Sunday, July 21, 2024

 

In dubio pro reo

La voce degli accusatori contro Bonifacio VIII  DrammaTeatrale

 

Dramatis personae

 

Storia 

Bonifacio VIII papa

Celestino V papa

Filippo IV re di Francia

Jacopone da Todi asceta e poeta

Dante Alighieri

 

Atto Primo

Storia e Bonifacio VIII

Due sedie signorili un tavolo ed un terza sedia speculare al tavolo  

Storia: Bonifacio VIII sei stato qui vocato per rendere ragione della tua vita di papa, dei tuoi gesti, e della tua condotta da padre della cristianità; sarai accusato da diversi nemici; io ascolterò le ragioni di tutti, ed i motivi di chiunque; sai bene che la Storia è sempre razionale, equanime e mai parziale; gli uomini, e solo gli uomini, la rendono partigiana di qualche tesi, ma io ascolto, considero e non giudico, osservo, speculo, da secoli; e mi sono assuefatta alle ragioni più disparate che voi, uomini, grandi e piccoli, siete soliti addurre, quindi anche tu ora dinanzi al tribunale della Storia dovrai rendere ragione e parlare con i tuoi simili.

Bonifacio: Perché dovrei parlare con chi mi ha accusato, offeso e denigrato sul tuo altare; i miei nemici, come ben sai, avranno tanto da mentire; quindi perché perseverare nella ricerca del colpevole, che tu hai già facile da immolare?

Storia: Perché voglio che gli uomini ben sappiano anche la tua voce, come quella degli accusatori.

Bonifacio: Qualcuno in futuro dirà “l’ardua sentenza ai posteri”, ma forse ai posteri non potrà interessare se io sia colpevole ovvero no; non credo che la mia figura sia ancora considerevole.

Storia: Erri, Bonifacio, erri; se pronunci qualche parola di difesa, qualcuno ausculta, e una voce semplice, umile e soffusa può divenire una esorbitante vocazione.

Bonifacio: Chi sarebbero i miei accusatori?

Storia: Cautela Bonifacio, saranno qui, tutti, raccolti, e tu potrai avere un tuo difensore, che ti spetta.

Bonifacio: Dogliomi che tu davvero credi che io abbia bisogno di un difensore; mi meraviglio; sei la Storia, e non conosci la verità? Storia: (accennando un lieve sorriso)Io sì, ma io conosco la verità della storia, mentre tu solo quella di Bonifacio; e quella soltanto; quindi cerchiamo di conoscere anche le altre verità, di altri, che come le tue sono certamente valide, razionali, quanto umane; troppo umane. Conosci tu Socrate di Atene?

Bonifacio: No! Ammetto di non conoscerlo, chi è costui? Storia: Un filosofo, che morì con una sua personale apologia, ossia autodifesa, da una condanna ingiusta che lo identificava come la rovina dei giovani e degli atenesi, poiché lui, Socrate, li corrompeva; fu accusato di ateismo, di degenerazione morale, di disobbedienza agli Dèi, quinci condannato a morte, bevve la cicuta per non tradire il suo personale pensiero, che era gnosi seauton, conosci te stesso, e quindi la tua verità.

Bonifacio:Spiacemi ma io non sono filosofo, ma giurista, e papa, e non capisco quale sia il significato di cotanto verbo; esplicami. Storia: Bonifacio, tu hai la tua verità, come gli accusatori hanno la loro, quindi tutti avete una certezza, una vostra canoscenza.

Bonifacio: Come tu hai la tua.

Storia: Certo, ma la mia è la verità della storia, dell’accaduto, che non attesta la colpevolezza tua, ovvero di altri; ma l’innocenza di tutti e la colpevolezza di nessuno, come la colpevolezza di tutti e l’innocenza di nessuno; vedi caro Bonifacio, io vi conosco tutti vi ho visto nascere e morire, quindi conosco le vostre singole ragioni, i vostri animi, i vostri pensieri, sospetti, menzogne e verità, ma non vi giudico; poiché dopo tanto tempo trascorso, ho capito che ognuno mente e dice la verità, ognuno travisa e tergiversa, ognuno nasconde e nessuno dice di celare, tutti accusano, ma nessuno veracemente condanna, poiché tutti voi siete complici, quindi chi di voi senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei.

Bonifacio: Perché citi Giovanni? Credi che io possa essere Nostro Signore, ovvero Giovanni?

Storia: Perché non l’adultera?

Bonifacio: Non pecco di adulterio.

Storia: Forse lo hai già fatto, ma non lo ricordi.

Bonifacio: Non sono mai stato sposato, e non ho figli naturali, quindi non tradisco alcuna donna ed alcuna moglie.

Storia: Non hai forse sposato la Chiesa?

Bonifacio: Certo, ne sono lo sposo morale e spirituale, e come tale devo anche difenderla, salvaguardarla, amarla e operare per lei; allontanarne sia nemici che ipocriti, quindi ho agito con retta fede.

Storia: Secundum Bonifacii judicium. Secondo te, caro Bonifacio, ma non secondo altri.

Bonifacio: Altri? Chi? Qualche eretico forse? Ovvero un nemico di Dio?

Storia: Un certo Pietro Morrone, un certo Celestino V. Lo ricordi Bonifacio?

Quello che per viltade compì il gran rifiuto. 

Bonifacio: Si! Lo ricordo bene.

Atto Secondo

Celestino V, Bonifacio VIII e Storia

Celestino V entra in scena e siede al tavolo alla destra della Storia

Celestino:(guardando intensamente Bonifacio) Ricordate anche Fumone?

Bonifacio:(alzandosi dalla seggiola) Non riconosci la veritade dalla menzogna, tu, e solo tu ed io, sappiamo bene che fosti tu che mi chiedesti di andare a Fumone; ti era certo assai adatto; come a

Napoli, nel Castel Reale di Roberto d’Angiò, rimembri? In quella visita del 1295, Roberto ti offrì le migliori stanze ma fosti tu a chiedere di dormire negli scantinati; quando Roberto ti aveva offerto la sua camera reale; tu hai insistito per la povertà assoluta, Castel Fumone? Non sapevo neanche esistesse, tu mi indicasti quella grotta, e solo con l’intento di attrarmi le doglianze dei tuoi falsi seguaci, vero?

Celestino: No, Santità.

Bonifacio: Sei un mio pari, devi adottare il protocollo; per te io sono Bonifacio.

Celestino: Si è vero, fui io che scelsi Fumone; volevo ritornare alla mia Chiesa, mentre quella che tu volevi era, a me, quanto a Dio, estranea, lontanissima, immorale, demoniaca; ed io, che mai, volli divenire papa, sceglieste me.

Bonifacio: Non io Celestino, ma coloro che ritenevano che tu fossi facile al dominio, che fossi solo una apparizione momentanea, un trascurabile dato da vocare quando se ne avesse bisogno.

Celestino: Un servo viene appellato quando si ha bisogno.

Bonifacio: Il papa non è un servo!

Celestino: Un servo di Dio, Bonifacio, un servo di Dio. Bonifacio: Ma non di Filippo IV il Bello, e a quello stavi per andare incontro, cedendogli la Chiesa, ecco perché non ti ho votato nel conclave.

Celestino: Sono solo un servitore di Dio, non…

Bonifacio:(interrompendolo bruscamente) Termina codesta litania del servo umile; divieni tedioso.

Celestino: Un servo, non un politico.

Bonifacio: Spesso dobbiamo essere politici, anzi sempre; dobbiamo tenere la frusta e il Vangelo, e tu, Calestino, questo non lo hai mai compreso, la politica permette alla Chiesa di esistere, di sopravvivere; non abbiamo eserciti, non abbiamo armi, le scomuniche possono ledere, ma quanto? Come possiamo difenderci da nemici feroci; ricordi Alarico nel 410? I Vandali, Teodorico, i Longobardi; come possiamo contrastare minacce del genere? Ricordati dell’Apocalisse di Giovanni, quando nel versetto parla della donna vestita di sole che partorisce: Ed Ella partorì un figlio maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro…(Giovanni, Apocalisse, 12,5). Quindi io non sono il figlio ma colui che deve reggere il mondo con la verga di ferro, perché legittimato dal figlio di Dio, che ha delegato il primo papa a dominare il mondo con la stessa verga. 

Celestino: E con la fede.

Bonifacio:(con espressione delusa e scoraggiata) Spesso mi sono chiesto se tu sia veramente stolto, un patetico ignorantello, ovvero solo un ingenuo, che con il gladio della Sacra Scrittura pensa si possa fermare il male.

Celestino: Leone Magno ha fermato Attila!

Bonifacio: I miracoli del seminarista; caro Celestino, se fossi un miscredente, eretico, ateo, potrei anche obbiettare: “Perché allora

Dio non ha fermato, ad Anagni, Sciarra Colonna?” Forse era giusto che il Vicario di Pietro venisse offeso? Allora anche Dio può essere offeso, se può esserlo, allora è un servo, e un servo non lo si rispetta, allora perché dovremmo noi fedeli adorare un servo; ma Dio non è tale, altrimenti il Vangelo, che parla della sua onnipotenza, mentirebbe, e Cristo mentirebbe, lo stesso Cristo

sarebbe allora colui che mente, avrebbe narrato dell’infinita superiorità di un Padre Eterno, che non è tale; così, caro Celestino,

condanni la Chiesa e l’intera cristianità a morte certa; ma forse questi argomenti filosofici e logici non li conosci, non ti hanno mai interessato, perché è Dio che salva? Dio che compensa, Dio che garantisce; questa è pura viltà, e lo sai bene.

Celestino: No, Santità.

Bonifacio:(non parla ma lo guarda intensamente) Celestino: Bonifacio; io amo Dio.

Bonifacio: Ma non la Chiesa.

Celestino: No, in effetti non l’amo, avrei voluto solo restare nel mio speco, e ringraziare Dio per quanto aveva creato.

Bonifacio: Ma Dio ha creato anche la Chiesa, e tu fosti chiamato a guidarla.

Celestino: Marco, Giovanni, Luca e Matteo furono scelti da Dio per scrivere i Vangeli; Paolo fu scelto per celebrare Dio fra le genti, e Pietro per guidare la Chiesa; ognuno ha un suo compito, destinatogli da Nostro Signore; io sono solo un servitore, umile e tacito, quanto contento di poter servire Dio con gioia, come deve fare ogni buon cristiano.

Bonifacio: Quindi io dovrei ritirarmi in un buio speco e lì orare, e condannare la cristianità a persecuzione e morte certa; intanto sperando che Dio ci soccorra?

Celestino: No, Bonifacio, ognuno ha i suoi compiti, e tu hai quello di essere la guida politica della Chiesa.

Bonifacio: E tu quella spirituale!

Celestino: Io posso solo servire ed essere un buon cristiano, ma tu devi essere sempre un ottimo politico; se lo Spirito Santo, nel conclave, ha scelto te, Deus vult.

Bonifacio: Se mai lo Spirito Santo è entrato nel Conclave, ti assicuro, caro Celestino, che ne è anche uscito, e molto celermente.

Celestino: Non credi al dogma conclavista?

Bonifacio: Certo, da buon cristiano quale sono; ma credo ancor più negli interessi personali degli Orsini, Frangipane e Conti e Colonna, che ti hanno eletto perché tu eri la salvaguardia dei loro territori, delle loro ricchezze.

Celestino:(guardando intensamente Bonifacio) Perché dici questo? Non mi pare di aver mai negato qualcosa a qualcuno, per quanto mi fosse possibile.

Bonifacio: Certamente, soprattutto a Roberto d’Angiò, che con tanti altri interessi francesi, voleva poi estendersi anche sui porti pontifici, e tu, caro Celestino, eri lo strumento giusto; debole e ingenuo.

Celestino: Lo Spirito Santo ha scelto me…

Bonifacio: Termina l’omelia, Celestino, pecunia non olet, e quando c’è denaro, nessun Vangelo può correggere la cupidigia, i porti di San Pietro, quali l’Isola Tiberina, Terracina, Gaeta, erano attracco certo per Filippo IV e Renato d’Angiò, grandi commerci, e poco dazio, grandi guadagni e poco pagare; ma per questo serviva il tuo assenso. Ecco il tuo Spirito Santo; per non dire le decime delle chiese, che a Filippo IV servono per fare tante strade, per i mercanti e gli eserciti contro Edoardo I re d’Inghilterra. Celestino: Io non ho mai concesso nulla.

Bonifacio: Certamente, perché dietro di te, nella cappella, durante le orazioni c’era qualcuno che ti proteggeva, io avevo ordinato che nessuno venisse durante le orazioni; avevo seminato di informatori la Sacra Basilica, alle tue udienze eravate assai molti ad ascoltare, fra cui miei fedeli; dovevo proteggerti dalla tua stoltezza, dalla tua patetica ingenuità; eri uno scricciolo fra aquile feroci, dovevo salvare te, per salvare la Chiesa.

Celestino: Vi ho già detto, Santità, ognuno ha il suo ruolo, io servo, e voi, caro Bonifacio, imperate con l’ingegno politico; ossia io miro al cielo, e voi alla terra, io a Dio Padre, e voi ai suoi figli, che spesso, vedo, degeneri, ma Dio Padre nella sua infinita bontà, tutto perdona, per qualche gesto di pentimento verace. Bonifacio: Se speri che io mi penta di aver pensato più alla Chiesa terrena che alla Gerusalemme spirituale, dovrai attendere ancora, e molto assai; ricorda Celestino che di questa Chiesa terrena, tu stesso sei stato figlio, anche quando non ne eri papa; non l’hai contraddetta e contrastata, quindi ne eri devoto servo. Celestino: Ma io non potevo certamente contrastare la Chiesa, anche perché non l’ho odiata, tradita o vilipesa, caro Bonifacio; ho compiuto assai malvagia e peggiore azione; l’ho ignorata! Tu e tutti gli adepti eravate nulla, non siete mai stati davvero presenti, nel mio breve, e umile, pensiero; quindi perché odiare qualcuno ovvero qualcosa che non esiste.

Bonifacio: Sembra però che tu abbia accettato compiaciuto di farne parte, quando fosti chiamato come papa; pare una renitenza assai accomodante.

Pare, o no?

Celestino: Ora tu pecchi di ignoranza, Bonifacio, non sai che quando i cardinali si presentarono dinanzi al mio speco, io fuggì lontano, e quando si inginocchiarono, io ne fui intimorito, pregai il Signore che quella fosse solo una tentazione voluta dal Maligno; due giorni ci vollero per persuadermi che ero oramai papa, e volli uscire dal mio agreste ostello, a piedi nudi, e con la mia veste povera, degna di un pellegrino, volli conservare, finché mi fu permesso da Dio, la mia dignitosa povertà, non accettai cavalli e carri trionfali, un servo non deve essere trattato come un papa; ma credetti che lo Spirito Santo mi avesse chiamato, ed io allora obbedì. 

Bonifacio: Che dici Madonna Storia, vedo che miri e mai favelli, che ausculti e mai replichi; esprimi un tuo giudizio.

Storia: Non ti porto il mio giudizio, ma un secondo accusatore. Celestino: (si alza ed esce) 

Atto terzo

Storia, Filippo IV, Bonifacio VIII 

Storia: Segue ancora un tuo inimico, caro Bonifacio.

Bonifacio: Chi dovrei adesso contrastare con accuse veraci?

Storia: Colui che fu il più acerrimo nemico della Chiesa di

Bonifacio, colui che voleva ingrandire l’onore della Chiesa gallica, con un papa franco; ricorda Anagni, e l’irruento segretario, rimembra quanto Sciarra potè mai compire nei tuoi confronti; costui ti accuserà di essere illegittimo papa, perché scacciasti Celestino, ti accuserà di aver perseguito i tuoi fratelli cristiani, i Colonna, di aver distrutto Palestrina, di aver adorato il Maligno, e di aver arricchito la tua famiglia, delle Bolle che tu emanasti, la Unam Sanctam con cui riaffermavi il principio indissolubile ed unico quanto universale della Chiesa su qualunque potere regale; inoltre la Clericis laicos, con cui vietasti ai parroci di pagare le tasse alla Francia.

Bonifacio: Capisco chi non menzioni, ma descrivi assai meglio di un nome; quando arriverà quel gallico eretico, diffamatore, senza

Dio, e…

Storia: Senza un grosso, franco ovvero sesterzio. 

Filippo:(entrando da destra si siede al posto di Celestino) Quando si deve trattare con chi ruba per principio, è difficile che qualcosa resti; un razziatore di codesta lega è davvero di rara specie.

Bonifacio: Chi sei?

Filippo: Chi ti condannò quando ancora eri in vita, e anche dopo la tua morte; la Franca terra, che io signoreggio, ancora dispregia il tuo nome, Malefacio; come suona assai meglio, non credi, figlio del Maligno? 

Bonifacio:(sorridendo)Filippo, Filippo, sei ancora più ridicolo del tuo processo per stregoneria; sei sempre stato un piccolo insignificante reuccio, con tanti ostacoli e poca mente; ti sarebbe bastato chiedere aiuto, ti avrei incontrato, e avrei anche accolto molte tue richieste; ma tu invece hai voluto tutto e subito, hai chiamato i Colonna, ai quali avevi promesso lauti territori e guadagni.

Filippo: Guadagni? Quali?

Bonifacio: Il fiorente compenso che tu ebbi dalla rapina compiuta il 3 maggio 1297; quando i Colonna mi depredarono dei miei denari con i quali terminavo di pagare i feudi di Sermoneta e

Ninfa, per la sola paura dell’espansione caetanea nel Regno di San Pietro; al furto poi, non contento, aggiungesti il rogo della Bolla papale da me invitata.

Filippo: Quale Bolla? Mai letta una tua Bolla; quindi non l’hai scritta.

Bonifacio: Certo che la scrissi, la Clericis laicos 25 febbraio 1296, la ricordi? Quella con cui proibivo ai chierici di pagarti le tasse, se non per esplicito consenso della Chiesa.

Filippo: Non della Chiesa, maledetto Malefacio, ma solo tuo. Bonifacio: Io rappresento la Chiesa, e quindi il Collegio fu concorde che compisti una rapina.

Filippo:(con espressione cruenta)Tu parli di rapina? Tu? Cane di un razziatore! Hai derubato i Colonna dei loro feudi, di Palestrina e di altre terre; e parli di furti?

Bonifacio: Sai Filippo, quando non sei soccorso dal tuo cancelliere, Nogaret, divieni ancor più sprovveduto; i feudi sottratti ai due cardinali Colonna, furono integralmente restituiti alla stessa famiglia Colonna, ma ai membri restati fedeli alla Santa Romana Chiesa, quindi a Ottone, Matteo e Landolfo Colonna, coloro che tu non avevi irretito con le tua false promesse. Inoltre tu non sai che nel 1296, Pietro Colonna, fu rettore del territorio di Ninfa, che voleva assolutamente acquisire alla sua famiglia che io acquistai un anno dopo, nel 1297.

Filippo: Non mi pare grande eresia voler acquisire un territorio. Bonifacio: No! Non è certamente eresia, ma prima lo si deve acquistare e pagare, e questo i Colonna non lo fecero; quindi la comprai io, e questo compromise tante strategie.

Filippo: I tuoi nipoti erano beneficiari delle terre colonnesi, che tu avevi derubato e non acquistato!

Bonifacio: Menti! Consapevole di mentire! Sai perfettamente che né io né la mia famiglia abbiamo mai beneficiato di nulla che spettasse ai Colonna; ti ripeto, l’ho solo restituita ai Colonna restati fedeli. 

Filippo: Da quanto mi fu letto nella deposizione del processo, tu hai distrutto ingenti patrimoni e abbattuto la città intera di Palestrina.

Bonifacio: Che cosa risposi io a tali accuse?

Filippo: Nulla.

Bonifacio: Perché?

Filippo: Non eri ad Avignone.

Bonifacio: Appunto, troppo facile, condannare chi non è presente. Filippo: Avevi i tuoi difensori, quindi se non ti hanno ben salvaguardato dalle accuse, lamentati con loro.

Bonifacio: I miei difensori sapevano quanto te, ossia nulla, e hanno tentato una difesa che li vedeva già perdenti, perché difensori di Bonifacio; tu avevi già agito con la tua corruzione, con le promesse, avevi raccolto false testimonianze, eri guidato dal solo rancore personale.

Filippo: Come giudichi allora la tua Bolla papale Unam Sanctam?  Bonifacio: Come la difesa della Chiesa, con quella Bolla proibivo a chiunque di poter ordinare alla Santa Chiesa un dominio che non gli spettava.

Filippo: Tu pretendevi che io fossi sottomesso a te, nel mio regno?

Bonifacio: Questa interpretazione giuridica della Bolla è tutta tua, ovvero di Nogaret? Devo ammettere che come falsificatore di atti giuridici, il tuo cancelliere sarebbe inimitabile; sei sempre stato uno stolto, un ingenuo; il tuo Nogaret ti ha dato interpretazioni devianti; la Unam Sanctam affermava la sola predominanza spirituale del papa su ogni re della terra; solo spirituale, capisci Filippo? Leggi la Bolla non ascoltare come un fanciullo quelle voci, che hanno i soli interessi familiari da curare.

Filippo: Quali?

Bonifacio: Tanti generosi omaggi che tu facesti a lui e alla sua genìa; poiché il Nogaret ti era necessario come il cibo, avevi bisogno di qualcuno che ti consigliasse, che ti dicesse cosa fare. Filippo: Come tu hai avuto bisogno di Guido da Montefeltro per prendere Palestrina: ricordi cosa dice Dante:  così mi chiese questi per maestro

A guarir della sua superba febbre: Domandommi consiglio, ed io tacetti Perché le sue parole parver ebbre.

E poi mi disse:“Tuo cor non sospetti;

Fin or ti assolvo, e tu m’insegna fare

Si come Penetrino in terra getti

Forse non ricordi queste strofe Bonifacio? Chiedesti come distruggere altri cristiani come te; e tu vorresti ancora difenderti?

Hai agito contro tuoi fedeli.

Bonifacio: Accetto l’accusa, e affermo che c’era una preclara esigenza di salvaguardia della Chiesa; Palestrina era una rocca assai ben attrezzata per attacchi contro la Santa Sede; per i cristiani vilipesi e uccisi comunque conosco qualcheduno, che ebbe l’ardire di condannare innocenti cavalieri al rogo per sete di denaro, ricorda i nostri figli templari, Filippo. Filippo: Il tuo seguace Clemente V li ha condannati.

Bonifacio: Menti, Clemente li assolse, ma tu questo non l’hai mai saputo, Nogaret te lo nascose; il decreto di scomunica era il falso di un domenicano corrotto dalla Santa Inquisizione.

Filippo: Ammetto che non lo seppi mai, ovvero lo seppi, ma altre esigenze politiche mi imposero di operare a tal guisa; mancavano guadagni certi, i conti feudatari mi erano contrari, dovevo pagare i mercenari, il popolo era affamato, già dovetti fuggire ad una rivolta del 1302; quindi caro Bonifacio, anche io ha avuto ragioni politiche, pari alle tue, quindi la tua assoluzione poco mi interessa; io sono un politico come te, e come vedi se il Vangelo non  giustifica me non assolve neanche te; non interpretare il buon pastore.

Bonifacio: Per te non posso essere certo un buon pastore, tu mi hai fatto accusare di riti eretici, adorazioni demoniache, riti stregonici, e tanto altro.

Filippo: Politica, caro Bonifacio, politica; dopo la damnatio vitae anche quella memoriae.

Bonifacio: Anche i tuoi cardinali francesi e i Colonna mi votarono in conclave, quindi poi mi giudichi come illegittimo?

Anomalo.

Filippo: Certo speravo che tu fossi come qualcun altro.

Bonifacio: Chi? Celestino forse?

Filippo: Certo, avrei raggiunto degli accordi con te assai più pacifici, se tu fossi stato più cauto, se tu avessi placato il delirio di onnipotenza; se tu avessi ascoltato, invece di agire, se tu avessi valutato che forse avresti ottenuto molto di più, per la stessa Chiesa, se avessi atteso.

Bonifacio: Che cosa avrei potuto ottenere?

Filippo: Lauti commerci, e buoni eserciti ma tu guidato dalla tua sola presunzione hai condannato i Colonna, e hai iniziato una crociata contro Giacomo e Pietro cardinali.

Bonifacio: Non si offende il papa senza assumersene le responsabilità; l’ingiuria mossami con la cartapecora affissa a Santa Maria Rotonda e sull’altare di San Pietro, affermava che io ero illegittimo papa.

Filippo: Affermazione certamente vera.

Bonifacio: Mi hanno votato anche loro, ti ripeto, e quindi se io sono illegittimo, anche loro lo sono, poiché il Conclave stesso era illegittimo, e loro ne erano parte integrante; Celestino si era dimesso consapevolmente; come già fece San Clemente II nel primo secolo della nostra èra; quindi anche quella dismissione era illegittima, accuseresti un santo di aver agito illegittimamente?

Filippo: Se necessario, perché no?

Bonifacio: Lo stesso cinismo del Nogaret; freddo e privo di fede. Filippo: Quando si tratta della Francia non conosco né alternative, né pietà; se devo accusare la memoria di un nefasto politico, che si sente un papa, accuso anche quello, e se lo devo far deporre, lo faccio, e…

Bonifacio: Non mi hai deposto; mi hai fatto rapire e sequestrare ad Anagni.

Filippo: Come vuoi, Bonifacio, ma ho umiliato il tuo orgoglio, questo volevo, renderti minuto rispetto a quello che tu credi di essere.

Bonifacio: Sono il papa della Chiesa Universale.

Filippo: Tanta onnipotenza, e poi bastano trenta soldatacci e mercenari per fermare il tuo potere, dov’era il tuo Dio Padre, quando doveva difenderti? Sei solo un patetico pievano, che cerca di assurgere ad un ruolo che non gli spetta.

Bonifacio: Pievano; fra tante contumelie questa mancava; potresti aggiungerla a quelle del processo di Avignone.

Filippo: Ben altro è emerso.

Bonifacio: Perché un processo dopo la mia morte? Oramai avevi quello che volevi, le decime ti erano state quasi garantite da Clemente V; allora, perché un processo?

Filippo: Il tuo Giubileo aveva garantito grande partecipazione, grande fiducia nella Chiesa e nel papa, o almeno in colui che era creduto tale; quindi dovevo reagire, diffamandoti.

Bonifacio: Politica, Filippo, solo politica come le accuse di stregoneria, di adorazione del Maligno, di blasfemia, di sodomia, ma tu in effetti volevi un papa che ti fosse favorevole, che garantisse alla Francia ricchezze e guadagni, che non ottenesti con me.

Filippo: Chi dice questo?

Bonifacio: Un cardinale anonimo che nel processo afferma: Iddio solo sa tra quanti pericoli e quante angustie si dovette lavorare. Abbandonai i miei soci soltanto col proposito di avere un Papa favorevole al Regno di Francia,stimando che,se avesse ubbidito al Re, avrebbe governato bene. E con molte cautele eleggemmo Bertrando, credendo di avere esaltato il Regno di Francia e la Chiesa.  

Quindi Clemente V, al secolo Bertrando, che avrebbe garantito alla tua Francia quello che volevi; mentre Bonifacio era assai renitente.

Filippo: Appunto, la tua renitenza mi è sempre stata ostica, insopportabile, inutile, arrogante.

Bonifacio: La mia renitenza è dettata da altri renitenti, avidi e venali, vero Filippo? Tu ben li conosci? Quei piccoli reucci, che hanno in casa la guerra, se non anche fuori, che lottano con quei duchi pronti a tradire. Filippo: A chi ti riferisci?

Bonifacio: A Filippo l’Ardito, duca di Borgogna, pronto a tradire per lauti compensi, e allearsi con Edoardo I d’Inghilterra con cui tu eri in guerra. 

Filippo: Capisci perché servivano soldi; per evitare aspidi in seno.

Bonifacio: E come le hai evitate?

Filippo: Pagando, con le decime concessemi da Clemente V, ho pagato le armate di Filippo l’Ardito, e i suoi mercenari, quindi li ho portati nelle mie schiere.

Bonifacio: Politica, vero Filippo? I cui criteri, anche i più cinici, valgono solo per te, per la tua personale sopravvivenza, e per quella della tua Francia; mentre per gli altri che devono difendere le loro giuste ragioni, questo non vale, allora il papa, se deve adottare gli stessi tuoi criteri, diviene demoniaco, solo perché non ti ha permesso di derubarlo, vero Filippo?

Filippo: Certamente, Malefacio, siamo due politici, sappiamo dove colpire e quali instrumenta adottare.

Bonifacio: Certo che lo sappiamo; accusa gli altri di quello che tu stesso hai compiuto, se necessario menti, e taci le verità inopportune, non sostenere alcuna tesi se non adeguata ai tuoi bisogni, e tergiversa di fronte a realtà peccaminose.

Filippo: Peccato che qualche tuo compatriota ti abbia posto

nell’Inferno dei simoniaci, fra i politici saresti una divinità, infernale, certamente, ma una divinità, come aspiri ad essere.

Addio Bonifacio, e che qualcuno ci ricordi ancora in futuro.

Bonifacio: Salve te Filippo.  

Atto Quarto

Storia, Dante Alighieri, Bonifacio VIII

Storia: Come vedi Bonifacio, ognuno ha sempre buoni motivi per attaccare; e qualcuno che non sia né re né papa, ma solo poeta non dirime dalla volontà di dover elencare querele verso di te; l’Inferno ti ha già accolto, fra i simoniaci, e l’immoralità ha lambito il culmine nella Chiesa che dovrebbe essere insieme all’impero la guida dell’uomo, mentre sia tu che Filippo, avete operato con ingordigia, tu preferendo al bene dell’uomo quello solo dei tuoi parenti, e dei tuoi interessi; mentre Filippo aveva solo interesse al suo ruolo di re; i Guelfi bianchi furono ingannati, la Chiesa li abbandonò al loro destino, e tu non intervenisti a loro favore, troppo compreso nelle tue personali vicende;ecco di quanto ti accusa… Bonifacio: Chi?

Dante: Io, Dante delli Alighieri, figlio di Alighiero delli Alighieri, che non son vostro pari in dignità, quinci mi rivolgerò con l’ossequio formale che vi spetta.

Bonifacio:(si alza in piedi) Merito a voi, sommo poeta, davvero mi duole di non avervi potuto interrogare sulla vostra universale opera ma, purtroppo, ebbi solo molto tempo dopo motivo di leggerla; pensate che qualche mio discendente, secoli dopo, avrebbe osannato voi e la vostra Commedìa, senza alcun malevolo pensiero, e neanche io son qui per maledire; mentre voi certamente avrete assai da dire. 

Dante: Vi chiedo sol perché avete agito come imperator del doloroso regno, invece che da pastore. 

Bonifacio: Perché sono un pastore, e quindi spesso devo anche adottare la verga, come voi Dante, usate la penna; avete

condannato all’infamia perpetua il mio nome, avete creduto che io fossi asservito al demonio, mi avete accusato di furti e sacrilegi; ma forse avete dimenticato che io avevo subìto il furto; voi avete ritenuto vere, e credo per vostro personale risentimento, le accuse del processo di Avignone, sebbene non ne facciate verbo nel vostro poema; come diplomatico fiorentino avete agito con grande dignità e compostezza, i guelfi bianchi erano ancora assai più incerti che i neri, scorati,  pochi e, soprattutto, divisi, e voi che ne facevate parte per poi allontanarvene, lo sapete assai bene, Dante. Dante: (con espressione risentita e aggressiva) Non condanno voi

per l’aiuto mancato ai guelfi bianchi, ma per la vostra tenuta morale che non è degna di un Pastore della Chiesa, e poi sapete, santità, che non condanno solo voi, ma il vostro predecessore, che per viltade compì il gran rifiuto, come il vostro nemico, Filippo IV il re gallico, che portò le cupide vele al tempio; quindi voi non siete solo.

Bonifacio: Siete quel sublime poeta che siete, amato Dante, e in verità la vostra condanna io la capisco pienamente; avete grande animo, grande rettitudine di spirito; siete integerrimo nell’idea che sostenete ma assai mistico nelle vostre affermazioni, compite

l’errore di colui che deprecate come vile, Celestino; non considerate quanta prudenza servisse per guidare la Chiesa e quanta fermezza. 

Dante: Guido vostro, lo ricordate?

Bonifacio:Voi adottate tal aggettivo per il Cavalcanti, se non erro. Dante: Mi riferisco a Guido da Montefeltro, ne avete dannata l’anima per vostri interessi, mentre dovevate salvarla.

Bonifacio: Voi, Dante, lo avete dannato, non Dio; con la vostra sublime poesia, avete dannato ed assolto a vostro compiacimento, senza mai pensare che forse coloro che voi avete scagliato agli inferi, ovvero innalzato al paradiso, forse Dio non li ha posti ove voi li avete pensati. 

Dante: Ho sancito le condanne e beatitudini per quanto sapessi. Bonifacio: Appunto, caro Dante, condannate in base a valutazioni molto personali, condannate il profeta dei mori, Maometto, perché pensavate che fosse stato già cardinale e avesse creato una scissione nella christianitas, creando la sua religione, perché non eletto papa.

Dante: Tali erano le cronache.

Bonifacio: Quindi, gli stessi processi a me intentati potevano essere parimenti solo cronache; voi mancate purtroppo di cronache vaticane, ossia quelle informazioni che sarebbero necessarie per avere un giudizio; ma esprimete senza sapere nulla di certo.

Dante: Giudico per quanto sappia, e valuto che quanto compiuto da voi non sia morale, e degno di un papa.

Bonifacio: Dove entra la politica esce qualsiasi valore, morale e spirituale; vi porgo una domanda; se io avessi accolto le richieste di Filippo di Francia, riguardo alle decime, se avessi continuato

come l’imbelle Celestino V, se avessi mostrato debolezza, voi come mi avreste giudicato? Dante: Forse debole ed imbelle.

Bonifacio: Quanto vile, certamente; avreste compiuto ottimo giudizio, sarei stato un debole, ma spiritualmente assai migliore; quindi amato Dante, dovete prima valutare se volete un papa spirituale e debole, ovvero determinato  e politico.

Dante: Mediterò assai, Santità.

Atto Quinto

Storia: Ora caro Bonifacio,un secondo poeta, di certo meno noto e sublime di Dante, ma assai facondo e litigioso, quasi come gli altri tuoi nemici, colui che tu mandasti a San Fortunato, a meditare. Quindi ora devi contrastare altre accuse, quelle morali di avidità, dissolutezza empietà, superbia, nepotismo, simonia ed arti stregoniche; credo che tu abbia assai da rispondere; Jacopone da Todi, ti accusa di tanto e tanto altro.Vieni Jacopone, vieni con il tuo animo sincero e francescano; illustraci come vorresti che fosse il papa e la Chiesa.

Jacopone: Come vorrei lo mondo lo legge chi vole, nelle Laudi, quelle che niuno, e tanto de meno Bonifazio, habe mai letto, né vero Santità.

Bonifacio: Tace, tace homo paulo, minuo, et pauco; tuo orare quam canis.

Jacopone: Vi ho capito bene, Santità, non timete che non sappia lo latino vostro.

Bonifacio: Cosa ti avrei detto?

Jacopone: Che parlo come un cane e che sono uomo da nulla; forse l’unico complimento che veramente accetto, ma non sono homo da poco, sono da nulla, anzi nulla e basta.

Bonifacio: Bravo uomo, ma purtroppo sei a servizio di Giacomo e Pietro Colonna.

Jacopone: Sono a servizio di Francesco di Assisi, autentico emulo di Cristo nostro Signore, e servo umilmente nostro Signore papa Celestino V, di cui voi avete sottratto lo soglio.

Bonifacio: Caro Jacopone, io sono un papa e non sottraggo né denari né sogli pontifici; se il tuo povero Celestino ha rifiutato non temo accuse, tanto meno da te, misticante da strapazzo; ignori il mondo, lo disprezzi, lo dispregi, vero?

Jacopone: Certo, il mondo è la latèbra del Maligno e voi ne siete il re, quindi il servitore di Satana.

Bonifacio: Ma nel mondo vi abitano anche i Colonna, di cui tu fosti servo.

Jacopone: Io servo solo Dio.

Bonifacio: La pergamena di Lunghezza, contro chi ti parla, lo firmasti anche tu, sospinto da solo odio verso i Gaetani, vero Jacopone?

Jacopone: Voi avete rubato lo spirito al mondo, avete agito con ogni genere di malignità, e nefandezze. Havete imprisonato papa

Celestino, l’unico designato dallo Spirito Santo; povero, umile e santo; poi avete imprisonato me a San Fortunato; quanti ancora ne avreste prigionati? Quanto ancora dovevano morire per la vostra ingordigia?

Bonifacio: Tu non mi pari morto per prigionia, Celestino muore dopo Fumone, tu moristi nel 1306, tre anni dopo di me e dopo tre anni che fosti uscito libero da San Fortunato; ti ritirasti a Palestrina dai Colonna; ti scomunicai perché eri servo degli scomunicati Colonna, e pretendesti che ti assolvessi dopo avermi offeso; tu, Jacopone, hai offeso non Bonifacio Gaetani, ma la

Chiesa, l’intera cristianità, che io rappresento, e che tu e i tuoi padroni avete cercato di ledere. Io avrei potuto farti uccidere a San Fortunato, come il tuo Celestino a Fumone, avrei potuto farlo, e non l’ho accettato; non eri un pericolo, ma eri uno strumento dei Colonna, a loro servizio; ti avevano ingannato, facendoti credere che io avessi voluto eliminare Celestino, che io volessi arricchire la mia famiglia, che io praticassi l’adorazione del Maligno, invece erano solo invidiosi, e gelosi della potenza dei Gaetani, che si estendevano, mentre loro erano costretti alla sola Palestrina; la potenza ecclesiastica era divenuta eccessiva per soccorrere gli interessi di Filippo di Francia, che aveva parimenti persuaso i Colonna di grandi territori da acquisire; quindi il tuo spirito,

Jacopone, è quello debole di un estatico figlio di un debole come Celestino, che fugge le responsabilità, ma che accetta il papato, quello che avrebbe dovuto rifiutare da principio; tu accetti il misticismo, come accetti anche la terrenità interessata dei Colonna; a Palestrina ti catturarono i miei soldati, e lì ti eri nascosto, ti ordinavano di pensare che io fossi il Maligno, e tu credevi; ti dicevano che io volessi impadronirmi di ogni bene dei Colonna, e tu credevi;  ti dicevano che io volessi distruggere i tuoi spiritualisti, e tu credevi. 

Jacopone: Dovremmo forse ringraziarvi per quanto ci avete leso?

Bonifacio: Per quanto poco vi abbia leso.

Jacopone: Come? Ci avete sterminato, avete soppresso lo spirito della cristianità, lo spirito puro della cristianità.

Bonifacio: Avrei potuto davvero iniziare una crociata sanguinaria, una feroce persecuzione con cui determinare la vostra morte sia fisica che morale; ricorda i Catari e Innocenzo III; ne hai avuta notizia? Avrei potuto determinare un’ecatombe, avrei potuto sterminare la vostra volontà; non l’ho fatto, eravate solo una voce debole, che cercava i miei nemici per sostenere lotte interne alla Chiesa, creare uno Stato nello Stato, una Chiesa nella Chiesa, quindi dividere, ed uccidere la Chiesa stessa; tutto per garantire ai Colonna il loro opportuno; motivando questo con la grande spiritualità che distingue voi, Fraticelli spirituali, i Poveri di Celestino, i deboli della Chiesa, che non servono, quando qualcuno aggredisce.

Jacopone: Porgi l’altra guancia, disse qualcuno.

Bonifacio: La guancia, non il collo per farse mozzar lo capo a tondo; non posso permettere che la testa della Chiesa cada per una volontà spirituale; viviamo sulla terra, e sulla terra la Chiesa deve anche combattere, se necessario, deve abbattere i nemici sia interni che esterni; non possiamo e dobbiamo cedere. 

Jacopone: Uccidendo innocenti?

Bonifacio: I nemici di Dio non sono innocenti, chi sostiene gli eretici è distinto e distante dalla Chiesa, quindi deve chiedere perdono; se tu fossi stato un mio nemico, ti avrei fatto uccidere, te come Celestino; non ho voluto farlo, non avevo necessità di compiere tale atto vile.

Jacopone: Perché non l’avete fatto.

Bonifacio: Perché non credo nell’omicidio, né nella persecuzione, ma se fossero necessari, non rinuncerei a sommuovere gli eserciti. Jacopone; non ti ho voluto morto perché ti ammiro, sinceramente, ammiro la tua grande spiritualità; ma la politica é sempre impietosa e perfida, esecrabile, e Dio ha voluto che io dovessi ora combattere con questa melma; a differenza del tuo Celestino, io, ho accettato di combattere.

Jacopone: Dio forse vi perdonerà, io credo che avrò qualche difficoltà.

Vale Bonifazio! Vale te!(esce dalla sala)

Storia: Come vedi Bonifacio sia accusati che accusatori hanno tutti ragione; tutti buoni e fedeli ma poi parimenti infidi e laidi; quindi le verità sono molte, morali, materiali e sempre personali; il particulare l’interesse personale è sempre assai più interessante di molti altri interessi. Quindi una storia imparziale non sarà mai scritta, e riconosciuta come tale, ma ognuno cercherà di narrarla come meglio possa convenire; almeno come ripeto da secoli; ognuno ha la sua verità, che deriva dal pensare prima alle proprie personali opinioni e poi a quelle del mondo.

Salute a tutti voi che un giorno leggerete la Storia con lo stesso intento con cui l’hanno letta i diversi accusatori e difensori. 



  





 



 

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