In dubio pro reo
La voce degli accusatori
contro Bonifacio VIII DrammaTeatrale
Dramatis
personae
Storia
Bonifacio VIII papa
Celestino V papa
Filippo IV re di Francia
Jacopone da Todi asceta e poeta
Dante Alighieri
Atto
Primo
Storia e Bonifacio VIII
Due sedie signorili un tavolo ed un terza sedia
speculare al tavolo
Storia: Bonifacio VIII sei stato qui vocato per
rendere ragione della tua vita di papa, dei tuoi gesti, e della tua condotta da
padre della cristianità; sarai accusato da diversi nemici; io ascolterò le
ragioni di tutti, ed i motivi di chiunque; sai bene che la Storia è sempre
razionale, equanime e mai parziale; gli uomini, e solo gli uomini, la rendono
partigiana di qualche tesi, ma io ascolto, considero e non giudico, osservo,
speculo, da secoli; e mi sono assuefatta alle ragioni più disparate che voi,
uomini, grandi e piccoli, siete soliti addurre, quindi anche tu ora dinanzi al
tribunale della Storia dovrai rendere ragione e parlare con i tuoi simili.
Bonifacio: Perché dovrei parlare con chi mi ha
accusato, offeso e denigrato sul tuo altare; i miei nemici, come ben sai,
avranno tanto da mentire; quindi perché perseverare nella ricerca del
colpevole, che tu hai già facile da immolare?
Storia: Perché voglio che gli uomini ben sappiano
anche la tua voce, come quella degli accusatori.
Bonifacio: Qualcuno in futuro dirà “l’ardua sentenza
ai posteri”, ma forse ai posteri non potrà interessare se io sia colpevole
ovvero no; non credo che la mia figura sia ancora considerevole.
Storia: Erri, Bonifacio, erri; se pronunci qualche
parola di difesa, qualcuno ausculta, e una voce semplice, umile e soffusa può
divenire una esorbitante vocazione.
Bonifacio: Chi sarebbero i miei accusatori?
Storia: Cautela Bonifacio, saranno qui, tutti,
raccolti, e tu potrai avere un tuo difensore, che ti spetta.
Bonifacio: Dogliomi che tu davvero credi che io abbia
bisogno di un difensore; mi meraviglio; sei la Storia, e non conosci la verità?
Storia: (accennando un lieve sorriso)Io sì, ma io conosco la verità della
storia, mentre tu solo quella di Bonifacio; e quella soltanto; quindi cerchiamo
di conoscere anche le altre verità, di altri, che come le tue sono certamente
valide, razionali, quanto umane; troppo umane. Conosci tu Socrate di Atene?
Bonifacio: No! Ammetto di non conoscerlo, chi è
costui? Storia: Un filosofo, che morì con una sua personale apologia, ossia
autodifesa, da una condanna ingiusta che lo identificava come la rovina dei
giovani e degli atenesi, poiché lui, Socrate, li corrompeva; fu accusato di
ateismo, di degenerazione morale, di disobbedienza agli Dèi, quinci condannato
a morte, bevve la cicuta per non tradire il suo personale pensiero, che era
gnosi seauton, conosci te stesso, e quindi la tua verità.
Bonifacio:Spiacemi ma io non sono filosofo, ma
giurista, e papa, e non capisco quale sia il significato di cotanto verbo;
esplicami. Storia: Bonifacio, tu hai la tua verità, come gli accusatori hanno
la loro, quindi tutti avete una certezza, una vostra canoscenza.
Bonifacio: Come tu hai la tua.
Storia: Certo, ma la mia è la verità della storia,
dell’accaduto, che non attesta la colpevolezza tua, ovvero di altri; ma
l’innocenza di tutti e la colpevolezza di nessuno, come la colpevolezza di
tutti e l’innocenza di nessuno; vedi caro Bonifacio, io vi conosco tutti vi ho
visto nascere e morire, quindi conosco le vostre singole ragioni, i vostri
animi, i vostri pensieri, sospetti, menzogne e verità, ma non vi giudico;
poiché dopo tanto tempo trascorso, ho capito che ognuno mente e dice la verità,
ognuno travisa e tergiversa, ognuno nasconde e nessuno dice di celare, tutti
accusano, ma nessuno veracemente condanna, poiché tutti voi siete complici,
quindi chi di voi senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei.
Bonifacio: Perché citi Giovanni? Credi che io possa
essere Nostro Signore, ovvero Giovanni?
Storia: Perché non l’adultera?
Bonifacio: Non pecco di adulterio.
Storia: Forse lo hai già fatto, ma non lo ricordi.
Bonifacio: Non sono mai stato sposato, e non ho figli
naturali, quindi non tradisco alcuna donna ed alcuna moglie.
Storia: Non hai forse sposato la Chiesa?
Bonifacio: Certo, ne sono lo sposo morale e
spirituale, e come tale devo anche difenderla, salvaguardarla, amarla e operare
per lei; allontanarne sia nemici che ipocriti, quindi ho agito con retta fede.
Storia: Secundum Bonifacii judicium. Secondo te, caro
Bonifacio, ma non secondo altri.
Bonifacio: Altri? Chi? Qualche eretico forse? Ovvero
un nemico di Dio?
Storia: Un certo Pietro Morrone, un certo Celestino V.
Lo ricordi Bonifacio?
Quello che per viltade compì il gran rifiuto.
Bonifacio: Si! Lo ricordo bene.
Atto
Secondo
Celestino V, Bonifacio VIII e Storia
Celestino V entra in scena e siede al tavolo alla
destra della Storia
Celestino:(guardando intensamente Bonifacio) Ricordate
anche Fumone?
Bonifacio:(alzandosi dalla seggiola) Non riconosci la
veritade dalla menzogna, tu, e solo tu ed io, sappiamo bene che fosti tu che mi
chiedesti di andare a Fumone; ti era certo assai adatto; come a
Napoli, nel Castel Reale di Roberto d’Angiò, rimembri?
In quella visita del 1295, Roberto ti offrì le migliori stanze ma fosti tu a
chiedere di dormire negli scantinati; quando Roberto ti aveva offerto la sua
camera reale; tu hai insistito per la povertà assoluta, Castel Fumone? Non
sapevo neanche esistesse, tu mi indicasti quella grotta, e solo con l’intento
di attrarmi le doglianze dei tuoi falsi seguaci, vero?
Celestino: No, Santità.
Bonifacio: Sei un mio pari, devi adottare il
protocollo; per te io sono Bonifacio.
Celestino: Si è vero, fui io che scelsi Fumone; volevo
ritornare alla mia Chiesa, mentre quella che tu volevi era, a me, quanto a Dio,
estranea, lontanissima, immorale, demoniaca; ed io, che mai, volli divenire
papa, sceglieste me.
Bonifacio: Non io Celestino, ma coloro che ritenevano
che tu fossi facile al dominio, che fossi solo una apparizione momentanea, un
trascurabile dato da vocare quando se ne avesse bisogno.
Celestino: Un servo viene appellato quando si ha
bisogno.
Bonifacio: Il papa non è un servo!
Celestino: Un servo di Dio, Bonifacio, un servo di
Dio. Bonifacio: Ma non di Filippo IV il Bello, e a quello stavi per andare
incontro, cedendogli la Chiesa, ecco perché non ti ho votato nel conclave.
Celestino: Sono solo un servitore di Dio, non…
Bonifacio:(interrompendolo bruscamente) Termina
codesta litania del servo umile; divieni tedioso.
Celestino: Un servo, non un politico.
Bonifacio: Spesso dobbiamo essere politici, anzi sempre;
dobbiamo tenere la frusta e il Vangelo, e tu, Calestino, questo non lo hai mai
compreso, la politica permette alla Chiesa di esistere, di sopravvivere; non
abbiamo eserciti, non abbiamo armi, le scomuniche possono ledere, ma quanto?
Come possiamo difenderci da nemici feroci; ricordi Alarico nel 410? I Vandali,
Teodorico, i Longobardi; come possiamo contrastare minacce del genere?
Ricordati dell’Apocalisse di Giovanni, quando nel versetto parla della donna
vestita di sole che partorisce: Ed Ella partorì un figlio maschio, il quale
deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro…(Giovanni, Apocalisse,
12,5). Quindi io non sono il figlio ma colui che deve reggere il mondo con la
verga di ferro, perché legittimato dal figlio di Dio, che ha delegato il primo
papa a dominare il mondo con la stessa verga.
Celestino: E con la fede.
Bonifacio:(con espressione delusa e scoraggiata)
Spesso mi sono chiesto se tu sia veramente stolto, un patetico ignorantello,
ovvero solo un ingenuo, che con il gladio della Sacra Scrittura pensa si possa
fermare il male.
Celestino: Leone Magno ha fermato Attila!
Bonifacio: I miracoli del seminarista; caro Celestino,
se fossi un miscredente, eretico, ateo, potrei anche obbiettare: “Perché allora
Dio non ha fermato, ad Anagni, Sciarra Colonna?” Forse
era giusto che il Vicario di Pietro venisse offeso? Allora anche Dio può essere
offeso, se può esserlo, allora è un servo, e un servo non lo si rispetta,
allora perché dovremmo noi fedeli adorare un servo; ma Dio non è tale,
altrimenti il Vangelo, che parla della sua onnipotenza, mentirebbe, e Cristo
mentirebbe, lo stesso Cristo
sarebbe allora colui che mente, avrebbe narrato
dell’infinita superiorità di un Padre Eterno, che non è tale; così, caro Celestino,
condanni la Chiesa e l’intera cristianità a morte
certa; ma forse questi argomenti filosofici e logici non li conosci, non ti
hanno mai interessato, perché è Dio che salva? Dio che compensa, Dio che
garantisce; questa è pura viltà, e lo sai bene.
Celestino: No, Santità.
Bonifacio:(non parla ma lo guarda intensamente)
Celestino: Bonifacio; io amo Dio.
Bonifacio: Ma non la Chiesa.
Celestino: No, in effetti non l’amo, avrei voluto solo
restare nel mio speco, e ringraziare Dio per quanto aveva creato.
Bonifacio: Ma Dio ha creato anche la Chiesa, e tu
fosti chiamato a guidarla.
Celestino: Marco, Giovanni, Luca e Matteo furono
scelti da Dio per scrivere i Vangeli; Paolo fu scelto per celebrare Dio fra le
genti, e Pietro per guidare la Chiesa; ognuno ha un suo compito, destinatogli
da Nostro Signore; io sono solo un servitore, umile e tacito, quanto contento
di poter servire Dio con gioia, come deve fare ogni buon cristiano.
Bonifacio: Quindi io dovrei ritirarmi in un buio speco
e lì orare, e condannare la cristianità a persecuzione e morte certa; intanto
sperando che Dio ci soccorra?
Celestino: No, Bonifacio, ognuno ha i suoi compiti, e
tu hai quello di essere la guida politica della Chiesa.
Bonifacio: E tu quella spirituale!
Celestino: Io posso solo servire ed essere un buon
cristiano, ma tu devi essere sempre un ottimo politico; se lo Spirito Santo,
nel conclave, ha scelto te, Deus vult.
Bonifacio: Se mai lo Spirito Santo è entrato nel
Conclave, ti assicuro, caro Celestino, che ne è anche uscito, e molto
celermente.
Celestino: Non credi al dogma conclavista?
Bonifacio: Certo, da buon cristiano quale sono; ma
credo ancor più negli interessi personali degli Orsini, Frangipane e Conti e
Colonna, che ti hanno eletto perché tu eri la salvaguardia dei loro territori,
delle loro ricchezze.
Celestino:(guardando intensamente Bonifacio) Perché
dici questo? Non mi pare di aver mai negato qualcosa a qualcuno, per quanto mi
fosse possibile.
Bonifacio: Certamente, soprattutto a Roberto d’Angiò,
che con tanti altri interessi francesi, voleva poi estendersi anche sui porti
pontifici, e tu, caro Celestino, eri lo strumento giusto; debole e ingenuo.
Celestino: Lo Spirito Santo ha scelto me…
Bonifacio: Termina l’omelia, Celestino, pecunia non
olet, e quando c’è denaro, nessun Vangelo può correggere la cupidigia, i porti
di San Pietro, quali l’Isola Tiberina, Terracina, Gaeta, erano attracco certo
per Filippo IV e Renato d’Angiò, grandi commerci, e poco dazio, grandi guadagni
e poco pagare; ma per questo serviva il tuo assenso. Ecco il tuo Spirito Santo;
per non dire le decime delle chiese, che a Filippo IV servono per fare tante
strade, per i mercanti e gli eserciti contro Edoardo I re d’Inghilterra.
Celestino: Io non ho mai concesso nulla.
Bonifacio: Certamente, perché dietro di te, nella
cappella, durante le orazioni c’era qualcuno che ti proteggeva, io avevo
ordinato che nessuno venisse durante le orazioni; avevo seminato di informatori
la Sacra Basilica, alle tue udienze eravate assai molti ad ascoltare, fra cui
miei fedeli; dovevo proteggerti dalla tua stoltezza, dalla tua patetica
ingenuità; eri uno scricciolo fra aquile feroci, dovevo salvare te, per salvare
la Chiesa.
Celestino: Vi ho già detto, Santità, ognuno ha il suo
ruolo, io servo, e voi, caro Bonifacio, imperate con l’ingegno politico; ossia
io miro al cielo, e voi alla terra, io a Dio Padre, e voi ai suoi figli, che
spesso, vedo, degeneri, ma Dio Padre nella sua infinita bontà, tutto perdona,
per qualche gesto di pentimento verace. Bonifacio: Se speri che io mi penta di
aver pensato più alla Chiesa terrena che alla Gerusalemme spirituale, dovrai
attendere ancora, e molto assai; ricorda Celestino che di questa Chiesa
terrena, tu stesso sei stato figlio, anche quando non ne eri papa; non l’hai
contraddetta e contrastata, quindi ne eri devoto servo. Celestino: Ma io non
potevo certamente contrastare la Chiesa, anche perché non l’ho odiata, tradita
o vilipesa, caro Bonifacio; ho compiuto assai malvagia e peggiore azione; l’ho
ignorata! Tu e tutti gli adepti eravate nulla, non siete mai stati davvero
presenti, nel mio breve, e umile, pensiero; quindi perché odiare qualcuno
ovvero qualcosa che non esiste.
Bonifacio: Sembra però che tu abbia accettato
compiaciuto di farne parte, quando fosti chiamato come papa; pare una renitenza
assai accomodante.
Pare, o no?
Celestino: Ora tu pecchi di ignoranza, Bonifacio, non
sai che quando i cardinali si presentarono dinanzi al mio speco, io fuggì
lontano, e quando si inginocchiarono, io ne fui intimorito, pregai il Signore
che quella fosse solo una tentazione voluta dal Maligno; due giorni ci vollero
per persuadermi che ero oramai papa, e volli uscire dal mio agreste ostello, a
piedi nudi, e con la mia veste povera, degna di un pellegrino, volli
conservare, finché mi fu permesso da Dio, la mia dignitosa povertà, non
accettai cavalli e carri trionfali, un servo non deve essere trattato come un
papa; ma credetti che lo Spirito Santo mi avesse chiamato, ed io allora
obbedì.
Bonifacio: Che dici Madonna Storia, vedo che miri e
mai favelli, che ausculti e mai replichi; esprimi un tuo giudizio.
Storia: Non ti porto il mio giudizio, ma un secondo
accusatore. Celestino: (si alza ed esce)
Atto
terzo
Storia, Filippo IV, Bonifacio VIII
Storia: Segue ancora un tuo inimico, caro Bonifacio.
Bonifacio: Chi dovrei adesso contrastare con accuse
veraci?
Storia: Colui che fu il più acerrimo nemico della
Chiesa di
Bonifacio, colui che voleva ingrandire l’onore della
Chiesa gallica, con un papa franco; ricorda Anagni, e l’irruento segretario,
rimembra quanto Sciarra potè mai compire nei tuoi confronti; costui ti accuserà
di essere illegittimo papa, perché scacciasti Celestino, ti accuserà di aver
perseguito i tuoi fratelli cristiani, i Colonna, di aver distrutto Palestrina,
di aver adorato il Maligno, e di aver arricchito la tua famiglia, delle Bolle
che tu emanasti, la Unam Sanctam con cui riaffermavi il principio indissolubile
ed unico quanto universale della Chiesa su qualunque potere regale; inoltre la
Clericis laicos, con cui vietasti ai parroci di pagare le tasse alla Francia.
Bonifacio: Capisco chi non menzioni, ma descrivi assai
meglio di un nome; quando arriverà quel gallico eretico, diffamatore, senza
Dio, e…
Storia: Senza un grosso, franco ovvero sesterzio.
Filippo:(entrando da destra si siede al posto di
Celestino) Quando si deve trattare con chi ruba per principio, è difficile che
qualcosa resti; un razziatore di codesta lega è davvero di rara specie.
Bonifacio: Chi sei?
Filippo: Chi ti condannò quando ancora eri in vita, e
anche dopo la tua morte; la Franca terra, che io signoreggio, ancora dispregia
il tuo nome, Malefacio; come suona assai meglio, non credi, figlio del
Maligno?
Bonifacio:(sorridendo)Filippo, Filippo, sei ancora più
ridicolo del tuo processo per stregoneria; sei sempre stato un piccolo
insignificante reuccio, con tanti ostacoli e poca mente; ti sarebbe bastato
chiedere aiuto, ti avrei incontrato, e avrei anche accolto molte tue richieste;
ma tu invece hai voluto tutto e subito, hai chiamato i Colonna, ai quali avevi
promesso lauti territori e guadagni.
Filippo: Guadagni? Quali?
Bonifacio: Il fiorente compenso che tu ebbi dalla
rapina compiuta il 3 maggio 1297; quando i Colonna mi depredarono dei miei
denari con i quali terminavo di pagare i feudi di Sermoneta e
Ninfa, per la sola paura dell’espansione caetanea nel
Regno di San Pietro; al furto poi, non contento, aggiungesti il rogo della
Bolla papale da me invitata.
Filippo: Quale Bolla? Mai letta una tua Bolla; quindi
non l’hai scritta.
Bonifacio: Certo che la scrissi, la Clericis laicos 25
febbraio 1296, la ricordi? Quella con cui proibivo ai chierici di pagarti le
tasse, se non per esplicito consenso della Chiesa.
Filippo: Non della Chiesa, maledetto Malefacio, ma
solo tuo. Bonifacio: Io rappresento la Chiesa, e quindi il Collegio fu concorde
che compisti una rapina.
Filippo:(con espressione cruenta)Tu parli di rapina?
Tu? Cane di un razziatore! Hai derubato i Colonna dei loro feudi, di Palestrina
e di altre terre; e parli di furti?
Bonifacio: Sai Filippo, quando non sei soccorso dal
tuo cancelliere, Nogaret, divieni ancor più sprovveduto; i feudi sottratti ai
due cardinali Colonna, furono integralmente restituiti alla stessa famiglia
Colonna, ma ai membri restati fedeli alla Santa Romana Chiesa, quindi a Ottone,
Matteo e Landolfo Colonna, coloro che tu non avevi irretito con le tua false
promesse. Inoltre tu non sai che nel 1296, Pietro Colonna, fu rettore del
territorio di Ninfa, che voleva assolutamente acquisire alla sua famiglia che
io acquistai un anno dopo, nel 1297.
Filippo: Non mi pare grande eresia voler acquisire un
territorio. Bonifacio: No! Non è certamente eresia, ma prima lo si deve
acquistare e pagare, e questo i Colonna non lo fecero; quindi la comprai io, e
questo compromise tante strategie.
Filippo: I tuoi nipoti erano beneficiari delle terre
colonnesi, che tu avevi derubato e non acquistato!
Bonifacio: Menti! Consapevole di mentire! Sai
perfettamente che né io né la mia famiglia abbiamo mai beneficiato di nulla che
spettasse ai Colonna; ti ripeto, l’ho solo restituita ai Colonna restati
fedeli.
Filippo: Da quanto mi fu letto nella deposizione del
processo, tu hai distrutto ingenti patrimoni e abbattuto la città intera di
Palestrina.
Bonifacio: Che cosa risposi io a tali accuse?
Filippo: Nulla.
Bonifacio: Perché?
Filippo: Non eri ad Avignone.
Bonifacio: Appunto, troppo facile, condannare chi non
è presente. Filippo: Avevi i tuoi difensori, quindi se non ti hanno ben
salvaguardato dalle accuse, lamentati con loro.
Bonifacio: I miei difensori sapevano quanto te, ossia
nulla, e hanno tentato una difesa che li vedeva già perdenti, perché difensori
di Bonifacio; tu avevi già agito con la tua corruzione, con le promesse, avevi
raccolto false testimonianze, eri guidato dal solo rancore personale.
Filippo: Come giudichi allora la tua Bolla papale Unam
Sanctam? Bonifacio: Come la difesa della
Chiesa, con quella Bolla proibivo a chiunque di poter ordinare alla Santa
Chiesa un dominio che non gli spettava.
Filippo: Tu pretendevi che io fossi sottomesso a te,
nel mio regno?
Bonifacio: Questa interpretazione giuridica della
Bolla è tutta tua, ovvero di Nogaret? Devo ammettere che come falsificatore di
atti giuridici, il tuo cancelliere sarebbe inimitabile; sei sempre stato uno
stolto, un ingenuo; il tuo Nogaret ti ha dato interpretazioni devianti; la Unam
Sanctam affermava la sola predominanza spirituale del papa su ogni re della
terra; solo spirituale, capisci Filippo? Leggi la Bolla non ascoltare come un
fanciullo quelle voci, che hanno i soli interessi familiari da curare.
Filippo: Quali?
Bonifacio: Tanti generosi omaggi che tu facesti a lui
e alla sua genìa; poiché il Nogaret ti era necessario come il cibo, avevi
bisogno di qualcuno che ti consigliasse, che ti dicesse cosa fare. Filippo:
Come tu hai avuto bisogno di Guido da Montefeltro per prendere Palestrina:
ricordi cosa dice Dante: così mi chiese
questi per maestro
A guarir della sua superba febbre: Domandommi
consiglio, ed io tacetti Perché le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse:“Tuo cor non sospetti;
Fin or ti assolvo, e tu m’insegna fare
Si come Penetrino in terra getti
Forse non ricordi queste strofe Bonifacio? Chiedesti
come distruggere altri cristiani come te; e tu vorresti ancora difenderti?
Hai agito contro tuoi fedeli.
Bonifacio: Accetto l’accusa, e affermo che c’era una
preclara esigenza di salvaguardia della Chiesa; Palestrina era una rocca assai
ben attrezzata per attacchi contro la Santa Sede; per i cristiani vilipesi e
uccisi comunque conosco qualcheduno, che ebbe l’ardire di condannare innocenti
cavalieri al rogo per sete di denaro, ricorda i nostri figli templari, Filippo.
Filippo: Il tuo seguace Clemente V li ha condannati.
Bonifacio: Menti, Clemente li assolse, ma tu questo
non l’hai mai saputo, Nogaret te lo nascose; il decreto di scomunica era il
falso di un domenicano corrotto dalla Santa Inquisizione.
Filippo: Ammetto che non lo seppi mai, ovvero lo
seppi, ma altre esigenze politiche mi imposero di operare a tal guisa;
mancavano guadagni certi, i conti feudatari mi erano contrari, dovevo pagare i
mercenari, il popolo era affamato, già dovetti fuggire ad una rivolta del 1302;
quindi caro Bonifacio, anche io ha avuto ragioni politiche, pari alle tue,
quindi la tua assoluzione poco mi interessa; io sono un politico come te, e
come vedi se il Vangelo non giustifica
me non assolve neanche te; non interpretare il buon pastore.
Bonifacio: Per te non posso essere certo un buon
pastore, tu mi hai fatto accusare di riti eretici, adorazioni demoniache, riti
stregonici, e tanto altro.
Filippo: Politica, caro Bonifacio, politica; dopo la
damnatio vitae anche quella memoriae.
Bonifacio: Anche i tuoi cardinali francesi e i Colonna
mi votarono in conclave, quindi poi mi giudichi come illegittimo?
Anomalo.
Filippo: Certo speravo che tu fossi come qualcun
altro.
Bonifacio: Chi? Celestino forse?
Filippo: Certo, avrei raggiunto degli accordi con te
assai più pacifici, se tu fossi stato più cauto, se tu avessi placato il
delirio di onnipotenza; se tu avessi ascoltato, invece di agire, se tu avessi
valutato che forse avresti ottenuto molto di più, per la stessa Chiesa, se
avessi atteso.
Bonifacio: Che cosa avrei potuto ottenere?
Filippo: Lauti commerci, e buoni eserciti ma tu
guidato dalla tua sola presunzione hai condannato i Colonna, e hai iniziato una
crociata contro Giacomo e Pietro cardinali.
Bonifacio: Non si offende il papa senza assumersene le
responsabilità; l’ingiuria mossami con la cartapecora affissa a Santa Maria
Rotonda e sull’altare di San Pietro, affermava che io ero illegittimo papa.
Filippo: Affermazione certamente vera.
Bonifacio: Mi hanno votato anche loro, ti ripeto, e
quindi se io sono illegittimo, anche loro lo sono, poiché il Conclave stesso
era illegittimo, e loro ne erano parte integrante; Celestino si era dimesso
consapevolmente; come già fece San Clemente II nel primo secolo della nostra
èra; quindi anche quella dismissione era illegittima, accuseresti un santo di
aver agito illegittimamente?
Filippo: Se necessario, perché no?
Bonifacio: Lo stesso cinismo del Nogaret; freddo e
privo di fede. Filippo: Quando si tratta della Francia non conosco né
alternative, né pietà; se devo accusare la memoria di un nefasto politico, che
si sente un papa, accuso anche quello, e se lo devo far deporre, lo faccio, e…
Bonifacio: Non mi hai deposto; mi hai fatto rapire e
sequestrare ad Anagni.
Filippo: Come vuoi, Bonifacio, ma ho umiliato il tuo
orgoglio, questo volevo, renderti minuto rispetto a quello che tu credi di
essere.
Bonifacio: Sono il papa della Chiesa Universale.
Filippo: Tanta onnipotenza, e poi bastano trenta
soldatacci e mercenari per fermare il tuo potere, dov’era il tuo Dio Padre,
quando doveva difenderti? Sei solo un patetico pievano, che cerca di assurgere
ad un ruolo che non gli spetta.
Bonifacio: Pievano; fra tante contumelie questa
mancava; potresti aggiungerla a quelle del processo di Avignone.
Filippo: Ben altro è emerso.
Bonifacio: Perché un processo dopo la mia morte?
Oramai avevi quello che volevi, le decime ti erano state quasi garantite da
Clemente V; allora, perché un processo?
Filippo: Il tuo Giubileo aveva garantito grande
partecipazione, grande fiducia nella Chiesa e nel papa, o almeno in colui che
era creduto tale; quindi dovevo reagire, diffamandoti.
Bonifacio: Politica, Filippo, solo politica come le
accuse di stregoneria, di adorazione del Maligno, di blasfemia, di sodomia, ma
tu in effetti volevi un papa che ti fosse favorevole, che garantisse alla
Francia ricchezze e guadagni, che non ottenesti con me.
Filippo: Chi dice questo?
Bonifacio: Un cardinale anonimo che nel processo
afferma: Iddio solo sa tra quanti pericoli e quante angustie si dovette
lavorare. Abbandonai i miei soci soltanto col proposito di avere un Papa
favorevole al Regno di Francia,stimando che,se avesse ubbidito al Re, avrebbe
governato bene. E con molte cautele eleggemmo Bertrando, credendo di avere
esaltato il Regno di Francia e la Chiesa.
Quindi Clemente V, al secolo Bertrando, che avrebbe
garantito alla tua Francia quello che volevi; mentre Bonifacio era assai
renitente.
Filippo: Appunto, la tua renitenza mi è sempre stata
ostica, insopportabile, inutile, arrogante.
Bonifacio: La mia renitenza è dettata da altri
renitenti, avidi e venali, vero Filippo? Tu ben li conosci? Quei piccoli
reucci, che hanno in casa la guerra, se non anche fuori, che lottano con quei
duchi pronti a tradire. Filippo: A chi ti riferisci?
Bonifacio: A Filippo l’Ardito, duca di Borgogna,
pronto a tradire per lauti compensi, e allearsi con Edoardo I d’Inghilterra con
cui tu eri in guerra.
Filippo: Capisci perché servivano soldi; per evitare
aspidi in seno.
Bonifacio: E come le hai evitate?
Filippo: Pagando, con le decime concessemi da Clemente
V, ho pagato le armate di Filippo l’Ardito, e i suoi mercenari, quindi li ho
portati nelle mie schiere.
Bonifacio: Politica, vero Filippo? I cui criteri,
anche i più cinici, valgono solo per te, per la tua personale sopravvivenza, e
per quella della tua Francia; mentre per gli altri che devono difendere le loro
giuste ragioni, questo non vale, allora il papa, se deve adottare gli stessi
tuoi criteri, diviene demoniaco, solo perché non ti ha permesso di derubarlo,
vero Filippo?
Filippo: Certamente, Malefacio, siamo due politici,
sappiamo dove colpire e quali instrumenta adottare.
Bonifacio: Certo che lo sappiamo; accusa gli altri di
quello che tu stesso hai compiuto, se necessario menti, e taci le verità
inopportune, non sostenere alcuna tesi se non adeguata ai tuoi bisogni, e
tergiversa di fronte a realtà peccaminose.
Filippo: Peccato che qualche tuo compatriota ti abbia
posto
nell’Inferno dei simoniaci, fra i politici saresti una
divinità, infernale, certamente, ma una divinità, come aspiri ad essere.
Addio Bonifacio, e che qualcuno ci ricordi ancora in
futuro.
Bonifacio: Salve te Filippo.
Atto
Quarto
Storia, Dante Alighieri, Bonifacio VIII
Storia: Come vedi Bonifacio, ognuno ha sempre buoni
motivi per attaccare; e qualcuno che non sia né re né papa, ma solo poeta non
dirime dalla volontà di dover elencare querele verso di te; l’Inferno ti ha già
accolto, fra i simoniaci, e l’immoralità ha lambito il culmine nella Chiesa che
dovrebbe essere insieme all’impero la guida dell’uomo, mentre sia tu che
Filippo, avete operato con ingordigia, tu preferendo al bene dell’uomo quello
solo dei tuoi parenti, e dei tuoi interessi; mentre Filippo aveva solo
interesse al suo ruolo di re; i Guelfi bianchi furono ingannati, la Chiesa li
abbandonò al loro destino, e tu non intervenisti a loro favore, troppo compreso
nelle tue personali vicende;ecco di quanto ti accusa… Bonifacio: Chi?
Dante: Io, Dante delli Alighieri, figlio di Alighiero
delli Alighieri, che non son vostro pari in dignità, quinci mi rivolgerò con
l’ossequio formale che vi spetta.
Bonifacio:(si alza in piedi) Merito a voi, sommo
poeta, davvero mi duole di non avervi potuto interrogare sulla vostra
universale opera ma, purtroppo, ebbi solo molto tempo dopo motivo di leggerla;
pensate che qualche mio discendente, secoli dopo, avrebbe osannato voi e la
vostra Commedìa, senza alcun malevolo pensiero, e neanche io son qui per
maledire; mentre voi certamente avrete assai da dire.
Dante: Vi chiedo sol perché avete agito come imperator
del doloroso regno, invece che da pastore.
Bonifacio: Perché sono un pastore, e quindi spesso
devo anche adottare la verga, come voi Dante, usate la penna; avete
condannato all’infamia perpetua il mio nome, avete
creduto che io fossi asservito al demonio, mi avete accusato di furti e
sacrilegi; ma forse avete dimenticato che io avevo subìto il furto; voi avete
ritenuto vere, e credo per vostro personale risentimento, le accuse del
processo di Avignone, sebbene non ne facciate verbo nel vostro poema; come
diplomatico fiorentino avete agito con grande dignità e compostezza, i guelfi
bianchi erano ancora assai più incerti che i neri, scorati, pochi e, soprattutto, divisi, e voi che ne
facevate parte per poi allontanarvene, lo sapete assai bene, Dante. Dante: (con
espressione risentita e aggressiva) Non condanno voi
per l’aiuto mancato ai guelfi bianchi, ma per la
vostra tenuta morale che non è degna di un Pastore della Chiesa, e poi sapete,
santità, che non condanno solo voi, ma il vostro predecessore, che per viltade
compì il gran rifiuto, come il vostro nemico, Filippo IV il re gallico, che
portò le cupide vele al tempio; quindi voi non siete solo.
Bonifacio: Siete quel sublime poeta che siete, amato
Dante, e in verità la vostra condanna io la capisco pienamente; avete grande
animo, grande rettitudine di spirito; siete integerrimo nell’idea che sostenete
ma assai mistico nelle vostre affermazioni, compite
l’errore di colui che deprecate come vile, Celestino;
non considerate quanta prudenza servisse per guidare la Chiesa e quanta
fermezza.
Dante: Guido vostro, lo ricordate?
Bonifacio:Voi adottate tal aggettivo per il
Cavalcanti, se non erro. Dante: Mi riferisco a Guido da Montefeltro, ne avete
dannata l’anima per vostri interessi, mentre dovevate salvarla.
Bonifacio: Voi, Dante, lo avete dannato, non Dio; con
la vostra sublime poesia, avete dannato ed assolto a vostro compiacimento,
senza mai pensare che forse coloro che voi avete scagliato agli inferi, ovvero
innalzato al paradiso, forse Dio non li ha posti ove voi li avete pensati.
Dante: Ho sancito le condanne e beatitudini per quanto
sapessi. Bonifacio: Appunto, caro Dante, condannate in base a valutazioni molto
personali, condannate il profeta dei mori, Maometto, perché pensavate che fosse
stato già cardinale e avesse creato una scissione nella christianitas, creando
la sua religione, perché non eletto papa.
Dante: Tali erano le cronache.
Bonifacio: Quindi, gli stessi processi a me intentati
potevano essere parimenti solo cronache; voi mancate purtroppo di cronache
vaticane, ossia quelle informazioni che sarebbero necessarie per avere un
giudizio; ma esprimete senza sapere nulla di certo.
Dante: Giudico per quanto sappia, e valuto che quanto
compiuto da voi non sia morale, e degno di un papa.
Bonifacio: Dove entra la politica esce qualsiasi
valore, morale e spirituale; vi porgo una domanda; se io avessi accolto le
richieste di Filippo di Francia, riguardo alle decime, se avessi continuato
come l’imbelle Celestino V, se avessi mostrato
debolezza, voi come mi avreste giudicato? Dante: Forse debole ed imbelle.
Bonifacio: Quanto vile, certamente; avreste compiuto
ottimo giudizio, sarei stato un debole, ma spiritualmente assai migliore;
quindi amato Dante, dovete prima valutare se volete un papa spirituale e
debole, ovvero determinato e politico.
Dante: Mediterò assai, Santità.
Atto
Quinto
Storia: Ora caro Bonifacio,un secondo poeta, di certo
meno noto e sublime di Dante, ma assai facondo e litigioso, quasi come gli
altri tuoi nemici, colui che tu mandasti a San Fortunato, a meditare. Quindi
ora devi contrastare altre accuse, quelle morali di avidità, dissolutezza
empietà, superbia, nepotismo, simonia ed arti stregoniche; credo che tu abbia
assai da rispondere; Jacopone da Todi, ti accusa di tanto e tanto altro.Vieni
Jacopone, vieni con il tuo animo sincero e francescano; illustraci come
vorresti che fosse il papa e la Chiesa.
Jacopone: Come vorrei lo mondo lo legge chi vole,
nelle Laudi, quelle che niuno, e tanto de meno Bonifazio, habe mai letto, né
vero Santità.
Bonifacio: Tace, tace homo paulo, minuo, et pauco; tuo
orare quam canis.
Jacopone: Vi ho capito bene, Santità, non timete che
non sappia lo latino vostro.
Bonifacio: Cosa ti avrei detto?
Jacopone: Che parlo come un cane e che sono uomo da
nulla; forse l’unico complimento che veramente accetto, ma non sono homo da
poco, sono da nulla, anzi nulla e basta.
Bonifacio: Bravo uomo, ma purtroppo sei a servizio di
Giacomo e Pietro Colonna.
Jacopone: Sono a servizio di Francesco di Assisi,
autentico emulo di Cristo nostro Signore, e servo umilmente nostro Signore papa
Celestino V, di cui voi avete sottratto lo soglio.
Bonifacio: Caro Jacopone, io sono un papa e non
sottraggo né denari né sogli pontifici; se il tuo povero Celestino ha rifiutato
non temo accuse, tanto meno da te, misticante da strapazzo; ignori il mondo, lo
disprezzi, lo dispregi, vero?
Jacopone: Certo, il mondo è la latèbra del Maligno e
voi ne siete il re, quindi il servitore di Satana.
Bonifacio: Ma nel mondo vi abitano anche i Colonna, di
cui tu fosti servo.
Jacopone: Io servo solo Dio.
Bonifacio: La pergamena di Lunghezza, contro chi ti
parla, lo firmasti anche tu, sospinto da solo odio verso i Gaetani, vero
Jacopone?
Jacopone: Voi avete rubato lo spirito al mondo, avete
agito con ogni genere di malignità, e nefandezze. Havete imprisonato papa
Celestino, l’unico designato dallo Spirito Santo;
povero, umile e santo; poi avete imprisonato me a San Fortunato; quanti ancora
ne avreste prigionati? Quanto ancora dovevano morire per la vostra ingordigia?
Bonifacio: Tu non mi pari morto per prigionia,
Celestino muore dopo Fumone, tu moristi nel 1306, tre anni dopo di me e dopo
tre anni che fosti uscito libero da San Fortunato; ti ritirasti a Palestrina
dai Colonna; ti scomunicai perché eri servo degli scomunicati Colonna, e
pretendesti che ti assolvessi dopo avermi offeso; tu, Jacopone, hai offeso non
Bonifacio Gaetani, ma la
Chiesa, l’intera cristianità, che io rappresento, e
che tu e i tuoi padroni avete cercato di ledere. Io avrei potuto farti uccidere
a San Fortunato, come il tuo Celestino a Fumone, avrei potuto farlo, e non l’ho
accettato; non eri un pericolo, ma eri uno strumento dei Colonna, a loro
servizio; ti avevano ingannato, facendoti credere che io avessi voluto
eliminare Celestino, che io volessi arricchire la mia famiglia, che io
praticassi l’adorazione del Maligno, invece erano solo invidiosi, e gelosi
della potenza dei Gaetani, che si estendevano, mentre loro erano costretti alla
sola Palestrina; la potenza ecclesiastica era divenuta eccessiva per soccorrere
gli interessi di Filippo di Francia, che aveva parimenti persuaso i Colonna di
grandi territori da acquisire; quindi il tuo spirito,
Jacopone, è quello debole di un estatico figlio di un
debole come Celestino, che fugge le responsabilità, ma che accetta il papato,
quello che avrebbe dovuto rifiutare da principio; tu accetti il misticismo,
come accetti anche la terrenità interessata dei Colonna; a Palestrina ti
catturarono i miei soldati, e lì ti eri nascosto, ti ordinavano di pensare che
io fossi il Maligno, e tu credevi; ti dicevano che io volessi impadronirmi di
ogni bene dei Colonna, e tu credevi; ti
dicevano che io volessi distruggere i tuoi spiritualisti, e tu credevi.
Jacopone: Dovremmo forse ringraziarvi per quanto ci
avete leso?
Bonifacio: Per quanto poco vi abbia leso.
Jacopone: Come? Ci avete sterminato, avete soppresso
lo spirito della cristianità, lo spirito puro della cristianità.
Bonifacio: Avrei potuto davvero iniziare una crociata
sanguinaria, una feroce persecuzione con cui determinare la vostra morte sia
fisica che morale; ricorda i Catari e Innocenzo III; ne hai avuta notizia?
Avrei potuto determinare un’ecatombe, avrei potuto sterminare la vostra
volontà; non l’ho fatto, eravate solo una voce debole, che cercava i miei nemici
per sostenere lotte interne alla Chiesa, creare uno Stato nello Stato, una
Chiesa nella Chiesa, quindi dividere, ed uccidere la Chiesa stessa; tutto per
garantire ai Colonna il loro opportuno; motivando questo con la grande
spiritualità che distingue voi, Fraticelli spirituali, i Poveri di Celestino, i
deboli della Chiesa, che non servono, quando qualcuno aggredisce.
Jacopone: Porgi l’altra guancia, disse qualcuno.
Bonifacio: La guancia, non il collo per farse mozzar
lo capo a tondo; non posso permettere che la testa della Chiesa cada per una
volontà spirituale; viviamo sulla terra, e sulla terra la Chiesa deve anche
combattere, se necessario, deve abbattere i nemici sia interni che esterni; non
possiamo e dobbiamo cedere.
Jacopone: Uccidendo innocenti?
Bonifacio: I nemici di Dio non sono innocenti, chi
sostiene gli eretici è distinto e distante dalla Chiesa, quindi deve chiedere
perdono; se tu fossi stato un mio nemico, ti avrei fatto uccidere, te come
Celestino; non ho voluto farlo, non avevo necessità di compiere tale atto vile.
Jacopone: Perché non l’avete fatto.
Bonifacio: Perché non credo nell’omicidio, né nella
persecuzione, ma se fossero necessari, non rinuncerei a sommuovere gli
eserciti. Jacopone; non ti ho voluto morto perché ti ammiro, sinceramente,
ammiro la tua grande spiritualità; ma la politica é sempre impietosa e perfida,
esecrabile, e Dio ha voluto che io dovessi ora combattere con questa melma; a
differenza del tuo Celestino, io, ho accettato di combattere.
Jacopone: Dio forse vi perdonerà, io credo che avrò
qualche difficoltà.
Vale Bonifazio! Vale te!(esce dalla sala)
Storia: Come vedi Bonifacio sia accusati che
accusatori hanno tutti ragione; tutti buoni e fedeli ma poi parimenti infidi e
laidi; quindi le verità sono molte, morali, materiali e sempre personali; il
particulare l’interesse personale è sempre assai più interessante di molti
altri interessi. Quindi una storia imparziale non sarà mai scritta, e
riconosciuta come tale, ma ognuno cercherà di narrarla come meglio possa convenire;
almeno come ripeto da secoli; ognuno ha la sua verità, che deriva dal pensare
prima alle proprie personali opinioni e poi a quelle del mondo.
Salute a tutti voi che un giorno leggerete la Storia con lo stesso intento con cui l’hanno letta i diversi accusatori e difensori.
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