e anche il bianco
di piombo; maledetti allievi, sempre a gozzovigliare e mai nulla fare. Cesare,
la scala; ti si aprisse l’inferno sotto al deretano, Cesare,
la scala!
Cesare: messere l'avete di già ai piedi vostri, vi siete seduto sopra; ed è
anche l’ultima che abbiamo. Altre non mi pare di vederne.
Leonardo da
Pistoia:(guardando
con sprezzo ed acrimonia Cesare): figlio di un moro convertito, e tu stesso
marrano della peggiore specie che non si può, la scala, stolto! reggi codesta
scala ch'al ruzzolare non me piace affatto.
Girolamo: maestro Leonardo, ecco la setola!
Leonardo da
Pistoia: quale setola? Ti ho forse, io,
chiesto una setola?
Girolamo: si maestro!
Leonardo da
Pistoia:(guardando
sia Cesare che Bartolomeo): ho io chiesto una setola a messer Girolamo
ciciolante qui ora presente?
Cesare e
Bartolomeo:(insieme):
si maestro!
Leonardo da
Pistoia: bene, e voi messer liciolante...
Girolamo: Siciolante, maestro, Siciolante.
Leonardo da Pistoia: Prode cavaliere impavido e senza macchia? hai tu portata la sacra
reliquia?
Girolamo: eccola, maestro.
Leonardo da
Pistoia:(alquanto
imbarazzato): bravo, per oggi che ti prenda solo mezzo fulmine!
Girolamo:(guardando attentamente la pala in
esecuzione): maestro, scusate l'ardire, ma la Nostra Signora mi pare de averla
conosciuta, in altro luogo; sapete bene certamente il dipinto di Giulio Romano,
all'Ara Coeli. Il volto
è assai somigliante,
ne convenite?
Leonardo da
Pistoia: non ha certo errato quando il bon
Francesco, tuo padre, ti portò qui per apprendere gli insegnamenti della
pittura; caro Girolamo Lesiciante!
Girolamo: Siciolante, per vostra grazia.
Leonardo da
Pistoia: vidi bene e già eri di pronta
intellighenzia, al decimoquarto anno dell'età tua, e ora sei di già cresciuto,
caro maestro, Girolamo meciolante.
Girolamo: Siciolante messer maestro, sempre il Siciolante di prima.
Leonardo da
Pistoia: già! Ora hai l’età raggiunta della
ragione e della tua bottega, hai bene venti et uno anni, giusto il conto? Caro
maestro Siciolante?
Girolamo: giusto come la Sacra Scrittura. Però le care sottigliezze della pittura,
maestro, sembrano da un canto abbellire, ma dell’altro scempiar le storie
dipinte, se guardate la finitezza dei panni mi pare assai pesante, al comparare
con la Nostra Signora, non vi pare?
Leonardo da
Pistoia: caro Girolamo, ricorda che l’aver
sempre occhio alla conoscenza resta parimenti importante, come i comandamenti;
la leggiadrìa della Nostra Donna deve sovvenire anche dai vestimenti, ricorda la
perfetta veste della Madonna di Michelangelo, guardala e riguardala, scorgi il
nascosto e l’evidente, dedica il tempo al chiaro e allo scuro, guardane
l’artificio, che quasi da San Luca sembra disegnata e fatta.
Leonardo da
Pistoia:(ad
un seduto ad tavolo ligneo con Girolamo): Girolamo caro, figlio, il momento
di lasciare la casa dove hai appreso l’arte e mestiere del dipinger è giunto;
tieni a mente la favella del tuo maestro, e codesti pochi
consigli: cerca
subito qualcuno che possa garantirti, che agli uomini valenti vicina sia la tua
costante persona, soddisfa le loro volontà, e pregali del loro aiuto, sempre, le
fatiche dell’arte sono pesanti, e lo sai, ma lieto compenso se come gentiluomo
sarai presente la gratificazione avrai; sii sottoposto alle sacre fatiche della
nostra religione, con grazia, decoro, caro Girolamo, in ogni dove, taci le tue
lamentele e scherza anche degli accidenti, sii cortese e fiero
dell’opera tua,
ma non mai insuperbito con il tuo signore, che, tieni a mente, è anche il
padrone, fai quanto ordina e mai rispondere a parola scortese, e se accadesse
che qualcuno non te conoscesse, ma facesse finta de non mai averti
conosciuto per la
opera tua, tu ripaga lo tuo committente con grandi elogi, e con gran lodi,
dicendo che anzi gran valore hai tu sentito altrove di lui, anzi ancor di più, grande
nobiltà di animo e cuore grande, pari alla virtù che la
famiglia sua ha
nei tempi; l’opera tua si paga a figure, e mai alzare troppo il compenso,
stendi accordi proficui fino a quanto se può, non oltre, altrimenti altri sono
pronti a servir; accogli anche l’opera più modesta, e riverisci del poco
compenso. Addio
Girolamo e che Dio ti guardi.
Scena terza
Bottega
sermonetana del Siciolante
Voce fuori
campo: Fra le prime opere adunque che
costui fece da sé fu una tavola alta dodici palmi, che egli fece a olio di
venti anni, la quale è oggi nella badia di Santo Stefano, vicino alla terra di
Sermoneta sua patria, nella quale sono quanto il vivo San Pietro, Santo Stefano
e San Giovanni Batista, con certi putti.
Camillo Caetani: allora? mastro Girolamo, il dipinto sembra che non senta ragioni di
finire; sapete che il Priore resta sempre impaziente, datemi qualche nova!
Girolamo: pazientate padrone mio, l’opera è lunga perché la pazienza è breve,
Camillo Caetani: giunto è l’anno Domini 1541, Sua Santità nostro Signore papa Adriano VI,
come sapete mastro Girolamo, me ha conferito il patronato dell’Abbazia di Santo
Pietro e Stefano, vorrei conservare tale titolo prima che il Domino Nostro mi
chiami a sé.
Girolamo:(mentre guarda attentamente la pala
fra sé): mi pare di avere già notato che il San Pietro sia di Leonardo,
Santo Stefano, parimenti, pari la Nostra Donna del medesimo, i putti sono
finitissimi, e il vestimento stupendissimo; che dite padrone? Vi pare di troppa
terra verde per le carni? Ovvero poca?
Camillo Caetani:(mentre osserva l’opera): assai
apprezzabile, maestro Girolamo, vorrei vedere anche il disegno, per considerare
se gli ordini dati li avete soddisfatti.
Girolamo: ecco a voi padrone, come ben sapete, Eccellenza, l’alberello si addice
al significato della Santa Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, e le reliquie
antiche, sulla sinistra, le pagane antichità degli dei falsi e bugiardi, ormai
redenti dalla grazia de Nostro Signore.
Camillo Caetani:(osservando attentamente lo schizzo):
ma dite, maestro Girolamo, perché non avete mai visto le Camerae dello nostro Castello?
Girolamo:(sulla scala voltandosi e prestando
attenzione alle parole di Camillo): certum
est che le ho vedute le Vostre stanze pinctae,
messere, come vi giunge in mente tal bizzarro pensiero; fin dall’età piccola le
ho viste e riviste; e ancora a tal questione mi sovviene un ricordo; quando…
Camillo Caetani:(interrompendo repentinamente
Girolamo e guardando il foglio): non mi pare caro Girolamo, che avete
presente alla mente le allegorie dipinte, posso creder non siano di vostro gradimento,
concedetemi, maestro; le
nicchie di dietro
sono qui deficienti, sapete, me sarebbe assai grato se voi voleste aggiungerla,
là, dietro la Vergine Maria, si potrebbe togliere l’alberello, ovvero in altro
luogo disporlo, credo che se foste tanto grato e gentiluomo di
farlo, mi sarebbe
ancor meglio gradito.
Girolamo: come volete Eccellenza, servo umilissimo vostro.
Camillo Caetani: operate sempre con gran forma di voi, caro maestro Girolamo, ed è
davvero grande piacere potervi avere nella nostra Terra; siete davvero un
galante gentiluomo ed anche gran pittore, avete e avrete sempre mie grate
riconoscenze, addio maestro e che Dio ve riguardi con gioia.
Girolamo: prego da Dio sanità e contentezza per voi, Eccellenza.(poi fra sé)Caro Leonardo, amatissimo mio
maestro, quanto vi sono riconoscente di tante vere parole e consigli che me
deste, “soddisfa le loro volontà”, mi
diceste, ecco il
desiderio vostro
espresso, e ancor più vi sono riconoscente. Volete le vostre Camerae Pinctae, Eccellenza? E mastro Girolamo
Siciolante vi contenta in ogni vostra preferenza.
Scena quarta
Castello Caetani, interno del Maschio Annibaldi
Voce fuori
campo: la seconda opra fu de ordine dello
suo Signore, Giacomo Caetani, duce della sua patria che volle una Vergine
ascesa in cielo, che oggi ancora resta nella chiesa della Immacolata Concezione
della sua patria, dove la Nostra Donna viene captata al cielo nel mezzo de la
luce de Nostro Signore.
Camillo Caetani:(nella camera da letto del Castello
Caetani) eccovi ancora in mia presenza, maestro Girolamo, ancora vi chiedo
e, vi ordino, un’opera delle vostre che sia da collocare nella nostra chiesa
della Immacolata Concezione, la nostra chiesa, sapete, quella al Borgo; sopra
l’altare maggiore vorrei che foste così pronto da farvi, un’opera degna di sì
gran chiesa, vorrei una Immacolata.
Girolamo: datemi qualche vostra preferenza Eccellenza; non attendo altro.
Camillo Caetani: avrete voi sentito il nome di un certo pittore, buono assai, che già opera
con vigore a Venezia, colla Serenissima, e che anche in Roma è assai rinomato,
ebbe incarichi anche da Sua Santità Papa Paolo III, un certo maestro Tiziano Vecellio,
veneziano, allievo di Giorgione da Castelfranco, assai perito da quanto ho visto,
grande pittor di colori e compiuto nelle finitezze, assai capace ed eccellentissimo
nei ritratti, ma vi annoio con codeste parole, voi Girolamo, potrete di certo
essere parimenti capace nel colorare e stesura, vorrei qualche cosa che
somigliasse al detto Tiziano, ma senza modificare il vostro stile, maestro,
fate quel che ritenete opportuno.
Girolamo: spero de non deludervi Eccellenza, ho anch’io sentito di Tiziano, grande
e valido gentiluomo e magno pittore, siamo, per quanto si dice di maestro
Tiziano Vecellio, assai emozionati, ed ammirati, ma non posso essere pari alla
fiera arte del maestro detto, non ho certo la perizia sua, quindi a soddisfare
le vostre volontà cercherò di provvedere; sempre, umilissimo vostro servitore.(uscendo dalla stanza, fra sé).Tiziano
Vecellio? No! Caro messere
Camillo, se
volete l’Immacolata di qualche veneto dovete chiamare il mastro Tiziano, ma
troppo vi costa, allora migliore spesa è il vostro fedelissimo servitore; che
Dio non ve conservi mai più del quanto vi debba, per sua somma carità, farvi
restare su questo mondo; figlio de vostri migliori.
Scena quinta
Loggia dei Mercanti
Gasparre
Gasparrini:(interrompendo
il soliloquio di Girolamo): salute a voi maestro Girolamo Siciolante, detto
il Sermoneta…
Girolamo:(non guardando Gaspare): salute
a voi, chiunque voi siate e vogliate da me, non certo mi pare ora opportuna a
postulare, qual cosa si voglia cosa essa sia, quindi bonuomo se…
Gaspare
Gasparrini:(guardando
fissamente Girolamo): il mio nome è Gaspare Gasparrini, vengo da Macerata e
vorrei apprendere da vostra Eccellenza l’arte della pittura. Ma se tanto vi
duole scusate, e dimentico siate di quanto vi ho
chiesto. Dio vi
conservi.
Girolamo: Gaspare Gasparrini, che voleva apprender l’arte…messere, messere
Gaspare, perdonate così tanta impertinenza, ma abituato sono a volgere miei
pensieri con me, quindi non poco scortese sembro ogni volta; dicevate
che voi vorreste
seguir l’arte della pittura, e io sarei contento di farvi apprendere tanta
capacità, ma dite, avete qualche opera con voi?
Gaspare:(guardando alquanto stupito
Girolamo): no maestro, non ho nulla, se l’avessi sarei di già maestro
conosciuto, e quindi non verrei da voi.
Osteria. Interno del ristorante il Pomarancio
Girolamo: anche questo mi pare credibile, non temete, Gaspare, presto avrete
pennelli con valide e gagliarde setole, ed anche tanta maestria. Ma lieto sarei
di conoscervi assai meglio, volgiamo qui all’osteria del Borgo, il padrone si
offende se non vado a bere come lui vuole, ed ha anche un figlia, che si sporge
assai dimessa talvolta.(alzando la voce)
Oste della malora! Dove ti sei cacciato, a contar li rubati quadrini? Tanto non
crescono con la conta del giorno.
Oste: No certamente, come non crescono con la paga dei pittori, vero maestro
Girolamo? Qualcuno di nostra conoscenza, mi deve ancora quattro fiorini di un
cratere di vino, del mese scorso, un certo stracciatele de codeste terre,
sapete maestro, un di quelli gentiluomini che dipinge le madonnine senza alcuna
arte; non certo della vostra grande fama di solerte pagatore di osteria, al
quale neanche deve dirsi che, subitamente, porge la moneta, non è vero maestro?
Girolamo: hai tempo da impiegare per pregare i creditori, non è vero? Oste della
maldicenza e malfiducia? Hai per vero tu creduto che io non ti volessi saldare
il conto, del giorno passato e prossimo?
Oste: del mese trascorso, e prossimo, caro maestro.
Girolamo: un mese? E dove ero? Perché non ricordo? Sono uso ogni qual volta
saldare, mi pareva di avere porto i quattro fiorini. Ah! Ora ricordo la
questione; ho dato ad un mio fratello Gianni, o Giovan Battista, ovvero a
Palma?
Oste: Palma?
Girolamo: si la mia sorella germana.
Oste: Palma, si rimembro, Palma, siatene sicuro maestro, avviso non
mi giunse, comunque non temere che non sporgerò certo avviso pubblico al Luogotenente.
Girolamo: chiedi a Maria, la tua figlia, ella certo sa. E portaci una bottiglia
del migliore, ovvero meno peggio.
Oste: giungo prima che il vento, caro messere maestro illustrissimo, reverendissimo
pagatore senza dolore.
Girolamo: pensiamo alle questioni nostre, caro messer Gaspare. Da dove vieni tu,
se posso abusare di tale confidenza. Posso?
Gaspare: alla vostra volontà, maestro, già detto ho, che la mia patria è nella
Marca, Macerata, e sono dei galantuomini dei Gasparrini, signori di Macerata, e
con prodi cavalieri a Gerusalemme, servitori della Romana Chiesa, e illustri in
entrambe le
leggi. Nobili natali e assai virtuosi.
Girolamo:(alquanto stupito): in errore
estremo caddi, il vostro atteggiamento mi pareva di nobile gente, ma non credevo di
tale virtù, quindi perdonate, messere, non derivate dalla plebe, bensì da
elevato lignaggio.
Gaspare: lignaggio, come dice l’Alighieri, poeta sommo, è solo nella virtù
dell’animo, e non dalla nobiltà degli avi.
Girolamo: approvo, ma il lignaggio, sapete messere, resta pur un garante di gran
virtù.
Gaspare: questo è certo, ma la derivanza della nascita non può dare sempre virtù,
che sia come volete, maestro, ora mi pare giusto di parlare di pittura senza
scorrere tempo in nobiltà certe e incerte.
Girolamo: senza addure altre parole, messer Gaspare, volete quindi apprendere come
la pittura se fa?
Gaspare: Sono qui per apprendere! E a voi solo ho pensato, grande valore mostra
la vostra rinomanza di pittore assai perito, quindi dopo gli avi migliori,
anche li maestri certi, nella loro opera, potrei solo che conoscere.
Girolamo: voi avete qualche conoscenza de pittura, messer Gaspare?
Gaspare: non mi pare, solo a quattordici anni di mia vita sono giunto, e potei
avere solo conoscenze di buono garbo e di educazione decorosa, ma di pittura
nulla.
Girolamo:(con espressione sarcastica):
quindi potrei farvi credere che un affresco si potrebbe fare con l'olio anziché
con la tempera, non è così messere?
Gaspare:(partecipe della domanda e assai
attento): certo che è così, maestro Girolamo, a voi porgo la mia fede.
Girolamo: e avreste ragione a crederlo, caro messer Gaspare, l’affresco se può fare
con olio e con tempera, ma non assieme mescolati.
Gaspare:(sorridente e quasi divertito):
i molti giudizi sentiti attorno alla vostra pittura sono di gran lode, ma non
citavano anche la vostra simpatia.
Girolamo: ma non la simpatia, per nulla, caro Gaspare, l’affresco...a bottega!
Gaspare: dove maestro?
Girolamo: non temete, vi prego, a bottega!
Scena quinta
Bottega sermonetana del Siciolante
Girolamo: vedete questa opera? Olio si usa, la tela è di canapa, bene intessuta
con filigrana sottile, quindi grande spessore vi serve per sorreggere la pittura.
Capito?
Gaspare: sì, ma ora ne so meno che prima.
Girolamo: al principio dell’opera detta: si compra la tela, di canapa fine, la si
tocca e deve essere senza alcun truciolo di canapa, si passa il palmo della
mano e se sentono i peli che escono,(quindi
volgendo l'attenzione in altro luogo)
ecco qui uno
scampolo, toccate, sentite il liscio?
Gaspare: certo, pare quasi seta; e dopo?
Girolamo: dopo, si distende sopra la tela il gesso ben macinato, anzi
finissimo, lo si mescola con acqua e colla animale, e...
Gaspare: perché?
Girolamo: la colla animale fa stendere assai meglio, e con grande
adesione il gesso.
Gaspare: ma il gesso come si fa?
Girolamo: punte dolententis.
Gaspare: puntum dolens, vorreste dire! Il
latino maestro, il latino, il mio amato Cicerone avrebbe detto ora:
"indecoroso non est de non sapire bene lo latino, sed non sapirlo
affatto", e voi maestro forse non lo tenete bene a mente.
Girolamo: date termine messer Cicerone? Avrei da fare una Immacolata se non vi dispiace.
Gaspare: vassallo vostro maestro.
Girolamo: il gesso, Gaspare, si piglia in tocchetti, e si macina per una giornata
intera, quindi il mortaio, e il battitore, lì posto; prendete il tocco di
gesso, sempre lì, sul tavolaccio, e macinatelo usque olver sit, fino a quando non sia
polvere; ben
detto messer Gaspare? Il vostro messer Cicerone sarebbe assai grato.
Gaspare: dove avete appreso il latino, maestro?
Girolamo: da mio padre, grande cortigiano e uomo di sagge parole,
forgiato nello spirito e ìlare quanto basta; si non erro a ricordare, Marziale
scrisse, "Ridere satis".
Gaspare: giusto maestro, ma satis quam est
ista pulver?
Girolamo: come? Cosa dite?
Gaspare: il latino maestro, il latino.
Girolamo: non struggere le virilità! Non ho inteso.
Gaspare: basta il macinare, per la vostra anelata polvere?
Girolamo: guarda che i granelli di calcina siano sciolti bene.
Gaspare: adesso si deve ingessare la tela, poi impannare, ed oliare,
quinci attendere all’opera, e…
Gaspare: perché?
Girolamo: (guaradando la tela)la
tela inclita eccellenza, deve avere uno strato forte e rigido.
Gaspare: ne convengo, maestro, ma perché il lino e l’olio ed il gesso?
Girolamo: il gesso indura la tela, il lino assorbe il colore e l’acqua del gesso,
e l’olio face scorrere le setole. Capito?
Gaspare: no! Ma guardiamo il proseguo.
Girolamo: intigni il pennello alla ampolla dell’olio, quinci alla
tempera; mescola bene sulla tavolozza; e ora passalo sulla manca della tela.
Gaspare:(passando delicatamente le setole
sulla sinistra della tela) guardate maestro, pare che la carezzi.
Girolamo: Gaspare è una tela non un deretano de puella; con forza,
altrimenti lo colore non penetra nel lino.
Gaspare: ma a tal guisa la tela se rovina.
Girolamo: stendi con cura
e forza, e fai più strati, perché la tela assorbe sempre il colore.
Gaspare: vorrei porvi un dubio maestro.
Girolamo: dimmi caro.
Gaspare: voi
credete che io possa divenire un buon pittore?
Girolamo:(guardando fissamente Gaspare)
no! Gaspare, la pittura è un mestiere che si deve amare e vole sempre
sacrifici, fame lagrime et sanguine; tu certamente vuoi solo dilettarti, ma non
sei vocato, non hai niuna volontà di attendere. Credimi; torna fra li tuoi
migliori, e non trattenerti in mestieri che non vuoi imparare; meglio che tu
sappia le tue bone maniere da nobil’homo qual tu sei; la pittura lasciala ai popolani, sono assai più adusi alla
povertate.(con espressione seria) Hai
per caso tu qualche parente veneziano? Un cadetto della tua famiglia, un
fratello naturale, una sorella, un prozio, un trisavolo, un tuo migliore.
Gaspare: non parmi maestro, ma perché?
Girolamo: avrei un’ambasciata, per messer Tiziano Vecellio.
Gaspare: il gran pintore veneziano; quinci?
Girolamo: se tu lo dovessi vedere, potresti riferirgli che avria bisogno de una
sua grande grazia.
Gaspare: quale?
Girolamo:(con espressione seriosa)devi riferirgli
che se con la grande sua bontade dell’animo, e la magna munificenza, che lo
distingue, come la magnanima sua suprema indulgenza, e sublime nobiltade
dell’animo inclito…
Gaspare: quinci?
Girolamo: devi riportargli, con la tua grande grazia.
Gaspare: si, cosa?
Girolamo: di andare a fare in…
Gaspare:(interrompendo bruscamente) riferirò, con vostre parole.
Scena sesta
Roma. Interno
di Castel Sant’Angelo: Stanze Paoline
Voce fuori campo: poscia, al
maestro Pierin del Vaga, Nostro Signore Paolo III Farnese papa, ordinò de
pignere le sue stanze nel Castel Sant’Agnelo, con le Istorie de Alexandro
Magno, e altre figure de femine et homini, che il Sermoneta avea frescato nelle
logge, e nelle stanze.
Girolamo: perdonate maestro, vorrei conferire con maestro Perin del
Vaga, per impetrare qualche officio; sapete ove posso trovarlo?
Antonio da Nunziata: (sulla scala e senza guardare Girolamo, con voce alta) Perino, Perino, accorri immantinente, ora, adesso,
prima che tu pote.
Perin del Vaga: eccomi, cosa mai possiate volere voi, maestro? Mi umilierò a qualsiasi
vostro vezzo vi possa gradirvi, che Dio Padre, nella sua immensa misericordia,
vi fulmini ora, che fra solo un momento dopo, sarebbe troppo tardi! Dimmi
rompitore delle sacre sfere, e …
Antonio da Nunziata: un pittore, mi chiede di quale valore tu sia; poco certamente, anzi
nullo, ho detto, ma forse fui assai modesto, so, maestro Perino, che voi
vorreste sempre esser l’ultimo degli ultimi…
Perino:(interrompendo e con risentimento):
vai alle tue figurette, caro Toto, ora, prima che subito.
Antonio della Nunziata:(con ironia): vostro umilissimo
servitore, vassallo e anche all’occasione correggitore di disegni.
Perino: vai!(rivolgendosi a Girolamo)
Voi siete maestro?
Girolamo: Girolamo Siciolante da Sermoneta, pittore, e conoscendo la vostra gran
perizia, maestro Perino, avrei creduto che potrei darvi saggio e da voi
apprender assai, se voi fosse concorde con la mia volontà, potrei conoscere la
vostra estimata valentia…
Perino:(interrompendo): sono per
dirvi, maestro, che tanto abbiamo necessità di scudi ma non di apprendisti e
alunni, che qui sono a josa, quindi mi pare che la voce sulla mia perizia sia
anche giusta, ma se qualcheduno vi ha a me rivolto, mi pare che voi abbiate
errato luogo, e quindi…
Girolamo: sono vassallo di Giacomo Caetani, signore di Sermoneta e…
Perino:(interrompendo e con improntitudine
infastidita): chi? Mai sentito! Caetani…, Caetani, non ho mai davvero sentito,
ma chiunque esso sia, poco m’importa di chi servite, e non ho nulla da darvi, e
da fare per voi meno che niente…
Girolamo: si non da leggere questa lettera, maestro, di Giacomo Caetani, gran
familiare di Sua Santità Paolo III Farnese, Nostro Signore, il medesimo
committente di questa decorazione; quindi credo che voi, maestro, vogliate
sapere cosa ordina.
Perino:(con espressione assai meno
risentita): certamente che vorrei sapere cosa vuole l’eminentissimo, ed
eccellentissimo Signor Giacomo Caetani, temevo che fosse risentito ovvero che
fosse in cattiva salute; un’accidente,
una melanconia, o non so…
Girolamo: Deo gratias, gode di grande salute, che
il Signore lo trattenga a lungo.
Perino:(legge la lettera).
Voce fuori campo: “Maestro Perino Bonaccorsi, detto
del Vaga; vi prego assai vivamente di considerare il latore di codesta lettera,
maestro Girolamo Siciolante, mio fedele suddito, e già perito nella pittura;
per il quale vi chiedo se voi vorrete accoglierlo fra l’opera vostra. Giacomo
Caetani, Signore di Sermoneta, etc.”
Perino: caro Girolamo potevi dire prima, le tue grandi mallevadorie,
io temevo che tu fossi un sbuccia muri di scarto, sai bene, caro Girolamo, di quelli che girano con
grande ardire di pittori ma…; ti annoio con queste ciaccole da poco,
mentre gran fremere di lavoro
ti compiace assai meglio, allora ti piaccia costì(indicando una parete nuda).
Girolamo: non vedo nulla maestro Perino.
Perino: ci credo anche io, Girolamo adorato, nulla c’è!
Girolamo: vi prego allora di dispiegarmi con la grande favella che vi diede Nostro
Signore.
Perino:(indicando il registro superiore):
guarda lì, avrei veduto che due buone figure femminili vi fossero di grato
aspetto, una nuda e l’altra ben decorata negli abbigliamenti, che avessero
significato dell’Amore e della Speranza. Mi
pare che si possano gradire,
anche perché la volontà del Nostro Signore Paolo III non chiede mai, ma ordina,
e quindi a noi resta solo la prontezza di soddisfarlo. Alla grande opera,
carissimo ed eminentissimo Gerolamo, non tengo te oltre la necessità, e non ti annoio
oltre (si allontana e conferendo con
Antonio della Nunziata): taci! Non parlare e chiudi quel baratro di bocca.
Antonio della Nunziata: maestro! Vi siete forse, per caso, per accidente, impaurito della
lettera, voi, eminentissimo che uso siete a volgere la fortuna come parvi, che
temete? Un pittoruncolo da luogo incerto, che straccia gl’intonaci? Non è da
vostra audacia, messer Perino, non credete?
Perino:(con sprezzante reazione permalosa):
ti mozzo lo capo! Va’ fra i tuoi migliori, e torna alla frescatura, un piede
diritto al deretano tuo potrebbe anche fuggirmi, figlio di gran padre; ignoto!
Termina il tondo, che l’intonaco tira.
Girolamo:(raggiungendo Perino): maestro
permettete che vi disturbi un poco.
Perino:(infastidito): caro Gerolamo di
già qui a chiedere saldo, ma mi pare, senza offesa, assai presto per il tuo
dovuto, non concordi?
Girolamo: vorrei solo avere, per compiere l’opera, gli strumenti giusti e i mezzi,
solo questo maestro.
Perino:(simulando stupore): non ti
hanno ancor dato nulla per soddisfare le tue necessità? Meo, Bartolomeo, dove è
andato quel nefando uomo da nulla, Bart…
Bartolomeo:(al di sotto della scala dove
poggia Perino): eccomi a voi, maestro, dite ed eseguirò, come meglio potrò.
Perino: procura gli strumenti, pennelli, colori, e quanto maestro Girolamo ha da
volere. Ora!
Bartolomeo: come voi comandate.(rivolto a
Girolamo) Come potrei servirvi maestro? Colori, fogli per il disegno,
carboncino e quant’altro; dite.
Girolamo: tenete a mente quanto dico: una scala, se non annoio più del dovuto, fogli,
carboncino e spine di rosa, terra rossa, un ago, calcina e raspa, una picca per
sgrossar il muro.
Bartolomeo: a procurar sono pronto, maestro.
Girolamo:(guarda la parete e volgendosi a Bartolomeo
che si allontana): e un metro, Bartolomeo, un metro.(poi fra sé). Quindici palmi, di verticale, quindi sette di
orizzontale, e due femmine, e…
Bartolomeo:(con i fogli in mano): eccovi i
fogli, maestro, il carboncino, e nulla altro, ora questi sono gli strumenti
soli che ho ricavato.
Girolamo:(guardando Bertolomeo e i fogli):
al punto giusto, Bartolomeo, mi sovviene or ora un’idea, che non mi pare
sgradevole(inginocchiandosi sul pavimento);
guarda! Due femmine, l’Amore, che potrebbe essere nuda; hai
veduto mai l’Aurora di
Michelangelo?
Bartolomeo: no maestro.
Girolamo: a tal posizione sarebbe giusta, senza però esser parimenti
uguale, le sibille di Raffaello, poste alla medesima maniera, con grazia ed
eleganza. Qui Cupido, con l’arma sua, e qui la Speranza , con la posa
della preghiera, gli occhi
volti al cielo, e grandi
vestiti. Qui nel centro la storia di Alessandro Magno, e putti sui lati.
Bartolomeo procurati il resto, che gran tempo infra non possiamo perdere.
Bartolomeo: ai vostri ordini maestro.(Bartolomeo
prende le cazzuole e la calcina)
Girolamo: l’ago, Bartolomeo, ed anche la terra rossa, tieni lì con le spine di
rosa, appresta la calcina e l’arriccio; bene, stendete con gran curanza, e non
ve siano gobbe .(salendo ambedue sulle
due scale ai lati della giornata).
Bartolomeo: maestro, qui fissiamo con i chiodi?
Girolamo: si Bartolomeo, fissa i fogli, buca i confini, e poi la spugna della
terra rossa.
Bartolomeo: pare che l’intonaco ancora sia fradicio, maestro…
Girolamo:(mentre guarda attentamente la parete):
gli altri fogli Bartolomeo servono per assorbire l’umidità dell’intonaco, non
temere, i confini Bartolomeo, i confini e la terra rossa.
Bartolomeo: sono all’opera maestro, seguo i confini, e li buco.
Girolamo:(porgendo l’impacco di sinopia):
la terra rossa Bartolomeo, schiacciala sopra i confini, e premi più che puoi.
Bartolomeo:(mentre batte l’impacco sul foglio):
certo maestro, guardate se mi viene bene l’opera.
Girolamo: bene Bartolomeo, ed ora con prudenza stacca i fogli.
Bartolomeo:(mentre stacca i chiodi di rosa):
si maestro; scorgo i punti di terra rossa, sarebbe meglio che vi ribattessi,
che ne dite?
Girolamo:(sorridendo): no Bartolomeo,
ricorda che l’intonaco tira, non perder tempo, altrimenti il colore si deve
stendere a secco.
Bartolomeo:(mentre continua a guardare i fogli
per scorgervi la sinopia): ecco i punti maestro, vi sono tutti, anche oltre,
ma forse saranno troppi, non mi pare di averne cotanti infilati, ovvero si.
Girolamo:(mentre guarda con celio accennato
Bartolomeo): Meo, stacca pian piano il cartone, e appronta dopo il nero di
carbone, che ad unire i punti si debbia esser pronti.
Bartolomeo: si maestro, ma il cartone non è ancor venuto tutto, ed il nero di carbone
non so che sia, diteme, vi prego, che solo un misero garzone sono io.
Girolamo:(mentre continua a staccare il
cartone sul registro superiore): discendi dalla scala e guarda dove si
trova il sacchetto del nero.
Bartolomeo:(guardando in basso dalla scala):
lì maestro, ed anche li altri colori sono tutti lì, li prendo maestro?
Girolamo: scendi prima; dopo ti spiego il modo.
Bartolomeo: sono giunto, maestro, e ora parlate, sono un solo orecchio, ditemi.
Girolamo: guarda a sinistra, e prendi il sacchetto della polvere nera.
Bartolomeo: sono dietro maestro, ecco il sacchetto.
Girolamo:(con ironia): bravo! Non mi
pare grande impresa di aprirlo, e il mirar dentro ti sia felice ardore!
Bartolomeo: vi scorgo solo polvere nera, e nulla altro, maestro.
Girolamo:(simulando stupore): Meo, ancora
giovane e incerto tu sei del mondo; se vi fossero stati scudi, ovvero fiorini,
dubito assai che il sacchetto sarebbe ancora lì, e quindi, esso è ancor lì
perché nulla vale, si non per
congiungere i punti.
Bartolomeo:(con espressione stupita):
sarebbe di dire, che i punti si possono tutti unire con codesta polvere?
Girolamo: certo, caro Meo, ma se prima non mescoli, nell’ampolla la polvere ed
acqua, sarebbe arduo unire i punti.
Bartolomeo: voi guardate, maestro, e ditemi se faccio bene.
Girolamo: l’ampolla l’hai in mano?
Bartolomeo: si, maestro.
Girolamo: versaci un po’ di acqua, e scuoti con grande ardore, ora muovi con
grazia, e guarda bene l’ampolla.
Bartolomeo: fatto maestro.
Girolamo: il pennello grosso di cinghiale, sali sulla scala, ed intingi il
pennello nell’ampolla. Ora con la sola punta scorri ed unisci i punti tutti.
Bartolomeo: non mi pare di grande perizia, a compire questo.
Girolamo: unisci con perizia e non parlare sempre. E ora congiunti i punti; scendi
e appronta l’ocra e la terra verde.
Bartolomeo: si maestro.(presi i sacchetti e
con espressione pensierosa, e risalendo sui pioli)Ma perché si chiama nero
di carbone, maestro?
Girolamo: perché è il nero che si ricava dai camini, la polvere della legna arsa
nelle cappe dei camini; come ben sai!
Bartolomeo: no! Non so.
Girolamo: e ora lo sai.
Bartolomeo: e perché la terra verde e l’ocra, maestro?
Girolamo: per far le carni delle femmine, caro Meo, all’apparire devono
essere assai in essere, e quindi servono le carni vive. Tocca l’intonaco, e
dimmi se comincia a tirare.
Bartolomeo: come se fa a capire se tira?
Girolamo: se è già asciutto?
Bartolomeo: non mi pare maestro, anzi, assai bagnato.
Girolamo: bene, mescola come prima la terra verde, e l’ocra, intingi il pennello,
e stendi con gran cura e diligenza sulle carni, braccia, e mani, e la ciera e
li piedi, senza fretta, ma con pacato scorrere;(guardando altrove) l’ampolla dove
è posta?
Bartolomeo:(mentre esegue gli incarnati):
lì, maestro, sul tavolato, alla vostra destra.
Girolamo: dipingi a grandi stesure, Meo, l’intonaco tira, e la giornata non
attende.
Bartolomeo: maestro, ripasso una seconda stesura, sembra sia poco scura.
Girolamo:(guardando la nascente figura):
ancora ocra, e terra ma in uno luogo solo, e grada il passare fino alla
rotondità del luogo.
Bartolomeo: dove devo cominciare maestro?
Girolamo: appronta la mano che ti pare più vicina; ma prima scendi e prendi gli
altri pennelli.
Bartolomeo:(guardando giù): eccomi! Sono
di sponda, maestro.
Perino:(si avvicina e guarda le figure):
non mi sembra che codesta opera corra a gran passi, maestro Girolamo, ovvero
sbaglio?
Girolamo:(con voce ironica ed infastidita):
grande sentenza, Perino, come mi pare che qualcuno deve cercare altra maniera
per annoiar i pittori, ad attendere qui siamo, e tutti in ansia, perché la tua
voce non si udiva, che cominciavo a
credere, che lo abbia colto
un’accidente? Il colera, un’alabarda al deretano, ovver ai budelli? E invece
nulla di questo ancora sano e vegeto.
Perino: non temere, Girolamo, ti darò io l’olio santo, e alla tua dipartita da
questa terra pregherò per la tua anima da tre baiocchi.
Girolamo: voi siete sempre tanto lusinghiero, caro Perino, ma i tre baiocchi teneteli
voi, che ne avete assai necessità, vista la gran capacità nella pittura.
Perino: Meo, pingere con peggiore specie di stracciamuri non poteva capitarti;
conoscere l’arte è già mestiere arduo, ma con chi sappia ben pingere, e non un
sporcatele di cotale poca tempra.
Girolamo:(con voce altisonante): Perino,
non hai nulla mai da fare? Sentivo ora che serviva qualcuno, con buone mani,
per pulir le stalle e fare brillare gli stivali, sarebbe gran mestiere e grande
onore, tenetelo a mente, maestro.
Perino: non oserei mai privarvi di cotanto prestigio, maestro Girolamo, siete
così pronto a mescolare che sembrami che solo a voi fidar si debba.
Bartolomeo:(guardando ambedue i contendenti
dialettici): non certo vorrei terminare cotanta disputa di fieri
intelletti, ma quivi l’intonaco tira e si qualcuno mi sapesse dire cosa fare,
potrei anche essere soddisfatto.
Girolamo: prepara l’ocra e che sia più denso di quello prima, passa e
ripassa, stendi e…non annoiar oltre.
Perino:(guardando sorridente Bartolomeo):
anche un aiuto hai preso e scelto un garzone de gran lega, vero Girolamo?
Girolamo: il medesimo favellare del padre mio quando entrai alla
bottega di Leonardo, mio venerato maestro, la scuola della pittura la conosciamo
assai bene, Perino.
Perino: si, ma garzone è gran novità, Meo non è aduso a cotanta perizia, e poi
tarda è l’età.
Girolamo: e sempre più tarda se nessuno lo fa apprendere, ma non temere, Perino,
l’occhio ha desto e vigile.
Perino: certo, Girolamo, compire errori qui sarebbe rischioso, hai gran fede in
te.
Girolamo: e io in te caro Perino(fra sé);
vecchio trombone maldestro.
Bartolomeo: maestro, come vi pare la stesura condotta?
Girolamo: buona assai Meo, buona, ma guarda bene che l’oscurità sia di gran
leggerezza, non apporre troppa ocra qui, cauto e prudente con il nero, sii
pacato e carezzevole, non fare apparire troppo l’oscurità. Ma il pennello fine,
dove lo
hai messo; con quello si deve
fare l’oscuro; ma dov’è…
Bartolomeo: eccolo maestro.
Girolamo: bene! Ora passa mano assai leggera, guarda bene la tua di mano
e pensala come di femmina che di decoro, e grande grazia, deve avere e…
Perino: Girolamo, Girolamo, scendi dal ponte che ho da mostrarti grande
disegno.
Girolamo: Perino, si ogni volta all’annoiar sei sempre pronto, non ci dire di non
perdere tempo…
Perino: scendi Girolamo; per il maestro mio Raffaello, si può anche mancare di
regola.
Girolamo: Raffaello, il Sanzio dici?
Perino: il Sanzio, certamente.
Girolamo:(con voce enfatica e sorpresa):
scendi anche tu Meo! un disegno del Sanzio.
Perino: guarda quale disegno, guardate, maestri illustrissimi.
Gerolamo: Mater Dei, il Sanzio, una Coronazione della Vergine, ma dove si
trova l’opera? Ma come lo hai avuto Perino?
Perino: la Coronazione , è in
Perugia, il disegno lo ho avuto da Raffaello, me lo lasciò quando il Signore lo
chiamò a frescar il Paradiso.
Girolamo: ma quanta grazia di carboncino, guarda il segno come è fluente, Meo,
guarda quale maestria nella grazia, la dolce femmina Mater Christi, la grazia di Nostro Signore nel porre la corona
sulla testa, guarda come siano di grande decoro le nudità. Meo, hai grande
incarico per il tuo carboncino; quindi converti l’opera tua dalla pittura al
carboncino; copia codesto disegno e usa grande grazia che Raffaello è grande
pittore che vuol sempre dolcezza.
Bartolomeo: come faccio, maestro?
Girolamo: con grande perizia qual tu hai, e ora voglio che operi
davvero. Non indugiare oltre, Meo, che tanto da ricavare tu hai.(indicando un cartone già usato per lo
spessore). Un cartone può essere di quelli, prendilo e comincia
l’opera.
Bartolomeo: non sono sì tanto perito, maestro, e se sbagliassi?
Girolamo: devi sbagliare, altrimenti mai ad imparar saresti pronto.
Bartolomeo: si, ma…
Girolamo: non indugiar oltre, Meo, li miei allievi non debbono mai tirarsi
indietro alla difficoltà, ma bensì affrontarla e operarvi sino al compimento
loro; quindi opera senza alcun dubbio, Meo, e non annoiarmi oltre.
Atto II
Scena prima
Piacenza. Interno di Palazzo Farnese
Voce fuori campo: Al signor Pierluigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, il quale servì
alcun tempo, fece molte opere et in particolare un quadro, che è in Piacenza
fatto per la cappella, dentro al quale è la
Nostra Donna, San Giuseppe, San Michele, San Giovanni Battista et un
angelo di palmi otto.
Per ragioni di parentela
Bonifacio Caetani appellò la protezione di Pier Luigi Farnese, alla corte di
Piacenza, ove Girolamo Siciolante dipinse una tela con la Sacra Famiglia, per
la mallevadoria che lo suo Signore Bonifacio avea fatto, ma dopo grande attesa
le opere sperate erano assai ridotte, e quinci Bonifacio Caetani, giunto l’anno
1549, volle la decorazione della sua cappella nella chiesa della Immacolata
Concezione, Girolamo fece ritorno alla patria sua, et scrisse una lunga
pìstola.
Girolamo:(rivolgendosi al Farnese)
saluto Vostra Signoria Illustrissima; giungo da Roma con ordine del vostro
cugino l’Eminentissimo Bonifacio Caetani, Signore di Sermoneta. Il quale
porgevi il suo fraterno saluto, e vi prega di accondiscendere ad accogliere il
suo umilissimo servitore, quale io sono.
Pier Luigi Farnese:(seduto su di uno sgabello) ben
giunto a Piacenza maestro Gerolamo, buon viaggio avrete compiuto, almeno spero.
Girolamo:(compiuta la riverenza): buono
assai Illustrissimo.
Pier Luigi Farnese: bene, ho già avviso del vostro arrivo da Roma, ed assai grato di vedervi
integro e salvo; Bonifacio, mio familiare e vostro signore, mi ha di già tessuto
grande elogio della pittura vostra, e non temo delusioni.
Girolamo: e io non temo da voi ingrati trattamenti di lavorare, Illustrissimo,
vorrei esservi utile e vorrei sapere qual siano le vostre volontà.
Pier Luigi Farnese: ho di già nella mente un’idea che vorrei veder dipinta, maestro, sapete,
una buona Sacra Famiglia, con
l’Arcangelo Michele, San Giuseppe, e gli altri tutti.
Girolamo: a servizio vostro, Eccellentissimo, quindi posso or ora dare principio?
Pier Luigi Farnese: tempo ne avrete, intanto guardatevi bene la nostra pittura e andate a
vedervi quanto si può cavare dai pittori di Piacenza.
Girolamo: a vostra volontà.
Scena seconda
In una chiesa di Piacenza
Girolamo:(fra se mentre guarda il
Parmigianino): grandi vesti, di grande valore, la carnalità buona e
leggiera come mai vista, aggraziata e qual fiamminga pittura; sarebbe da
principiare cotanta maniera, la testa ha qualche incertezza ma buono così,
Nostro Signore assai lungo, me qui i nostri fiamminghi hanno fatto scuola
grande; caro Francesco del Cossa, aspro e di miglior cura, le pietre sono fatte
dal niello di un’orefice, la veste assai ben tessuta, mai nulla di tanto e
troppo, la necessità è maestra. Antonio cosa fa di buono? Correggio, non disti
dalla verità, la luce è assai certa, e lo stendere ti fa maestro.
Scena terza
Nella Corte
Pier Luigi Farnese: maestro, goduto avrete, spero, dei nostri pittori saggiato la
maestranza.
Girolamo: ottimi valori mi sono pervenuti, le vesti e i volti, Illustrissimo, di
grande segno e fattura eminentissima.
Pier Luigi Farnese: la Sacra Famiglia che vi chiesi?
Girolamo: non ho altro desiderio.(di fronte
alla tela e con sé stesso mentre Pier Luigi guarda la tela). Di sguincio
sarebbe assai miglior fare, qui il San Michele Arcangelo, e che di traverso sia
per cogliere il capo della Nostra Signora, sulla destra Santo Giuseppe, pare
quello del Correggio, ma buono è. Le vesti quanto quelli del Parmigianino, e
gran perizia di particolare. Le ultime finiture, che l’Illustrissimo sarebbe
assai grato, che maestro Girolamo sia di scuola fiamminga.
Pier Luigi Farnese: lasciovi alla vostra meditatio,
maestro, pensate anche al tempo di impiego, prima della fine del mondo, se
potete. Valetevi.
Girolamo:(con sé stesso gesticolando con un
pennello in mano, camminando nervosamente)Pare sempre agevole depignere, ma
poi se qualche Vergine non piace, allora vegnite con le solite querele a
questuare che qui non compiace, e lì meno ancora, quel colore costa troppo, lo
panno qui è mal tirato, lì parme de veder mia socera, quella non parme la mia
concubina, lo deteretano non è de meo gusto, etc.
Pier Luigi Farnese:(entra nella stanza) salute a voi maestro Girolamo; stamane
ho veduto il vostro desegno, certo, gran sicurezza nel vostro carboncino, e non
errai affatto, buona opera e con grande maestria di certo, maestro, mi sembra
di vedervi anche Parmigianino ovvero no?
Girolamo: gran giudizio avete e buon occhio, Eccellentissimo, in verità anche
Correggio, e diversi fiamminghi.
Pier Luigi Farnese:(uscendo dalla stanza): avrete
buone e molte da fare qui.
Girolamo:(fra sé) lo spero con grande
ardore, ma non fido assai.(poi
rivolgendosi a Pier Luigi) Dio vi conservi Eccellentissimo.
Scena quarta
Una sala della corte piacentina
(Girolamo scrive una lettera)La pistola a messer Bonifacio Caetani: Illustrissimo Signore Padrone mio sempre
osservantissimo. Volendo Vostra Signoria che io venga a Sermoneta, non posso
mancar de quanto mi comanda et verrò volentieri quasi non mando una cavalcatura
innanzi le fosse, acciò me ritrovi questa costì perché il Signor Imbasciator de
Francia insino a qui stato molto male et per grazia di Dio al presente si sente
molto bene e mi tien sollecitato della sua opera ad dir che non sarà finita che
li ho promisso se non fossi questa causa mi hoffreria a Vostra Signoria de
venire questa state a star a Sermoneta a farli io queste stanze che Vostra
Signoria vol far dipigner la la Signoria Vostra
mi avrà per scuso che io non posso hofferirme a cosa nessuna, et mene doglio assai a Vostra
Signoria Illustrissima Humilmente mi raccomando. Di Roma lì 5 de Giugno 1549.
Di Vostra Signoria Illustrissima. Servitore Hieronimo Siciolante.
Circa l’esser mio de qua sua eccellentia me ha mostrato bona
ciera da l’altra banda fino adesso non ci vego d’aver a far lavori de molta importanza
si come me fu detto et come me pensavo, si che se sapevo questo non partivo de
Roma; se altro cose non sono da fare che queste, che vedo a
primavera tornarò a Roma perché voglio veder de non perder il tempo perché se
potria voglio andar innanzi no addietro. Al presente sua eccellentia me fa far
un quadro
ad olio assai grande ove sarrà una madonna con certe altre
figure et così starò a veder questo inverno come vanno le cose così farrò.
Spero che Bonifacio abbia capito che qui non
si lavora, si trascorre il tempo a nessuna faccenda.
Pier Luigi Farnese: maestro, mi è giunta voce che voi vorreste tornare ai vostri luoghi, non
vorrei che fosse vero tale detto.
Girolamo: temo che tal sia verità, Illustrissimo, incarichi di somma gravità mi costringono
a lasciare la vostra corte e la vostra munifica ospitalità, prego Vostra
Eccellenza di concedermi il congedo dalla vostra corte.
Pier Luigi Farnese: con sommo rammarico, vi concedo quanto volete, maestro, e che Dio vi
guardi e conservi a lungo.
Scena quinta
Bologna. Casa di Matteo Malvezzi
Voce fuori campo: et in Bologna fece già
nella chiesa di San martino la tavola dell’altare maggiore che fu molto
comendata da Messer Matteo Malvezzi, Patrizio del Senato de Bologna, che volle
la detta pala e che fu fatta da Girolamo Siciolante detto il Sermoneta
nell’anno Domini 1548.
Matteo Malvezzi: attendere assai ancora per una lettera, nessuna nuova è giunta da Roma?
Servitore del Malvezzi: non mi pare messere, ero
oggi nel cortile ma non ho nulla da
darvi.
Matteo Malvezzi: sarei allora miglior modo di volgere ad altro pittore tale opera,
Michelangelo non ha tempo ovvero tempra a realizzare; frate Giampietro
carmelitano spedì la lettera che le dissi?
Servitore del Malvezzi: certo, Illustrissimo, io stesso lo vidi che la scrisse, e al corriere la
diedi, non so e non comprendo tal ritardo di risposta.
Matteo Malvezzi: neanche una lettera di replica. Leggetemi ancora l’ultima del padre
Priore de Carmelitani.
Servitore de Malvezzi: eccovi il testo: Un gentilhom
volere fare uno quadro eletto et eccellente fra tutti de Italia, et ch’esso non
brama se non el dessegno di Vostra Signoria, quale sara unicho; e quando si
dignasse etiam far el
quadro perfecto,lo daria sommamente. Ma se quella non potesse
colorir; come essa me disse a bocha, almeno vorebbe, che Sebastiano vostro
colorisse, dil che Vostra Signoria mi promisi advisarci. Questa è la lettera,
Illustrissimo, ma ancor non si vede risposta.
Matteo Malvezzi: anche un’altra pistola è stata portata a Michelagnolo, voi, si non fallo,
mi diceste questo.
Servitore dei Malvezzi: sicuro mio signore, io medesimo la portai.
Matteo Malvezzi: e fu mandata, con certa prova.
Servitore dei Malvezzi: certa; lo vidi e quindi sono sicuro di quanto dico, se vuole, vostra
Signoria Illustrissima, potrei anche rileggervi la seconda lettera.
Matteo Malvezzi: si, rileggetela.
Servitore dei Malvezzi: Messer Michelagnelo, questa si è per
me memoria a Vostra Signoria circa il
fatto del quatro de la tavola de la quale a Vostra Signoria àno parlato li
frati carmelitani, che va a Bologna, e prima la fantaxia, secondo il desiderio
dil patrone, si è questa. Sua Signoria voria una Nostra Donna con un putino in collo
e quatro figure, due de qua et due de là de la Nostra Donna. La
qualita delle qual quatro figure sie quelle che più piaceno a Vostra Signoria.
Il quatro si è meco tondo di sopra, et è longo da la sumitade del mezo tondo
insino al di sotto, piedi otto et once quatro e meza, et è
largo piadi cinque et once tre e meza, intendendosi secondo la nostra mixura,
la quale dentro questo foglio in figura è disegnata, cioè un piede, che sono
once dodexe. Il lume della capella si è questo: la capella si è posta a
l’oriente, et à lume dal mezo giorno.
Matteo Malvezzi: e quindi Michelangelo sa quanto ordinato, ma non fa ancor nulla.
Servitore dei Malvezzi: nulla messere.
Matteo Malvezzi: avete voi conoscenza di qualche altro dipintore di buona tempra che
potrebbe ovviare a cotesto incarico?
Servitore de Malvezzi: per una questione di vostri affari, messere, giunsi a Piacenza alla
corte del messer Per Luigi Farnese, il quale me parlò di un pittore assai
capace, certo Ciciolante ovver Sociolante, ora non mi sovviene, ma il
quale soddisfece assai i
desideri di messer Pier Luigi, sarebbe certo che con esso non se dovrebbe
aspettare molto.
Matteo Malvezzi: ma dove trovasi il pittore ora?
Servitore de Malvezzi: a Piacenza, da messer Farnese.
Matteo Malvezzi: raggiungetelo, e pregatelo di approntare subitamente un disegno che ci
sia grato.
Servitore de Malvezzi: alla volontà di Vostra Signoria.
Scena sesta
Casa Malvezzi
Matteo Malvezzi: maestro Girolamo, si non erro, Ciciolante ovver Seciolante, ovver…non
ricordo bene.
Girolamo: Siciolante, messer Matteo.
Matteo Malvezzi: già, or mi sovviene, Siciolante, ma voi non sembrate di
nostra terra felsinea, non siete di Bologna.
Girolamo: no Illustrissimo, son nato assai lungi da qui, sono di Sermoneta, e sono
servitore di Sua Signoria Bonifacio Caetani.
Matteo Malvezzi: eminentissima genia, due papi, e grandi principi della Nostra Sancta
Chiesa, e grandi prodi della nostra fede.
Girolamo: invero messere, come dite, senza macchia, ma grati e riconoscenti quanto
dediti alla munificenza.
Matteo Malvezzi: ho veduto il disegno vostro maestro, e gran garbo di carboncino usate,
mi pare assai elaborato e di grande pregio.
Girolamo: certamente non glorioso come potrebbe esserlo uno del divino Michelangelo,
ma se ve contentate di tal fare ne sarebbe davvero assai grato, quanto mi fu
ingiunto da Vostra Signoria Illustrissima, fu soddisfatto, suppongo.
Matteo Malvezzi: lo cambio con Michelangelo non perde di valore certamente: avete voi
visto di certo l’opera di Raffaello, sembra di scorgere qualche San Johanne Battista,
sulla cima, e il nostro amato Correggio in sul basso,
buono assai; ma quanto vi
avete lavorato?
Girolamo: per voi messere di gran lega ho condotto l’impegno, giorno e non sosta
mai sino allo compimento.
Matteo Malvezzi: codesti vestiti assai gagliardi e melliflui, siete davvero assai perito
e vi ingiungo di operar con gran lena alla tavola, con la medesima celerità, siete
presto che il tempo passa. Ah! Quasi dimentico; il colorito assai denso, quasi
veneziano, di non grande oscurità, ma certo nelle figure, si bene vorrei che
non risparmiasse sull’ocra.
Girolamo: sullo fondo, messere, avrei creduto che…
Matteo Malvezzi:(interrompendo repentinamente):
scuro, maestro, vorrei che i Santi ne fuoriuscissero con gran luce, pari alla
maniera di Tiziano, tale e quale.
Girolamo: come vi garba messere, a servizio vostro.(fra sé)Ancora Tiziano, dove mi volto trovansi, ma pare che sia epidemia
di tizianite; il colore de Tiziano, l’oscurità di Tiziano, la pittura di
Tiziano, le braghe di Tiziano, e lo capo, mozzato, di Tiziano.(fra sé) Calmati Gerolamo, calmati,
ricorda che Leonardo buoni consigli ti diede, “soddisfa le loro volontà”; e allora
così sa da fare, e non mai replicare con noia. Caro Lorenzo Costa, quanto mi
sussidi in codesto momento così gravoso, la tua opera, con la Nostra Donna , e il
putto, sarebbe di gran gradimento, ma la debbo stringere più che posso, qui un
vecchio di Correggio.
Marco Malvezzi:(entra nella stanza) messere
Girolamo vero, ovvero sbaglio?
Girolamo:(rivoltosi verso la voce): no
messere, non sbagliate affatto, ma non mi pare di conoscervi, messere.
Marco Malvezzi: son Marco Malvezzi, figlio di messer Matteo, che Dio lo abbia in gloria.
Girolamo:(con espressione stupita): per quale causa? Un mese addietro era
vivido e saturo di salute.
Marco Malvezzi:(mentre guarda la pala): non
sapete, allora. Il Signore lo ha chiamato, e mi parlò anche dell’opera che a
voi aveva ingiunta; ma siete a buon punto?
Girolamo: davvero messere, ad massima finitura. Ma vorrei saper ora come disposti
siano gli ordini che vostro padre, di felice memoria, che aveva meco presi.
Marco Malvezzi:(guardando ancora la pala):
quanto prima che mi vedeste, maestro, nulla muta e tutto resta.
Gerolamo:(con espressione preoccupata): tutto remane con quanto voi avete già
d’accordo con mio padre, non temete che voglia mutare, anche per la gran
finitura, ma l’opera perde però nel mio ritratto.
Girolamo: nessuno mi ha detto di porvi anche la vostra immago, messere.
Marco Malvezzi: nessuno fino ad ora, ve lo ingiungo, che la mia effige vi sia posta.
Girolamo: dove messere?
Marco Malvezzi: lì, sulla sinistra, di dietro al Santo Girolamo.
Girolamo: il color come lo volete, messere, alla maniera di Venezia? Ovvero di
Roma, dite la maniera, e quindi sarò gradito di soddisfarvi.
Marco Malvezzi: alla veneziana, maestro, alla veneziana, sapete piacque a me assai una
opera de mastro Tiziano Vecellio, e mi pare che fosse di grande valentia.
Girolamo:(osservando intensamente Marco
Malvezzi, con espressione mal celatamente irata): certamente, messere,
Tiziano lo ha ogni pittore, in gloria e che Dio lo guardi sempre.
Marco Malvezzi: lieto che voi maestro siate così incline al Vecellio, che in verità, pare
che ora di gran voga sia divenuto, alla Serenissima, quanto alla Sua
Eccellentissima Maestà Carlo Quinto d Spagna, quindi, caro maestro
Girolamo, vorrei che voi fosse
così tanto perito da emular Tiziano.
Girolamo:(con espressione falsamente
sorridente): anelo solo a gratificarvi messer Marco, non potrei di certo
esser pari a Tiziano, ma potrei tentare.
Marco Malvezzi: attendete alla vostra opera, maestro e siate celere più che potete.
Girolamo:(porgendo la dovuta reverenza con
inchino, con sé stesso): andate, andate, e che Dio ti carpisca con un tempo
breve, gran figlio di padre sconosciuto, figliol di bagascia e di porcari;
Tiziano Vecellio, che anche a lui venga il colera e quanto altro accidente se
possa.
Scena settima
Marco Malvezzi:(entrando nello studio di Girolamo):
vi guardo con assai gusto, maestro Girolamo, mi pare che tal opera segua il suo
corso con gran maestria; il colore è davvero quale che io voglia e grande
volontà vedo in voi di così presto condurre l’opera, la vostra maniera nel dipingere
resta assai lodevole.
Girolamo: mirate il volto vostro messere, se garba alla vostra
Eccellenza, pare che uguale sia.
Marco Malvezzi: si, maestro, molto prossimo alla mia fattezza, e assai buono fatto. La
cornice attorno avrei pensiero di affidarlo a mastro Andrea di Formigine, grande
e rinomato mastro falegname, che potrebbe di certo operar
all’intaglio, con aurea materia
che rilucisca attorno attorno.
Girolamo:(mentre guarda la pala con Marco
Malvezzi al fianco): ottima idea, messere, grande fautor d’intarsi deve
necessitare per cotanta opera.
Marco Malvezzi: caro Girolamo, vi porgo allora li miei apprezzamenti sinceri,
e che Dio vi guardi in ogni giorno di vostra vita.
Girolamo: grato vi son messere per avermi posto fra i vostri servitori e avermi
dato cotanta opera da svolgere, vi sia grato Nostro Signore, e vi miri nella
somma gloria sua.
Scena ottava
Roma. Chiesa di San Luigi dei Francesi
Voce fuori campo: et in San Luigi fece una storia a fresco a concorrenza di
Pellegrino Pellegrini bolognese, e di Jacopo del Conte fiorentino; opra che
venne con molta prospettiva e assai mirata da molti, e grande visione di Nostro
Signore Crocefisso.
Nicolas Dupré: giorno e giorno passa, senza cogliere mai occasione per vedervi maestro.
Siete, forse voi aduso al fuggir da coloro che vogliono la vostra opera,
maestro Girolamo?
Girolamo: no certamente messere,
Nicolas, io volgo sempre mente alla vostra chiamata, e vi penso da gran tempo,
ma mai vi trovo, e al credere che fosse solo celio mi pareva.
Nicolas Dupré: avete voi veduto che la nostra chiesa sia ormai rifatta quasi per
intero, e vorrei vostro giudizio.
Girolamo: Sua Maestà Eccellentissima, Enrico II, ha davvero gran perizia e sommo
ingegno ad affidarvi cotanto rifacimento.
Nicolas Dupré: molto mi dissero di voi, maestro, pria che maestro Perin del Vaga fosse chiamato
da Nostro Signore, avevo io rogato gran contratto che lo facesse attender agli
stucchi, poscia me disse il nome vostro l’ambasciator
gallico allo Sacro Concilio
de Bologna, messere Claudio d’Urfeo, che mi presentò l’opera vostra alla sua
cappella, mi piacque assai la maniera vostra, e chiesi de ove si potesse porre
istanza a voi per aver la vostra pittura; assai incerte furono le notizie che
mi giunsero, per chi vi dava alla franca corte, chi diceva che ormai disperso
nelle terre dell’Emilia, chi non vi dava per nulla, ovvero non conosceva neanche
quel cosa chiedevo.
Girolamo:(ricordando quanto Leonardo da
Pistoia aveva consigliato):
Voce fuori campo: “se accadesse
che qualche uno non te conoscesse, ma facesse de non mai averti conosciuto per
la opera tua, tu ripaga lo tuo allogatore con grandi elogi, e con gran laudi,
dicendo che anzi gran valor hai tu sentito
altrove”: di voi, messere, invece
ogni uno vi conosce qui, e la gran ammirazione era senza fine, chi vi lodava
qui e chi lì, e quasi ogni volta l’era come parlar de Nostro Signore; fui
davvero nello spasimo di conoscervi, e di vedervi come si gran lodato signore
fosse in vita, infine vi vedo e con gran valor e fide ammiro la vostra persona,
e vorrei anche sapere che cosa fare su codesta parete, quale storia voi volete
che vi dipingessi.
Nicolas Dupré: vorrei che vi fosse dipinto il Battesimo
di Re Clodoveo, grande trionfatore di nostra fede cristiana, e sommo difensore
di Nostra Santa Chiesa Romana.
Girolamo: con quali e quante figure, messere?
Nicolas Dupré: non più di ventisette figure, fra cui Re Clodoveo medesimo, Nostro
Signore papa Leone e sullo fondo Gesù Cristo Crocifisso.
Girolamo: come voi volete messere, terrei al centro gran prospettiva, con somma
risultanza di Nostro Signore Gesù Cristo, nello alto loco, e avrei ritenuto
anche che lo fondo si possa ideare con la maniera di architettura della Sagrestia
Vecchia, di Brunelleschi, dunque a rinforzar la prospettiva e rendere assai
acuto il centro; suppongo che buona cosa se possa fare; a voi il giudizio
messere.
Nicolas Dupré: si mi pare assai apprezzabile, ma vorrei vedere il vostro pensiero con il
disegno, come l’è uso.
Girolamo: vi stenderò assai prima che voi pensiate, messere Nicolas, quanto vi
possa essere aduso.
Nicolas Dupré: siate presto maestro, vorrei che la mia cappella avesse degna decorazione.
Girolamo: ai vostri eminenti ordini messere. Valete
vos.
Pellegrino Tibaldi: allora Girolamo, come vi volge la vita?
Girolamo:(mentre guarda la parete da
affrescare) tale voce sembra di conoscerla, di un Pellegrino che al tacere
non pare mai aduso. Senti; gran consiglio voglio che tu me dai, una femmina in
codesto luogo, al centro, pare a te che vi possa entrare? Ovvero no.
Pellegrino Tibaldi: “tutto se pote quel che
se vole, et più non dimandar”, alla maniera di nostro maestro Dante, ma che
sia davvero troppo accerchiare di figure, ti converrebbe che tu le ponessi sui
lati, la parete è assai estesa, non ti
risparmiare, e non temere che
siano troppe; il gran Raffaello ammira e riguarda.
Girolamo: la Scuola di
Atene, credi che sia ottima scuola.
Pellegrino Tibaldi: per certo, Girolamo. Lo spazio al centro, Girolamo, carpisci da
Raffaello.
Girolamo: avrei anche ritenuto, che di retro all’altar maggiore vi fosse qualche
femmina e homo, ma…
Jacopino del Conte: buono assai, messer maestro, Girolamo, ancora la penna non vi passa
dall’intelletto, e l’acquarello meno che non si dica, e troppo concentrate le
figure.
Girolamo: a discutere con
voi, maestro Jacopino, si deve sempre imparare, come non se deve parlare con gli
altri maestri, lungi mi pare che voi siete, e non fate mai veder cosa vi pare
per lo capo.
Jacopino del Conte: non vorrei darvi gran noia, maestro, quindi mai darvi gran invidia, ma
non parvi assai raccolto codesto Battesimo?
Girolamo: si, ma potrei sempre allargare, tu cosa credi?
Jacopino del Conte: presta assai attenzione, Girolamo, la franca nazione, sempre resta
incline alle vicinanze di Raffaello, quindi ti conviene contentare messere
Nicolas con qualche suggerimento del Sanzio.
Scena ottava
Roma. Casa del Siciolante
Voce fuori campo: alfine Girolamo, compito il suo cammino terreno, diede
l’anima a Nostro Signore, che lo volle a depigner ogni loco del Paradiso.
Girolamo Siciolante morse in Roma nell’anno Domini 1571 nella sua residenza.
Palma: allora dottore, diteci qualche cosa di conforto.
Dottore: nulla di disperato, ma ormai la vetusta etade incombe, vostro fratello,
madonna Palma, volge al termine, gran ricordi abbiamo tutti, e indarno sarebbe
correre, grave melanconia e tanta mestizia sembrano non saziarsi mai di
incombere.
Palma: voi dite quindi che sarebbe miglior cosa negli ultimi conforti
dello spirito volgere attenzione.
Dottore: la salvezza dell’anima è miglior cosa che ora si possa fare.
Palma: cadde così quando Tullio, il figlio pittore, morì anni addietro, non
sembrava quasi esserne dimentico.
Dottore: credo che la melanconia lo abbia sovrastato; chiamate un prete.
Girolamo: Palma, ricordi ancora il mio Tullio?
Palma: si Girolamo, ricordo ancora quando era pargolo.
Girolamo: e tu Paolo, lo ricordi?
Paolo: si padre, lo ricordo.
Girolamo: che Dio lo abbia sempre in gloria.
Prete: figlio mio, oremus, i tuoi
peccati che siano perdonati da Dio Padre, che tu sia accolto nel regno dei
cieli, e che ti sia perdonato ogni peccato tu abbia compiuto. In hoc die Hieronimo Siciolante de Sermineta,
post expiationem peccatium sui,
reduxit animam Deo Patre. Deus habeat illum in gloria. Requiescat in pace.
Amen.
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